La
Guerra dei Cent'Anni
La scomparsa della Cavalleria dai
campi di battaglia
Indice:
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Introduzione e considerazioni dell’autore
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Il retroscena politico e le cause della guerra
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Il corso degli eventi
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Le nuove armi e il declino della cavalleria
Introduzione:
Molti poeti e studiosi
utilizzano il paragone del fiume per descrivere la storia: secondo questa
poetica visione essa è il naturale susseguirsi di eventi che “arrivano
dall’alto”, passano e scompaiono nel mare.
Quando però ci si
appassiona di storia e non ci si accontenta più del libro di storia scolastico
che, per quanto valido esso sia, non può di certo affrontare ogni singolo
aspetto del tempo che prende in considerazione, si scopre che l’idea del fiume
non è la più appropriata. In effetti, è un modo di pensare che esclude una
parte importantissima della storia stessa: le cause. Ogni avvenimento, ogni
evento della storia infatti non è “arrivato dall’alto”, ma ha radici ben
salde nel contesto in cui si è verificato, e probabilmente non sarebbe potuto
accadere se fosse cambiato il contesto. A me piace pensare alla storia come a
una grandissima macchina, in cui ogni ingranaggio ne mette in moto un altro o
concorre, assieme ad altre ruote dentate di varie dimensioni, a spingere altri
ingranaggi. La storia secondo me ha un senso che è deciso in ogni momento dagli
“ingranaggi” in gioco. Non è lo scorrere di “eventi-gocce d’acqua” in
un tracciato già definito. Sono le gocce d’acqua che tracciano, secondo per
secondo, il corso del fiume.
Fin da bambino, mi sono
sempre piaciuti i cavalieri. Ricordo ancora la mia gioia quando, in un natale
ormai molto lontano, mio padre mi regalò un castello della Lego, con grande
cruccio di mia madre che poi fu costretta a costruirlo con me per tutta la sera.
Quell’uomo vestito di
ferro, con l’elmo piumato e lo scudo raffigurante un drago verde che sputa
fiamme, mi ha sempre affascinato. Era un uomo che, guidato dalle mie mani di
bambino, affrontava il terribile drago nella caverna senza un briciolo di paura,
e lo sconfiggeva con un abile colpo di spada. Quando poi sono cresciuto, ho
scoperto che quel cavaliere era esistito davvero. Non andava in giro ad uccidere
draghi, ma affrontava altri cavalieri in epiche battaglie. Dipingeva il suo
scudo con lo stemma per farsi riconoscere dai suoi compagni, e si gettava nella
mischia in cerca del cavaliere nemico più forte, per affrontarlo in un
“duello nella battaglia”. In effetti, le guerre tra cavalieri mi ricordavano
le battaglie della Grecia antica, fatte di duelli tra eroi.
Quel mondo di onore e
coraggio mi ha sempre affascinato, e così mi sono cominciato a chiedere: dove
sono finiti i cavalieri?
Studiando a scuola ho
scoperto che con il tempo, erano comparse delle armi più forti, con cui i
cavalieri non potevano competere: l’arco, l’archibugio e il fucile. Come
risposta, era un po’ vaga: ma quando è successo? È stato deciso “a
tavolino” di non fare più cavalieri?
Ho fatto le mie ricerche,
ed esse mi hanno condotto fino al periodo che va dal XV al XVII secolo, ed in
particolare alla Guerra dei Cent’Anni, la guerra che, come vedremo, ha dato il
via al lento processo che ha portato alla scomparsa dei cavalieri dai campi di
battaglia d’Europa.
Ma andiamo con ordine…
Il
retroscena politico:
Nel 1330, una cartina
dell’Europa del nord sarebbe stato molto diversa da quelle attuali: la Gran
Bretagna era ancora divisa in Inghilterra e Scozia, mentre la Francia era assai
diversa da quella attuale. In particolare, la regione di Aquitania, pur facendo
parte del Regno di Francia, era retta dal Re d’Inghilterra, Edoardo III, che
era quindi a tutti gli effetti un vassallo del Re di Francia, Filippo VI.
Esaminiamo più da vicino
i protagonisti di questa parte di storia:
Edoardo III:
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Era il figlio di
Isabella di Francia, figlia di Filippo IV, Re di Francia e appartenente
alla dinastia dei Capetingi che deteneva il trono di Francia. Tuttavia, i
Capetingi in Francia si estinsero e furono sostituiti dai Valois. Isabella, invece,
andò in sposa ad Edoardo II, Re d’Inghilterra, con il quale ebbe ben
quattro figli. Alla morte del padre, salì al trono Edoardo III, il più
grande dei quattro. |
Filippo VI:
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Quando si estinse la dinastia dei Capetingi, i nobili francesi scelsero di affidare il trono a Filippo VI di Valois, cugino del defunto Re Carlo VI, il quale dunque ereditò il trono di Francia e diede inizio alla dinastia dei Valois. Confiscò l’Aquitania ad Edoardo III provocando la guerra. |
L’Aquitania:
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L’Aquitania si
estendeva nell’ovest della Francia, e la sua importanza era legata al
fatto che all’interno dei suoi domini si trovava praticamente tutta la
costa occidentale della Francia: era quindi una delle tappe obbligate del
commercio navale europeo. Era detenuta dal Re
d’Inghilterra, che in teoria ne era il feudatario per conto del Re di
Francia, ma in pratica si comportava come se la regione fosse parte
integrante del suo Regno. |
La Fiandra:
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La Fiandra era una
terra particolare, legata politicamente alla Francia ma economicamente
all’Inghilterra, che vi esportava i propri manufatti di lana. Ancora
oggi il suo nome evoca immense ricchezze legate al commercio dei tessuti:
tale fama proviene proprio dal Medioevo, quando la Fiandra era uno dei
territori più ricchi dell’intera Europa: valeva certo la pena
combattere per il suo possesso! |
Le
cause della guerra:
Nel maggio del 1337,
Filippo VI decise di confiscare ad Edoardo II l’Aquitania. Il gesto fu il
frutto di decenni di scontro tra le tendenze espansionistiche inglesi e i
tentativi di riassorbimento dell’Aquitania da parte dei francesi.
Edoardo III, tuttavia, non
consegnò la regione ai francesi, anzi: sfruttando la discendenza di sua nonna
Isabella dai Capetingi, dichiarò di essere il legittimo erede al trono di
Francia, e a novembre una prima armata inglese sbarcò nelle Fiandre. Fu
l’inizio di una guerra che, agli occhi della gente, sembrava essere destinata
a concludersi in breve tempo con una schiacciante vittoria dei Francesi, che
potevano contare sulla superiorità numerica e sulla migliore conoscenza del
territorio (“giocavano” in casa!).
Chiaramente, la “vicenda
Aquitania” fu sfruttata come pretesto da Edoardo III, e in effetti persino la
pretesa al trono del Re, una volta cominciata la Guerra, fu presto dimenticata:
la Guerra dei Cent’Anni, in effetti, fu combattuta per prestigio: ritirarsi e
accettare la sconfitta avrebbe significato ammettere l’inferiorità rispetto
al nemico, cosa che nessun Re, inglese o francese che fosse, avrebbe mai
accettato di fare!
Il
corso degli eventi:
Abbiamo già introdotto,
tra le cause della guerra, la lotta per il possesso di Aquitania e Fiandra. Fin
dal 1337 cominciarono forti contrasti tra Inghilterra e Francia per questa
ragione, e il 1337 è assunto dagli storici come la data d’inizio della guerra
che, per la verità, scoppiò “ufficialmente” nel gennaio del 1340, quando
Edoardo III d’Inghilterra rivendicò la Corona di Francia.
Sebbene sia chiamata
“Guerra dei cent’anni”, in realtà non si trattò di un unico conflitto,
ma di una serie di conflitti concatenati che occuparono il periodo che si
estende dal 1337, anno delle prime ostilità, al 1453, quando gli Inglesi furono
definitivamente espulsi dalla Francia. Per comodità di analisi, analizzerò il
conflitto suddividendolo in due fasi.
La
prima fase vede Edoardo III protagonista di alterne vicende in terra di Francia.
Assieme ai suoi alleati della Borgogna, effettua numerose piccole campagne in
Francia, concentrate per lo più attorno alle Fiandre e alla Borgogna stessa.
L’unico evento rilevante
di questa prima fase fu la proclamazione di Edoardo III quale Re di Francia,
avvenuta a Gand nel gennaio del 1340.
In questa prima fase, gli Inglesi danno prova della loro tattica preferita: assaltare e conquistare una posizione, saccheggiarla e quindi abbandonarla. Né d’altronde gli Inglesi possono fare altrimenti: non avendo solide basi in territorio Francese, devono limitarsi a operazioni relativamente piccole, pensate più per indebolire l’avversario che per conquistare nuovi possedimenti. Questo non deve però farci pensare che la guerra sia stata combattuta con meno impegno o interesse: anzi, ciò che caratterizza la prima fase è proprio la lotta per il titolo di Re di Francia: è ancora chiaro il motivo scatenante del conflitto, e ognuno dei contendenti combatte in quella direzione. La situazione, come vedremo, cambierà in fretta: più ci si avvicina al fatidico 1346, più la guerra diventa un conflitto di prestigio.
Seconda Fase:
(1346-1453)
Negli anni tra il 1346 e
il 1453 successe veramente di tutto. Il popolo di Francia si era finalmente
mobilitato e disponeva di un grande esercito, forte, secondo alcune stime, di
ben ventimila uomini. Unità caratteristiche di tale esercito furono la
cavalleria, costituita dai nobili francesi, e i corpi di balestrieri genovesi,
ingaggiati da Filippo IV per fornire supporto alla potente cavalleria di
Francia.
Proprio quando i francesi
sembravano più forti, Edoardo III sbarcò in Francia alla testa di un nuovo
piccolo ma agguerrito esercito. Dopo aver saccheggiato Caen e assediato
inutilmente Rouen, Edoardo e i suoi diecimila uomini si diressero a Crécy,
braccato da Filippo IV. I soldati di entrambi gli schieramenti si stancarono di
quella fuga-inseguimento, e l’esercito inglese si accampò su di un’altura
vicino Crécy. Era il 26 agosto 1346.
La posizione non fu scelta
a caso da Edoardo: l’esercito infatti poteva contare sulla protezione di una
foresta, che ne copriva il fianco, inoltre la posizione elevata forniva un
evidente vantaggio strategico.
Ciononostante, Filippo
decise di attaccare, mandando i suoi balestrieri in avanti. Fu a questo punto
che gli Inglesi sfoderarono la loro arma micidiale: l’arco lungo. Mentre i
balestrieri genovesi arrancavano su per la salita, furono bersagliati da un
nugolo di frecce scagliate dagli arcieri britannici: a differenza dei francesi,
per i quali il nemico era fuori gittata, l’altezza rendeva i soldati genovesi
un ghiotto bersaglio per i soldati di Edoardo, che si scatenarono. Ben presto, i
balestrieri cominciarono a fuggire: fu l’inizio della fine. Filippo secondo
scatenò la potentissima cavalleria francese, che per ben dodici volte assaltò
l’altura dove gli Inglesi si erano schierati. Invano. Ogni volta, salva su
salva di micidiali frecce piumate mieteva un numero enorme di vittime tra i
cavalieri: quest’ultimi, appesantiti com’erano da corazza, lancia, spada e
scudo e ostacolati per di più dalla salita, venivano ogni volta decimati dal
fuoco nemico e poi respinti dai cavalieri di Edoardo III, appiedati ma pur
sempre micidiali. Si calcola che alla fine dello scontro i cavalieri francesi
abbiano subito 1500 perdite, e nel complesso l’armata di Filippo perse non
meno di quattromila uomini, a fronte dei 576 caduti inglesi: una sconfitta così
totale che pochi giorni dopo Edoardo poté tranquillamente porre l’assedio a Calais,
principale porto del nord della Francia, per conquistarlo il 4 agosto
dell’anno seguente, il 1347, dopo numerosi scontri secondari. La città
sarebbe stata l’ultima roccaforte a rimanere in mano inglese, per cadere ben
oltre la guerra dei cent’anni.
La vittoria di Calais ci
appare ancora oggi come straordinaria, eppure Edoardo III concesse il bis a Poitiers,
il 19 settembre. Era cambiato il Re di Francia (ora era Giovanni II detto
“il Buono”), ma non l’esito della battaglia: anche questa volta gli
Inglesi, benché stanchi per la lunga marcia (e appesantiti per di più dagli
ingenti bottini guadagnati durante la guerra) e in netta inferiorità numerica
(c’è un francese ogni due britannici), stravinsero sfruttando un’altura
come base per gli arcieri. Stessa tecnica, stessa storia: la cavalleria francese
carica, viene accolta da una grandinata di frecce, appiedata e quindi abbattuta
dai fanti inglesi. Questi ultimi non sono cavalieri, e non conoscono codice
cavalleresco che tenga: non appena i cavalieri francesi cadono di cavallo, si
lanciano su di loro come luci famelici, trucidandoli prima che questi riescano
anche solo a rimettersi in piedi. Lo stesso re Giovanni II è preso prigioniero:
a nulla vale il sacrificio del suo battaglione, che combatte disperatamente fino
all’ultimo facendo quadrato attorno al sovrano.
Ma la guerra non finì qui, e ci fu tempo per un’altra, ultima débacle francese: quella di Azincourt, avvenuta il 25 ottobre 1415, dopo che Enrico V era sbarcato alla foce della Senna. Questa volta gli Inglesi sono seimila, contro la modica cifra di trentamila francesi. A guidare l’esercito d’Inghilterra però c’è Enrico V, figura leggendaria, benché abbia fatto uccidere il suo predecessore Riccardo II, succeduto a sua volta a Edoardo III, proprio grazie alla vittoria conseguita ad Azincourt.
Enrico
scelse, come il suo predecessore Edoardo, il terreno perfetto per lo scontro.
Questa volta non si avvalse di una collina dove schierare i suoi arcieri, ma di
una “comoda e invitante” palude. I cavalieri francesi ci misero del loro:
piazzandosi in prima fila (non volevano rimanere indietro mentre il resto
dell’esercito otteneva una così sicura vittoria) ostacolarono enormemente le
operazioni dei balestrieri, che non poterono tirare liberamente contro gli
Inglesi. Questi ultimi non si accontentarono di far impantanare i cavalieri
nemici: avanzando verso il nemico, si portano provocatoriamente a soli 200 metri
di distanza e piantano a terra lunghi pali appuntiti. Da quelle improvvisate ma
efficacissime postazioni, gli arcieri inglesi fanno come al solito il loro
lavoro. Questa volta lo scontro corpo a corpo è inevitabile, ma le suddette
rudimentali fortificazioni unite al terreno fangoso rendono quella che sarebbe
stata un’inarrestabile carica generale della cavalleria francese un
La vittoria di Azincourt
permetterà a Enrico V di conquistare Parigi, ma, per fortuna dei Francesi, sarà
anche l’ultima nel suo genere: la comparsa di Giovanna d’Arco, dopo
Azincourt, ridarà vigore ai Francesi, che riusciranno a riconquistare, dopo
alterne vicende, Parigi nel 1436 e in seguito, benché Giovanna fu
catturata dagli Inglesi e bruciata al rogo come eretica il 30 maggio 1431
(senza che il Re di Francia Carlo VII, succeduto a Giovanni II, abbia mosso un
dito per liberarla), tutta la Francia, con l’eccezione di Calais. E’ il 1453
e finalmente, a ben 116 anni dall’ormai lontanissimo 1337, la Guerra dei
Cent’Anni è finita.
Le
nuove armi:
La Guerra dei
Cent’Anni ha segnato la nascita dell’identità del popolo francese che, di
fronte all’invasore, per la prima volta si è sentito veramente un’unica
nazione.
Tuttavia, l’aspetto che
più ci interessa di questo lungo conflitto è quello strategico: con la Guerra
dei Cent’Anni assistiamo infatti al declino della cavalleria in favore della
fanteria. Le battaglie di Crécy, Poitiers e Azincourt costrinsero i generali
della fine del ‘300 e poi del ‘400 a fare i conti con due armi micidiali:
l’arco lungo e la balestra.
Grazie al loro leggendario
long bow, gli Inglesi sterminarono più e più volte i cavalieri francesi, ma
non dobbiamo dimenticare che fu soprattutto la balestra a segnare la loro fine.
Infatti, al di là della sconfitta subita dai balestrieri genovesi a Crécy,
quest’arma, dotata di una potenza di fuoco molte volte superiore anche
all’arco più potente, era la vera piaga dei cavalieri: sebbene le corazze più
resistenti potessero resistere ad una freccia scagliata con l’arco, nessuna
piastra di metallo, per quanto spessa, poteva reggere l’impatto con un
quadrello.
Andiamo ora ad esaminare
le due armi, evidenziandone punti di forza e debolezze.
Arco lungo:
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Alto tra i 70 e
gli 80 pollici, vale a dire 177-203 centimetri, il long bow è
fondamentalmente un’asta di legno, ottenuta sovrapponendo diversi
strati, messa in tensione da una corda. Dato che era il principale
strumento di caccia per la gente, ogni inglese lo sapeva impugnare ed
utilizzare con grande abilità. Poteva raggiungere una notevole
potenza, che gli conferiva una gittata di 160-200 metri. Gli arcieri
che combatterono a Crécy e nelle altre battaglie erano in grado di tirare
10-12 frecce al minuto, un ritmo impressionante che rendeva la vita
difficile a qualsiasi nemico. La sua unica debolezza era che le armature
più resistenti e quasi tutti gli scudi erano in grado di arrestare le
frecce scagliate, sempre che si riuscisse ad intercettarle… |
Balestra:
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Arma piuttosto
maneggevole, era costituita, fondamentalmente, da un corpo in legno a
cui era fissato un arco fatto di legno o di osso d’animale. Il
quadrello veniva sistemato sul corpo della balestra e la corda tesa a mano
o grazie ad una manovella, fino ad un fermo (chiamato “noce”) che la
manteneva in tensione. Il rilascio della corda avveniva liberando la noce
con meccanismi che potevano variare da modello a modello. Sebbene fosse
infinitamente più potente di un arco, e quindi in grado non solo di
perforare con facilità qualsiasi corazza ma di scagliare i quadrelli
anche oltre i 400 metri, la balestra richiedeva molto più tempo
per la ricarica rispetto al long bow, permettendo quindi una cadenza
di tiro limitata. |
Il declino della
cavalleria:
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Nell’Alto Medioevo
le battaglie devono essere state uno spettacolo mozzafiato. Esse potevano
essere infatti descritte, scremando la cosa, nel precipitarsi di due
schiere di nobili, rivestiti da corazze multicolori per potersi
riconoscere nel caos del combattimento, una contro l’altra, lancia in
resta. La guerra era dunque, in sostanza, una sorta di grande torneo, in
cui lo scopo era disarcionare il nemico, non ucciderlo: questo sia per via
del codice cavalleresco, sia per via del fatto che il riscatto di un
cavaliere ammontava ad una vera e propria fortuna! Quando però venne
combattuta la Guerra dei Cent’ |
Anni, le cose erano
diverse: gli Inglesi erano sempre in inferiorità numerica, e quindi sempre alla
ricerca di uomini da schierare. Limitarsi alla sola cavalleria sarebbe equivalso
ad un suicidio, ecco dunque che, per la prima volta, fecero la loro comparsa in
numero massiccio, sui campi di battaglia dell’Europa, i paesani armati e
inquadrati in formazioni di fanteria.
Armati alla meno peggio, i
fanti non potevano certo permettersi di risparmiare i cavalieri avversari,
specialmente perché i cavalieri francesi erano senza pietà: nessuno avrebbe
pagato alcun riscatto per un arciere gallese, né tanto meno lo si poteva
lasciare vivo, in quella guerra senza esclusione di colpi. I fanti combattevano
semplicemente per la loro sopravvivenza, e ciò li rendeva spietati. Il più
delle volte, dopo aver disarcionato un cavaliere colpendone il destriero, i
fanti lo trucidavano prima che questi, ostacolato dalla sua pesante armatura,
riuscisse anche solo a mettersi in piedi.
Il punto era proprio
questo.
Per sopravvivere alle
raffiche di colpi che ricevevano dagli arcieri o, peggio ancora, dai
balestrieri, i cavalieri erano costretti ad indossare armature sempre più
pesanti. Questo tuttavia li rallentava e quindi prolungava il tempo in cui erano
esposti al fuoco nemico. Che fare dunque? Non si poteva certo ridurre la
resistenza delle corazze, ma era sempre più fondamentale impattare col nemico
in pochissimi secondi. La soluzione adottata fu l’utilizzo di destrieri sempre
più forti, capaci di reggere il peso di un cavaliere. La forza degli stalloni
però non poteva essere ampliata all’infinito, e per di più il mantenimento
di un cavaliere, dei suoi cavalli, degli scudieri e dell’equipaggiamento era
costosissimo.
Ben presto i generali
capirono che l’unità bellica del futuro era la fanteria, e che le armi da
lancio avrebbero fatto da protagonisti nella storia futura.
Il declino della
cavalleria era cominciato.
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