Scilla e Cariddi
Nella mitologia greca, e non solo, Scilla e Cariddi erano due mostri marini che abitavano due caverne ai lati dello Stretto di Messina, rispettivamente verso la Calabria e verso la Sicilia. Erano la personificazione dei vortici marini che in quel tratto, scoglioso, dovevano a quei tempi costituire un vero pericolo per i naviganti. Così i mostri facevano naufragare le imbarcazioni e divoravano i marinai. Secondo il mito Scilla era un tempo una ninfa bellissima di cui Glauco si era innamorato. Questi chiese alla potente maga Circe di dare alla ninfa un filtro d'amore, ma la maga le fece invece bere una pozione che la trasformò in un orrido mostro. Cariddi era invece la personificazione dei vortici.
Lettura dall' Odissea di Omero, libro XII
Là dentro Scilla vive, orrendamente latrando:
la voce è come quella di cagna neonata,
ma essa è mostro pauroso,
nessuno potrebbe aver gioia a vederla,
nemmeno un dio, se l'incontra.
I piedi son dodici, tutti invisibili;
e sei colli ha, lunghissimi; e su ciascuno una testa
da far spavento; in bocca su tre file i denti,
fitti e serrati, pieni di nera morte.
Per metà nella grotta profonda è nascosta,
ma spinge la testa fuori dal baratro orribile,
e lì pesca, e lo scoglio intorno frugando
delfini e cani di mare e a volte anche mostri più grandi afferra, di quelli che a mille nutre l'urlante Anfitrìte.
(…)
L'altro scoglio, più basso tu lo vedrai, Odisseo,
vicini uno all'altro,
dall'uno potresti colpir l'altro di freccia.
Su questo c'è un fico grande, ricco di foglie;
e sotto Cariddi gloriosamente l'acqua livida assorbe.
Tre volte al giorno la vomita e tre la riassorbe
paurosamente. Ah, che tu non sia là quando riassorbe.
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