L'Arte
nel Medioevo
L'Architettura
Romanica
Introduzione:
L'Arte del Medioevo
L’XI secolo e la prima
metà del XII secolo conoscono una grandissima espansione dell’arte cristiana,
il romanico, elaborato, sviluppato e perfezionato in una moltitudine di chiese
ed anche nei castelli fortificati. Arte della pietra, che raggiunge l’armonia
a partire dagli elementi più disparati, il romanico è però innanzitutto
un’arte religiosa, che attesta una fede ed esprime una mistica.
L’architettura romanica deriva dagli edifici carolingi ed ottoniani,
anch’essi ispirati dall’arte della Roma antica e più particolarmente
dell’arte paleocristiana (costantiniana), che aveva adattato alla funzione
religiosa la basilica tradizionale, di cui aveva utilizzato la pianta
amplificandola (abside, spazio interno a cinque navate, matroneo, nartece,
ecc.), su cui si erano innestate influenze orientali, che continueranno del
resto ad operare.
Le grandi costruzioni del IX secolo (ad esempio Fontanelle, la cattedrale di
Reims) aprirono dunque la strada alle nuove composizioni, predisponendone gli
elementi principali: sviluppo dell’abside, bracci del transetto con altare
secondario; cripta molto ampia; apertura di cappelle su corridoio a gomito che
circonda la cripta; ampio portico a due piani inquadrato da torrette e torri;
ecc. Fin da quest’epoca, inoltre, si sperimentano nelle cripte nelle navate
laterali i due principali sistemi di volta allora realizzabili: la volta a tutto
sesto e la volta a crociera.
Nella seconda metà del X secolo, si compì uno sforzo più deciso, ai tempi e
sotto l’egida, più o meno degli imperatori ottoniani (Ottone I, Ottone II,
Ottone III). A testimonianza di questa rinascita ottoniana esistono numerosi
monumenti, per lo più imponenti e maestosi tendenti anch’essi a fondere in un
complesso equilibrato dei blocchi ancora poco compatti (la navata, il transetto,
il massiccio occidentale) e che conducono più direttamente all’arte romanica.
Quest’ultima, infatti, assume la sua vera forma quando si diffondono i
procedimenti di costruzione della volta, peraltro non originali e già
utilizzati nel secolo precedente e sfruttati allora in numerose chiesette
meridionali, soprattutto dei Pirenei e della Lombardia. Questi piccoli santuari
danno un’impressione di armonia, che si ritrova del resto anche in edifici non
a volta (tra l’altro in Normandia), anch’essi appartenenti al romanico. Ciò
significa che questo stile consiste innanzitutto in una sistemazione dello
spazio per sovrapposizione di volumi che, alla fine, costituiscono un tutto
unico. Non c’è più la navata, il transetto, l’abside, il portico, il
nartece, ecc.: c’è la chiesa. Nasce dunque effettivamente quando questo
equilibrio è raggiunto nei grandi edifici urbani, per la cui costruzione non si
è fatto risparmio di mezzi. Intorno al 1000 e fino ad oltre il 1050, subendo
diverse influenze locali, il romanico è ancora molto disomogeneo. La sue
espansione è successiva e coincide con quello che possiamo definire il secondo
periodo romanico: i principali monumenti servono da modello per le chiesette di
campagna e diffondono la nuova estetica; ognuno ha una sua originalità, il che
contribuisce a mantenere la diversità, ma fra di essi ci sono analogie
abbastanza forti da esprimere una reale uniformità.
Tranne alcuni casi piuttosto rari di pianta circolare o di pianta centrale, la
più consueta è la pianta basilicale. La basilica, rettangolare, culmina in
un’ampia abside che contiene il coro; questo si ingrandisce in qualche modo, o
con absidiole scaglionate (corrispondenti in questo caso alle navate laterali)
con un deambulatorio, o con cappelle disposte a raggio. Questi grandi edifici
possiedono un transetto che, internamente, è propriamente aperto sulla navata,
mentre all’esterno si fonde più o meno con tutta la massa dell’edificio. Vi
si accede, a ovest, sul davanti dell’atrio o del nartece, attraverso un
portico; molto spesso, però, altre
porte sono ricavate alle estremità dei bracci del transetto, a meno che anche
questi non culminino in un’absidiola. La copertura è a volta: perlopiù,
nelle chiese modeste ad un’unica navata, la volta è soltanto a botte,
interrotta in qualche caso da archi doppi; quando vi sono navate laterali,
spesso sono coperte da volte a crociera (intersezione di due volte a botte
perpendicolari tra loro, dello stesso raggio, le cui linee di intersezione
disegnano quattro costoni che rinsaldano l’insieme). Nei principali santuari,
gli archi portanti tra i quali si sviluppa la volta poggiano su dei pilastri.
All’incrocio del transetto si innalza una cupola o un campanile, oppure, al di
sopra del portico principale o dai due lati della facciata, delle torri. Il
principale problema tecnico, per ciascun elemento e per tutto l’edificio, è
quello dell’altezza e dell’equilibrio dei pesi. Benché i pilastri
consentano di salire più in alto, la volta comunque è molto pesante e spinge
dai due lati verso l’esterno; come pure i semicantini; esternamente vengono
sorrette, se necessario, da contrafforti; anche torri e campanili danno spesso
una controspinta utile.
Così, la chiesa tipica dell’architettura romanica si presenta come un
edificio di media altezza, a volte anche basso e tozzo. Presenta nel portico e
nei portali, come nelle aperture e nei piani delle torri, una serie di arcate a
tutto sesto, alle quali corrispondono armoniosamente le linee arrotondate dei
muri delle absidi e delle absidiole, che forniscono alle absidi stesse, allorché
sono circolari, uno straordinario equilibrio, che si completa soprattutto per
l’armoniosa fusione dio forme semplici. All’interno, quella stessa semplicità
nell’armonia che ritroviamo grazie alla volta, colpisce tanto più il
visitatore in quanto vi domina il chiaroscuro. Infine, fuori come dentro, una
straordinaria scultorea rappresenta l’elemento di maggiore valore di questa
espressione artistica, manifestandone la vera genialità: una decorazione
prodotta dall’architettura ed intrinsecamente saldata con questa (infatti,
quelli che vengono cesellati sono sostanzialmente volumi in pietra già
collocati nel muro e legati ad esso e raramente dei pezzi aggiunti al di fuori
di un’esigenza architettonica).
Gli sforzi migliori degli incisori si concentrano sul portale e qui si ammirano
i capolavori. Nell’ampio campo semicircolare del timpano, tra l’architrave e
l’archivolto che lo delimitano, l’artista
può affermare il suo talento compositivo ed i grandi temi dell’iconografia si
dispiegano. L’architrave si presta si presta ai cortei, alle sfilate, al
sovrapporsi di episodi. La raffigurazione del tempo, delle opere e dei giorni
prende posto facilmente sui cordoni delle curvature, che, al pari degli strombi
o degli stipiti, possono offrire l’apparato monumentale o l’incantevole
cornice del gruppo scolpito nel timpano, distaccandolo dal muro spoglio. Altro
spazio privilegiato per la scultura, i capitelli, quelli delle grandi arcate ma
anche quelli dei matronei, delle gallerie, dei chiostri, delle torri, ecc. I
quattro lati scolpiti del capitello attraggono irresistibilmente lo sguardo per
loro contrasti di ombre e di luce in quel punto essenziale della scultura
architettonica, vale a dire il passaggio dalla colonna rotonda alla base
quadrata o rettangolare delle arcate. Tutto questo, comunque, è ancora soltanto
tecnica o risorsa ornamentale. Il risultato vero sta nella scultura in sé, la
cui fioritura rappresentò un grande momento della storia d’Europa e grazie
alla quale il romanico offre al ricercatore le infinite sfaccettature della
vita; al devoto infinite occasioni di vedersi incarnare od esprimersi nella
natura forze soprannaturali.
L’Architettura
Romanica
L’Architettura
Romanica viene generalmente divisa in cinque periodi:
Architettura Preromanica: sino al X secolo
Architettura Protoromanica: dal X al XI secolo
Architettura del Secondo Periodo Romanico: dal 1070 al 1150
Architettura Romanica Matura: il XII secolo
Architettura Tardoromanica: XIII secolo
La Chiesa di SANTA
SOFIA (Benevento)
La Chiesa fu portata a termine da Arechi II, Duca di Benevento, e fu inaugurata nel 762 d.C. perché raccogliesse le reliquie dei Santi protettori della gente longobarda.
Portale ingresso.
L'interno
del monumento, a pianta metà circolare e metà stellare, presenta due corridoi
concentrici creati da pilastri e colonne che formano un esagono centrale e un
decagono esterno e che reggono l'intera volta creando suggestivi giochi di luce
e di ombre.
Il perimetro della chiesa di S. Sofia, tra le più ardite e fantasiose
costruzioni dell'Alto Medioevo, ad eccezione delle tre absidi semicircolari,
rientra in una circonferenza che ha un diametro di mt.23,50. L'altezza massima
è di 8 metri.
All'interno
delle absidi sono visibili consistenti tracce degli affreschi originali dell'VIII
e IX secolo.
In
quella di sinistra è raffigurata la storia dei San Giovanni Battista con
l'Angelo che annuncia a Zaccaria la prossima nascita del figlio e San Zaccaria
diventato muto per l'annuncio ricevuto.
In quella
di destra è riprodotta l'Annunciazione a Maria e Visitazione di Santa
Elisabetta alla Vergine.
Il
Chiostro di SANTA SOFIA (Benevento)
Il
Chiostro
Il
chiostro si sviluppa su una pianta quadrata, con sedici pilastri, congiunti da
arconi ciechi, di tufo e mattoni. Tra i pilastri si aprono quindici quadrifore e
una trifora formate da archetti a ferro di cavallo. Gli archetti poggiano su 47
colonnine di granito, alabastro o calcare. con basi appoggiate su un muretto
alto circa 50 centimetri, sormontate ciascuno da un capitello e da un pulvino in
forma di capitello a stampella, tutti variamente scolpiti. Nonostante i
terremoti, la serie dei Mesi, raffigurata sui pulvini dell'angolo orientrante
del chiostro, si conserva nell'ordine antiorario originario. Si tratta dei
lavori agresti di sette mesi: giugno (uomo che falcia le messi recandone un
fascio sulla spalla; pulvino 10); luglio (uomo che batte un mucchio di grano con
un correggiato; pulvino 11). agosto (uomo che raccoglie fichi e li pone in un
cesto; pulvino 12); settembre (scena di vendemmia e pigiatura dell'uva; pulvino
13). Nella stessa quadrifora (il pulvino 15) sono rappresentati ottobre,
novembre, dicembre: con un uomo che raccoglie olive, uno che semina frumento e
un gruppo di persone che trasportano in spalla un maiale ucciso.E' probabile che
il pulvino 15 sia stato invertito con il 14 durante i restauri settecenteschi.
Se poi sulla colonna 7, anche il primo pulvino, perduto, rappresentava
contemporaneamente gennaio, febbraio, marzo, seguito da aprile sul pulvino 8 e
da maggio sul pulvino 9 - anch'essi perduti - è possibile ricostruire la
disposizione dell'intero gruppo delle sculture, ordinata dal Maestro dei Mesi.
Con l'invito al lavoro manuale, sacro come preghiera,
scolpito nell'itinerario della trifora e della quadrifora per redimere lo
spirito. il Maestro dei Mesi, depositario di cultura antica, concludeva qui il
suo impegno per il chiostro di S. Sofia.
Il
Chiostro
Nella
regola di San Benedetto l'espressione claustra monasterii indica semplicemente
il recinto del monastero e non una parte di esso. L'idea di uno spazio libero
attorno a cui disporre le varie parti del monastero per facilitare il passaggio
dall'una all'altra, secondo le varie esigenze della vita che i religiosi
conducono in comune, dovette sorgere a poco a poco. Nella Siria centrale, nel
monastero di Shagga, che risale probabilmente al sec.V, si trova già una specie
di cortile interno, toccato su tutti i lati delle varie costruzioni, contornato
da un portico. Nel 567 il concilio di Tours prescrisse che i monasteri
possedessero un locale che potesse ospitare quei monaci che volessero fare la
loro lettura; questo locale sarà poi il chiostro. Isidoro di Siviglia nomina,
tra le altre parti che deve avere un monastero, un portico per il quale i
religiosi possano recarsi al giardino. Anche il famoso monastero di San Gallo,
di cui ci è stata conservata la pianta, ci presenta un chiostro attiguo alla
chiesa. Qui il chiostro sembra avere l'ufficio di introdurre alle varie parti
del monastero, il che ha fatto pensare ad una derivazione dal peristilium della
casa romana. Il chiostro dei monasteri poté ben trovare la sua origine in una
necessità pratica, specialmente in Occidente dove la vita in comune, il
cenobio, prevale sull'isolamento individuale. Le varie parti dell'edificio
monastico non possono essere troppo lontane tra loro, per riguardo ai monaci che
debbono spostarsi da un luogo all'altro; di qui la necessità di riunire i vari
locali intorno ad una specie di cortile di disimpegno, provveduto di portici per
riparare i monaci dalle intemperie, e d'un pozzo o d'una fontana per le
necessarie abluzioni. Per il Wickoff v'è somiglianza tra il chiostro e l'atrium
delle basiliche cristiane (tra le quali va ricordata la basilica paleocristiana
di Caserta), che si spiegherebbe considerando che i primi nuclei di monaci si
riunivano intorno alla chiesa. La forma più comune del chiostro è la quadrata,
viene poi la pianta rettangolare.
Le
grandi abbazie possedevano almeno due chiostri, uno presso l'ingresso
occidentale della chiesa, l'altro ad oriente, dietro l'abside. Il primo serviva
di accesso alla sala capitolare, al dormitorio, al refettorio, alla sacrestia e
ad altri locali del monastero; questo chiostro era
Un’altra
perla dell’Arte Preromanica si trova nel comune di Montalcino (SI) ed è:
L’Abbazia
di Sant'Antimo
Secondo
la tradizione l'abbazia di Sant'Antimo venne fondata alla fine dell'VIII secolo
da Carlo Magno. Il documento più antico tuttavia risale all'813, si tratta di
un diploma di Ludovico il Pio nel quale il monastero, retto dall'abate
Apollinare, viene dotato di territori fra l'Ombrone, l'Orcia e l'Asso, fino alla
Maremma.
Altri documenti successivi di cui uno di Berengario ed Adalberto del 951 e uno
di Enrico III del 1051 sembrano dimostrare che il primo diploma imperiale a
favore dell'abbazia fosse stato redatto proprio da Carlo Magno.
Altri diplomi imperiali e papali redatti nel XII e XIII secolo testimoniano la
vastità dei possedimenti dell'abbazia toscana. Seconda per importanza solo
all'abbazia di Sesto presso Lucca, i suoi possessi superavano abbondantemente
quelli del potente monastero di San Salvatore al Monte Amiata.
L'abate di Sant'Antimo si potè fregiare a lungo del titolo di Conte Palatino
che così recitava: "Gratia Dei et Sanctae sedis Apostolicae Abbas Sancti
Antimi comes et consiliarius Sacri Romani Imperii".
Fino alla metà del XII secolo il monastero godette di fama e ricchezza, ma col
diminuire dell'importanza dell'ordine benedettino, iniziò un lungo periodo di
declino. Le prime avvisaglie si ebbero quando, col diminuire dell'influenza
degli imperatori, e la conseguente crescita delle autonomie locali, cominciarono
a crearsi attriti fra il monastero e la Repubblica di Siena in merito al
possesso dei territori. L'importanza strategica di alcuni castelli come
Castelnuovo dell'Abate, Monte Giovi e lo stesso Montalcino, che fu a lungo
conteso fra Siena e Firenze, costituirono il motivo principale degli attriti fra
il monastero e il comune senese. Basti pensare che nel Costituto del Comune di
Siena del 1262 sono dedicate diverse rubriche ai rapporti con l'Abbazia di
Sant'Antimo.
Verso la metà del XIII secolo le ricchezze del monastero dovettero essersi
quasi esaurite se, nel 1255 l'Abate offrì in vendita al Comune di Siena alcuni
dei suoi territori. Pochi anni dopo anche Castelnuovo dell'Abate, che pure era
stato completamente eretto dall'Abbazia di Sant'Antimo, compariva già fra i
castelli in cui veniva eletto un podestà senese.
Nel 1291 il decadimento dell'Abbazia di Sant'Antimo culminò con l'entrata
dell'ordine dei Guglielmiti ai quali fu concesso il monastero da parte della
diocesi di Montalcino, alla quale l'Abbazia era stata sottomessa. Non tardarono
ad innescarsi degli aspri conflitti di successione che neppure l'intervento di
diversi Pontefici riuscì a dirimere.
Dopo un lungo periodo di agonia il monastero venne soppresso con decreto di Papa
Pio II del 1462. I beni rimasti divennero proprietà della diocesi di Montalcino
ed il vescovo ereditò anche il titolo di "conte palatino e Abate di
Sant'Antimo". Nella seconda metà del XV secolo il vescovo di Montalcino
fece addirittura adibire a sua abitazione il matroneo sovrastante la navata
destra della chiesa abbaziale.
Da allora il degrado che si abbattè sull'antico monastero portò alla quasi
scomparsa degli edifici. Fu solo alla fine del 1800 che, grazie all'attenzione
dello studioso Antonio Canestrelli, si riaccese l'interesse artistico nei
confronti del monastero.
Arte e Architettura: Il XII secolo fu il periodo più florido per
l'Abbazia di Sant'Antimo. Nel 1118, probabilmente a seguito di una donazione del
conte Bernardo (riportata nella "charta lapidaria" dei gradini e
dell'altare maggiore), venne consacrato l'altare della grande chiesa romanica.
Il promotore dell'opera e forse anche l'architetto fu il monaco Azzo dei
Porcari, come ricordato da un'iscrizione sul portale della facciata che così lo
ricorda: "egregiae fuit auctor previus aulae atque libens operis portavit
pondera tanti".
La data del 1118 non rappresenta tuttavia la conclusione dei lavori,
Zona
Absidale
L'impronta di quattro
archi sulla facciata, di cui quelli centrali più ampi, mostra che nel
progetto iniziale era previsto un doppio portale, e le imponenti semicolonne
addossate superstiti probabilmente avrebbero dovuto sostenere le volte di un
portico o nartece.
Uno studio condotto dalla Raspi Serra, incentrato sulla decorazione plastica
della chiesa di Sant'Antimo, ipotizza che il portale oggi presente nella chiesa
di Santa Maria a San Quirico d'Orcia, sia uno dei portali commissionati per
Sant'Antimo, ma che a causa del decadimento che colpì l'Abbazia, siano stati
ceduti rimediando con una soluzione di ripiego più economica.
La convinzione della Serra si basa sulla straordinaria affinità stilistica del
portale di Santa Maria con lo stile scultoreo di Sant'Antimo e una
corrispondenza nelle misure con il portale attuale; oltre al fatto che risulta
alquanto sproporzionato per una piccola chiesa come quella di Santa Maria.
Capitello
con testa montone
I
fianchi della chiesa sono scanditi da semicolonne addossate e da lesene nel
corpo centrale, fra i quali si aprono finestre monofore.
Sul lato destro una delle porte d'accesso ha gli stipiti
e l'architrave riccamente scolpiti con motivi vegetali, intrecci e figure
animali (aquile, grifoni e draghi).
Sul lato sinistro un'altra porta, detta dei battezzandi, ha lo stipite e
l'architrave scolpiti, si tratta senza dubbio di pezzi di risulta provenienti da
una precedente costruzione preromanica.
L'interno è a
tre navate su colonne alternate a pilastri, la copertura della navata maggiore
è a capriate lignee, mentre le navatelle laterali e il deambulatorio sono
coperti da volte a crociera.
Come ha scritto il Canestrelli, alcuni degli elementi architettonici collegano
la chiesa di Sant'Antimo alla cultura artistica francese mescolata con i modelli
del romanico lombardo.
Sono francesi il deambulatorio e le cappelle radiali, la copertura delle
navatelle e del deambulatorio, nonchè lo slancio verso l'alto della navata
centrale. Appartengono alla tradizione italiana la copertura lignea,
l'alternanza di colonne e pilastri cruciformi ed alcuni elementi presenti nel
matroneo che rivelano influenze emiliane.
L'arredo
plastico, sia interno che esterno, rivela un gusto decorativo che lega influenze
nostrane al gusto degli artisti d'oltralpe. In particolare il capitello
raffigurante Daniele
nella fossa dei leoni, venne attribuito a maestranze tolosane da Enlart o
al "Maestro di Cabestany" dallo Juvent.
Anche i materiali utilizzati rivestono una importanza determinante nell'effetto
estetico della plastica, un "alabastro-onice" delle vicine cave di
Castelnuovo dell'Abate e un travertino con venature bianche, brune e dorate,
talora con suggestivi effetti di trasparenza, contribuiscono a rendere ancora più
affascinante l'effetto visivo dell'intero complesso.
Infine occorre ricordare l'antica chiesetta altomedievale detta "cappella
carolingia", posta sul lato destro della chiesa in corrispondenza
dell'abside. Si tratta di un edificio ad aula unica con abside semicircolare.
Sotto la chiesa si apre la cripta che il Salmi ritiene essere il più antico
esempio della Toscana. E' un piccolo ambiente sorretto da quattro colonnette
sormontate da capitelli a piramide tronca rovesciata che formano una
suddivisione in tre navatelle, secondo uno schema che avrà molto seguito nel
tempo.
Sul
lato opposto si innalza il campanile addossato alla chiesa. I piani sono
scanditi da cornici marcapiano e sono aperti da monofore e bifore inquadrati in
cornici culminanti con una serie di archetti pensili. Anche il campanile mostra
di non essere stato portato a termine; le campane infatti furono alloggiate in
una modesta vela sulla sommità della torre.
Un accenno è dovuto all'incantevole
paesaggio nel quale è immersa l'abbazia di Sant'Antimo, posta ai piedi
delle dolci colline dell'Amiata, nella valle del torrente Starcia, una cornice
d'arte e natura unica per il suo fascino e per la sua storia.
Riferimenti
bibliografici:
D. Negri "Chiese romaniche in Toscana"
I: Moretti e R. Stopani "La Toscana" serie Italia Romanica
J. Raspi Serra "Contributo allo studio di alcune sculture dell'Abbazia di
Sant'Antimo"
Sir Madhead.