Dell' Ippogrifo
La
figura dell’ Ippogrifo appartiene alla cultura greco-romana.
Questo animale, descritto nel 1516 da Ludovico Ariosto ha zampe anteriori e
corpo di un cavallo od i leone, mentre testa, collo, ali fittamente piumate e
zampe posteriori sono d’ avvoltoio e può volare più alto e più a lungo di
qualsiasi uccello.
Il suo nome è formato da ‘ippo’
(dal greco ‘hippos’, cavallo) e da ‘grifo’
(il grifone)
Nell’
opera di Orlando il Furioso, L’ Ariosto fa volare l’ amico di Orlando
Astrolfo sulla luna, per recuperare il senno perduto dell’ amico. Per
raggiungere la luna, Astrolfo di serve dell’ ippogrifo.
In quest’ opera, l’ animale trae elementi dal Pegaso e anche dal Grifone;
nel poema però, le parti leonine del grifone sono sostituite da parti di un
cavallo, ma la testa e le ali d’ aquila o avvoltoio rimangono.
Gia in un’ opera del Virgilio (nelle Bucoliche ) si trova un incrocio da
grifone e cavallo, considerato però, a causa dell’ odio tra i due animali,
assurdo.
E’ un animale fiero e territoriale, che difende le sue zone di caccia e
pascolo preferite allontanando chiunque minacci il suo territorio.
La
figura dell’ ippogrifo è stata utilizzata più volte anche in giochi di ruolo
come Dungeons&Dragons e in racconti del genere fantasy.
Appare anche, più recentemente, in un capitolo della fortunata saga di Harry
Potter, della scrittrice inglese J. K. Rowling
Dal ‘l'Orlando Furioso’ dell'Ariosto:
canto IV
”Non è finto il
destrier, ma naturale,
Ch'una giumenta generò d'un grifo:
Simile al padre avea la piuma e l'ale,
Li piedi anteriori, il capo e il grifo,
In tutte l'altre membra parea quale
Era la madre, e chiamasi ippogrifo;
Che nei monti Rifei vengon, ma rari,
Molto di là dagli aghiacciati mari.”
(…)
E dove l'ippogrifo trovaro anco,
Ch'avea lo scudo, ma coperto, al fianco.
(…)
Si leva in aria, e non troppo si scosta;
Come fa la cornacchia in secca arena,
Che dietro il cane or qua or là si mena?
Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
Quei cavallier che scesi erano insieme,
Chi di su, chi di giù, si son ridutti
Dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti
Più volte e sopra le cime supreme
(…)
E questa opera fu del vecchio Atlante,
Di cui non cessa la pietosa voglia
Di trar Ruggier del gran periglio instante:
Di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.
Però gli manda or l'ippogrifo avante,
Perché d'Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;
Ma quel s'arretra, e non vuol seguitarlo.
canto VI
Quello ippogrifo,
grande e strano augello,
Lo porta via con tal prestezza d'ale,
Che lascieria di lungo tratto quello
Celer ministro del fulmineo strale.
Non va per l'aria altro animal sì snello,
Che di velocità gli fosse uguale:
Credo ch'a pena il tuono e là saetta
Venga in terra dal ciel con maggior fretta.
Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio
Per linea dritta e senza mai piegarsi,
Con larghe ruote, omai de l'aria sazio,
Cominciò sopra una isola a calarsi,
Pari a quella ove, dopo lungo strazio
Far del suo amante e lungo a lui celarsi,
La vergine Aretusa passò invano
Di sotto il mar per camin cieco e strano.
(...)
Come sì presso è l'ippogrifo a terra,
Ch'esser ne può men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,
E si ritruova in su l'erboso smalto.
Tuttavia in man le redine si serra,
Che non vuol che 'l destrier più vada in alto:
Poi lo lega nel margine marino
A un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
canto XXXIII
L'ippogrifo per l'aria a sì gran corso,
Che l'aquila e il falcon vola assai meno.
Poi che de' Galli ebbe il paese scorso
Da un mare a l'altro e da Pirene al Reno,
Tornò verso ponente alla montagna
Che separa
Mariuccia
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