Dell' Unicorno
La
figura dell’unicorno, mitico
animale dal corpo di cavallo con
uno stupendo corno in mezzo alla
fronte, è presente in molte
culture di ogni tempo… per
esempio anche William Shakespeare
nel III atto de “La tempesta”,
ne parla come un animale
incredibile. Del fatto però che
anche in tempi di Shakespeare si
parlasse di questo animale non ci
si deve meravigliare: da sempre
l’unicorno è stato una figura
molto importante e di prestigio.
Non era raro sentire di sovrani che
possedevano nelle loro collezioni
privare i corni di unicorno, oppure
trovare nelle farmacie delle
polveri di corno, tradizionalmente
incredibilmente potenti come
controveleno!
Ma l’atteggiamento degli uomini
nei confronti di questa creatura
mitica è stato nei secoli molto
discordante: basti pensare che
mentre alcuni lo annoveravano come
un flagello della natura, altri
usavano raffigurarlo addirittura
nei simboli araldici delle loro
famiglie, quasi conferisse
importanza e prestigio.
La concezione dell’unicorno nasce
fra la Cina e l’India: viene
infatti descritto per la prima
volta nel Li-Ki come uno dei
quattro animali benevoli, insieme
al drago, alla fenice e alla
tartaruga. Il suo nome originale
era K’i-lin, nome
che secondo la tradizione
cinese riuniva in principio
maschile e quello femminile, ed era
raffigurato come un grande cervo
con coda di bue e zoccoli di
cavallo, armato di un solo corno,
dai peli dorsali di cinque colori e
da quelli del ventre gialli o
bruni: non calpestava erba viva ne
uccideva animali viventi, e
compariva solamente nel momento in
cui venivano al mondo dei regnanti
perfetti. In occidente si iniziò
in seguito a confondere questo
animale mitico con il rinoceronte,
al corno del quale da sempre erano
attribuite della capacità
curative, ma nella tradizione
cinese i due animali erano
nettamente distinti senza nessun
dubbio.
In seguito la figura
dell’unicorno si diffuse verso
nuovo paesi e la ritroviamo in
culture estremamente differenti da
quella cinese: in Persia, ad
esempio, si parla di un immenso
unicorno a tre zampe, che aveva il
potere di purificare l’oceano.
Come detto in precedenza, il mito
dell’unicorno venne in Occidente
molto + tardi, ed è interessante
scoprire quali erano stati i canali
attraverso i quali la sua figura è
riuscita ad arrivare fino a noi e
con quale concezione.
Di sicuro molto influente fu la
figura di Ctesia, medico, storico e
viaggiatore vissuto intorno al VI
secolo a.C.: tra le sue opere, egli
ne compose una, “Indikà”, dove
parlava dell’India: anche se a
noi ne sono pervenuti solamente
pochi frammenti, abbiamo scoperto
delle descrizioni molto
interessanti e suggestive, che
hanno contribuito a creare intorno
a questo paese un alone di mistero:
“In India ci sono degli asini
selvatici grandi come cavalli e
anche di più. Hanno il corpo
bianco, la testa rossa e gli occhi
blu. Sulla fronte hanno un corno
lungo circa un piede e mezzo. La
polvere di questo corno macinato si
prepara in pozione ed è un
antidoto contro i veleni mortali.
La base del corno, circa due palmi
sopra la fronte, è candida;
l'altra estremità è appuntita e
di color cremisi; la parte di mezza
è nera. Coloro che bevono
utilizzando questi corni come
coppe, non vanno soggetti, si dice,
alle convulsioni o agli attacchi di
epilessia. Inoltre sono anche
immuni da veleni se, prima o dopo
averli ingeriti, bevono vino, acqua
o qualsiasi altra cosa da queste
coppe. Gli altri asini, sia quelli
domestici sia quelli selvatici,
nonché tutti gli animali con lo
zoccolo indiviso, non hanno né
astragalo né fiele, ma questi
hanno già sia uno che l' altro. Il
loro astragalo, il più bello che
io abbia mai visto, è simile a
quello del bue come aspetto
generale e dimensioni, ma è
pesante come piombo e completamente
color cinabro”.
I critici della storia antica
hanno versato botti di
inchiostro nel tentativo di
confutare le cose scritte da Ctesia:
si sarà fatto condizionare da
immagini e dipinti indiani? Si
riferiva a un semplice animale
molto conosciuto in Persia,
l’onagro, una specie di asino al
quale aveva dato delle sfumature
mitologiche? O magari aveva
semplicemente visto un rinoceronte
e lo aveva descritto con tanta
enfasi da stravolgerlo
completamente? O ancora si è
confuso con una comunissima
antilope tibetana, che ha delle
grandi orecchie dritte che viste di
profilo potrebbero sembrare un solo
corno?
Saltiamo direttamente al III secolo
d.C., e più precisamente in
Grecia, dove Eliano, un naturalista
che ben conosceva il rinoceronte,
al punto che nei suoi scritti non
viene neanche trattato, parla di ”un
animale che viveva all' interno
dell' India, ch' era grande come un
cavallo, di pelo rossiccio e che
gli indigeni lo chiamavano
kartazonos. Aveva una corno sulla
testa, nero e dotato di anelli; era
scontroso, e lottava anche con le
femmine della sua specie salvo nel
periodo degli amori”.
Inizia così il mito
dell’unicorno, animale fantastico
e raro, elegante e forte, dotato di
poteri misteriosi… con l’andare
del tempo divenne una vera e
propria preda da inseguire e
catturare!
Infatti, nel XII secolo, quando le
frontiere dell’Asia profonda
cominciarono ad aprirsi
all’Europa, si aprì anche una
caccia all’unicorno spietata:
nessuno si chiedeva più se questa
bestia esisteva o meno… si
pensava solo a cercarne una che si
avvicinasse il più possibile alle
descrizioni tradizionali per
conquistare fortuna e gloria!
Dopo la scoperta dell' America i sospetti dell'esistenza dell'unicorno si rinvigorirono di nuova forza e specialmente la credenza dell'enorme affinità dell'animale con l'acqua; basti notare che in moltissime rappresentazioni l'unicorno è sempre vicino a questo elemento: sul greto dei fiumi, sulle
spiagge, ecc....
Il fatto è che i coloni americani e soprattutto i canadesi ritrovavano nelle loro spiagge lunghi corni che arrivavano fino a 2metri. Ancora oggi nella baia di Hudson si possono fare tali ritrovamenti, ma ciò che sappiamo in più di allora è che sono il dente di un cetaceo di 6 metri il narvalo!
Tale animale è simile ad una foca e vive nelle fredde acque dell'Atlantico, raggiunta una certa età come succede per gli uomini anche lui perde i denti.
In un documento
apocrifo conosciuto come “Lettera
del Prete Gianni”, di metà XII
secolo, gli unicorni erano
annoverati senza dubbio tra le
meraviglie dell' Oriente. E
l’illusione di trovarne durò a
lungo: anche Marco Polo ne parla
nei suoi scritti… ma in realtà
anche lui cade nel grandissimo
errore di scambiare questi eleganti
animali con dei rinoceronti:
avvertiva che si trattava di brutte
e grosse bestiacce, che nulla
avevano a che fare con le mitiche
descrizioni del passato! Molti
decisero di credere ciecamente alle
sue parole… ma allora viene da
chiedersi: perché fino al
Rinascimento si è continuato a
cercare l'unicorno? Evidentemente,
perché Marco Polo e i bestiari
parlavano due lingue diverse, e il
rinoceronte visto dal primo non
cancellava affatto la creatura
mitologica e fantastica proposta
dal secondo. Ed è proprio questo
il bello, che rafforza la Nostra
idea di proporvi questo Bestiario:
la loro forza, infatti, non sta
affatto nella credibilità
"reale" degli animali
proposti, ma nella concezione che
non è possibile nemmeno oggi
spiegare e comprendere tutto ciò
che la natura ci presenta, ogni sua
rappresentazione, ogni sua parte e
potenzialità! D’altra parte,
secoli fa anche la semplice idea
che l’uomo potesse volare era
ridicola, ma qualcuno ci ha
creduto… ed eccoci sulla Luna!
Questo allora è l’unicorno… ci
crediamo?
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