Aleth
Notte
stellata quasi magica,
splendente
la luna nel cielo,
si
ode solo il rumore del mare
che
lambisce la spiaggia,
calmo….
Prologo
Una
figura camminava barcollando sulla riva della spiaggia, si stava dirigendo verso
una casa isolata e piuttosto malridotta, le luci erano spente.
“Apri,
apri per favore” gridò Selene bussando forte sulla vecchia porta di legno
“Chi è che grida nel cuore della notte? Non lo sai che ore sono?!”disse una
voce proveniente dall’interno della casa.
“Io
sì, ma il bambino non credo, per favore… - ansimò Selene - apri sta per
nascere” poi svenne.
Ladogh,
il ragazzo che abitava in quella vecchia casa, prese la giovane donna in braccio
e salito sul suo destriero la portò, più veloce che poté, dalla levatrice del
villaggio.
“Bisogna
fare presto Ladogh, la gravidanza è al termine e il bambino nascerà a minuti.
Non c’è tempo da perdere” disse la levatrice prendendo delle coperte pulite
“Posala su quel letto laggiù”.
Ladogh
la adagiò delicatamente su un giaciglio infondo alla stanza.
L’anziana
levatrice, una burbera signora che portava sul viso i segni del passaggio
inesorabile degli anni, mise sulla fronte di Selene un fazzoletto bagnato.
“Ha
la febbre alta” disse scuotendo la testa in modo contrariato, non si può far
nascere un bambino in queste condizioni, pensò.
“Ecco,
è il momento, sta nascendo!” disse a Ladogh.
E
in quella calma notte, un grido si levò al cielo, lacerando il silenzio: il
grido di un bambino appena nato.
“È
nata, è nata, guarda Selene, è una bambina!!” disse Ladogh con entusiasmo,
ma Selene non vide mai sua figlia, lo sforzo per il parto e la febbre alta
l’avevano uccisa.
Ladogh
chinò il capo senza dire una parola, era molto affezionato alla ragazza, erano
cresciuti insieme come fratelli.
Una
lacrima gli bagnò la guancia e poi cadde sul volto della bambina che stava
stringendo fra le braccia, ancora sporca di sangue.
Aveva
smesso di gridare, forse perché in quella casa era improvvisamente sceso un
cupo silenzio carico di tristezza e sofferenza. Muoveva le piccole manine
cercando di afferrare il ciuffo di capelli di Ladogh, ignara che non avrebbe mai
conosciuto sua madre.
“Mi
dispiace piccola” disse Ladogh prima di darla alla vecchia, si lasciò cadere
sulla sedia accanto al letto di Selene e rimase a guardare il corpo inerme della
bellissima ragazza, così giovane, aveva a malapena diciassette anni.
Non
è giusto, pensò, mentre le lacrime gli scorrevano sul volto.
Dopo
aver pulito e aver avvolto la piccola in calde coperte, la levatrice si girò
fissando Ladogh e con una strana durezza nella voce, forse fuori luogo in quella
situazione ma necessaria per smuovere il ragazzo, disse: “E la piccola? Chi si
prenderà cura di lei? Io sono troppo vecchia e la bambina non potrà crescere
da sola senza madre e padre. Occupatene tu Ladogh - si girò verso il corpo
della fanciulla e lo coprì con un bianco lenzuolo - è stata una grave perdita,
ma la vita va avanti e qualcuno dovrà crescere la bambina. Sono sicura che
Selene vorrebbe che la prendessi con te”.
Ladogh
rimase immobile in silenzio con lo sguardo fisso nel vuoto, non sembrava che
avesse udito nemmeno una parola del discorso della vecchia.
“Ladogh…”
Improvvisamente
il ragazzo si alzò, si diresse lentamente verso la porta dove era appeso il suo
pesante mantello nero, lo indossò e, presa la bambina, uscì dalla casa.
Il
cielo si era oscurato, carico di enormi nubi nere pronte a scatenare una
tempesta.
Il
vento si era alzato e il mare iniziava ad ingrossarsi, scagliando le onde, a
mano a mano sempre più grandi, contro gli scogli.
Ladogh
avvolse la piccola bambina nel suo mantello e partì in sella al suo destriero
per non tornare mai più…
Una
luce che si spegne,
una
vita che si perde.
La
tristezza è grande,
il
dolore immane.
L’immenso
vuoto che ha lasciato
non
potrà mai essere colmato.
Alzi
lo sguardo al nero cielo
e
ti domandi perché proprio lei
perché
proprio adesso.
Alzi
lo sguardo al nero cielo
e
ti chiedi perché.
“AAALEETH!!!!!!”
il grido proveniva dall’esterno della casa.
Aleth
sapeva fin troppo bene cosa significassero quelle grida: “Guai in arrivo”
disse Aleth in tono ironico girandosi verso la porta da cui sarebbe entrato.
Si
era ficcata di nuovo nei pasticci e come al solito LUI era venuto a saperlo. Era
inutile scappare, tanto l’avrebbe trovata lo stesso. In tutti quegli anni non
aveva ancora capito come diavolo facesse a sapere tutto quello che faceva, forse
aveva incaricato qualcuno di seguirla, pensò. No, non poteva essere, a meno che
la spia e l’uomo invisibile non fossero la stessa persona. Era stata
addestrata all’arte del combattimento e i suoi sensi erano sempre vigili e
allerta, se l’avessero seguita se ne sarebbe accorta.
Dalla
porta entrò un uomo, visibilmente irato, sulla cui tempia pulsava vistosamente
una vena: non era un buon segno. Era un uomo alto, sui trentaquattro anni, aveva
folti capelli neri dello stesso colore dei suoi occhi e, purtroppo per Aleth,
anche del suo umore.
“Di
nuovo, non ci posso credere! L’hai fatto DI NUOVO!!” fissò Aleth negli
occhi “Sono stato via solo un paio di giorni e tu sei riuscita a combinarne
un’altra delle tue!!”
“Ma….”
disse Aleth “SILENZIO, niente ma! Quando imparerai ad avere più rispetto per
le persone? Come ti sei permessa di fare al tuo maestro una cosa del genere?
Come?” quelle parole rimbombarono per tutta la casa, poi ci fu silenzio.
Nessuno
dei due parlava, ma Aleth non si sentiva in colpa, anzi, fissava i suoi occhi
neri con aria di sfida e, a stento, faceva fatica a trattenersi dal rispondere.
“Rispetto?”
disse Aleth “Per quel vecchio decrepito?!”. Non lo avesse mai detto…
“CHE
COSA?” gridò Ladogh con tutto il fiato che aveva in gola, era rosso dalla
rabbia, stava per esplodere. Qui urgeva subito una battuta in ritirata
strategica “Ehm, mi sono ricordata di un impegno urgente, devo scappare” e
se la diede a gambe più in fretta che poté.
Era
inutile, non sarebbe mai riuscita a spiegarlo e lui non poteva capire che cosa
volesse dire essere un’allieva del Maestro, si fermò alla riva di un fiume
nel mezzo del grande bosco: un posto conosciuto da pochi. Poiché non era
considerato un posto sicuro, la gente non lo attraversava, infatti si diceva che
fosse abitato da un mostruoso drago, ma Aleth non aveva paura, non ai piedi di
quell’albero in quella radura in mezzo al bosco.
Il
vento soffiava facendo ondeggiare i verdi fili d’erba e trasportando con sé i
petali dei fiori che crescevano a migliaia in quella radura.
Si
arrampicò sugli alti rami dell’albero. Qui si rifugiava quando qualcosa la
spaventava, e in quel preciso istante era terrorizzata: non aveva paura di
Ladogh o di una sgridata, ma di deluderlo. L’aveva fatta grossa, ma non aveva
il diritto di trattarla così. Il Maestro non era altro che un idiota: se la
prendeva sempre con lei e non perdeva occasione per umiliarla davanti agli
altri. “Solo perché sono una ragazza” disse imitando la voce del Maestro.
Forse
non avrebbe dovuto dirgli tutto quello che pensava di lui, ma era stato lui a
cominciare il duello; non era mica colpa sua se inavvertitamente quell’uomo
scorbutico e incapace mise il piede in fallo, e, scivolando sull’erba, rotolò
giù dalla collina cadendo in un porcile…
Ripensare
all’accaduto fece scoppiare a ridere Aleth, che a momenti rischiava di cadere
dall’albero. Ormai si era fatto buio e forse era anche ora di tornare a casa.
Chissà
se Ladogh si sarà calmato, pensò.
Scese
dall’albero e si avviò verso casa: in quel momento si mise a piovere
“Perfetto, non vedevo l’ora di infradiciarmi! Che bellezza....” disse
ironicamente, mettendosi a correre. Sembrava quasi che il tempo ce l’avesse
con lei: la pioggia cadeva sempre più forte tanto che a mala pena riusciva a
vedere dove andava.
Abitava
molto lontano dal bosco: casa sua era un po’ fuori da Ulden e lei si trovava
esattamente dall’altra parte. Ci voleva mezz’ora per arrivare alla radura a
piedi e con la pioggia che impediva la visuale ci mise quasi il doppio per
ritornare; e un’ora sotto la pioggia fredda in autunno non fa molto bene…
Quando
tornò a casa non vi trovò Ladogh. Era fradicia, affamata, debole e stava
tremando.
Salì
in camera sua per cambiarsi ma le scale sembravano più alte del solito.
Arrivò
in cima con molta fatica e in quel momento entrò Ladogh in casa, Aleth si girò
ma scivolò sullo scalino bagnato e cadde dalle scale.
Aprì
gli occhi due giorni dopo: stava sudando, la gola le bruciava, quasi non
riusciva a mandare giù la saliva. Non riusciva a mettere a fuoco la stanza, era
tutto sfocato….vicino al suo letto c’era un uomo, non riusciva a distinguere
chi fosse ma qualcosa le diceva che era Ladogh.
Incubi.
Paura,
terrore.
Fantasia
o realtà?
Solo
sogni,
remote
paure nascoste,
nell’animo.
Ti
intrappolano,
circondandoti
di ciò
di
cui hai più paura.
Nemmeno
da svegli ti lasciano in pace.
E
se si avverassero?
No,
sono solo sogni,
continui
a ripeterti…
Era
ancora molto debole e la stanchezza l’assalì di nuovo e cadde in uno stato di
dormiveglia: non riusciva a distinguere cosa fosse reale e cosa invece solo
causa della sua immaginazione. Continuava ad avere incubi e a fare un sogno
strano: c’era una voce, dolce e rassicurante che cantava una dolce canzone,
non riusciva a comprenderne le parole, ma la faceva sentire protetta e al
sicuro. Poi all’improvviso il sogno si trasformava: era buio e non riusciva a
vedere cosa stesse succedendo. Lei era a terra ferita, stava sanguinando e di
fronte era in corso un duello: due persone stavano combattendo, uno dei due
doveva essere colui che l’aveva ferita.
L’uomo
che stava vincendo era alto, aveva i capelli neri, come il cielo sopra di loro:
disarmò l’avversario e gli puntò la spada alla gola, l’altro disse:
“Cosa stai aspettando uccidimi”.
L’uomo
dai capelli neri disse con disprezzo: “Non mi abbasso al tuo livello, sei solo
un vile codardo. Scappa come fanno quelli della tua stessa specie e non osare
farti più vedere, non sarò ancora così clemente”
Quella
voce suonava familiare ad Aleth, ma quel tono di durezza e disprezzo non lo
aveva mai udito prima.
L’uomo
dai capelli neri si girò, ritirò la spada nel fodero e si diresse verso di lei
ma alle sue spalle il codardo raccolse la spada, si alzò e la conficcò nella
schiena del suo avversario. L’uomo cadde a terra fra le braccia di Aleth che
riuscì a vedere chi fosse: era Ladogh! L’altro si mise a ridere,:una fredda e
crudele risata.
“Noooooooo”
gridò Aleth.
Si
svegliò all’improvviso, era tutta sudata, si mise a sedere sul letto con la
testa fra le mani, stava piangendo. Nella stanza c’era qualcun altro, era
Ladogh, le mise una mano sulla fronte e la fece stendere “Sei ancora molto
debole, devi riposare, adesso dormi” disse con molta gentilezza.
Non
poteva morire, non sarebbe successo, si disse Aleth, era solo uno stupido sogno,
solo uno stupido sogno….
Nei
giorni seguenti cominciò a sentirsi meglio, non ebbe più quell’orrendo
incubo, ma il pensiero di quel sogno continuava a tormentarla: non era riuscita
del tutto a convincersi che non sarebbe mai potuto accadere.
In
poco tempo guarì completamente e ricominciò ad uscire. Riprese gli allenamenti
sotto la guida del Maestro, ma non era più la stessa: non era più allegra e
spensierata come prima, era sempre pensierosa e distratta. A distanza di un mese
dall’accaduto ripensava ancora a quello strano sogno e alla morte di Ladogh:
non riusciva a pensare ad altro e lo stuzzicare il maestro, prima sua attività
preferita, perse ogni attrazione, anzi, si concentrò di più sul combattimento
e continuava ad allenarsi anche nel pomeriggio alla radura.
Aveva
un brutto presentimento: stava per accadere qualcosa di brutto e sebbene fosse
certa che gli incubi non erano altro che proiezione delle sue paure, non
riusciva a dimenticare il viso di Ladogh e quella fredda e crudele risata…
“Ladogh?”
disse Aleth.
“Sì?”
“Parlami
della mamma…..si insomma com’era? Mi assomigliava?” chiese piuttosto
imbarazzata: non parlavano mai di sua madre, rendeva triste Ladogh.
“Selene
era una donna bellissima, aveva i capelli color dell’oro, così morbidi e
lisci. Era molto intelligente e spiritosa, e ti amava moltissimo. Non faceva
altro che parlare di quando saresti nata. I suoi occhi erano verdi come i campi
che amava tanto. Le piaceva molto arrampicarsi sugli alberi più alti e non
stava mai ferma un minuto. Mi ricordo che una volta si arrampicò su un enorme
quercia e - sul suo volto comparve un sorriso - mise un piede su un ramo molto
fragile che si spezzò. Lei cadde e si ruppe una gamba, ma questo non le impedì
di uscire di casa, e pochi giorni dopo la ritrovai ancora seduta sullo stesso
albero con la gamba tutta fasciata.
Ancora
mi chiedo come fece ad arrivare fin lassù con la gamba in quello stato”
Ladogh rivolse un sorriso ad Aleth “Tu hai la sua stessa forza vitale” disse
alla ragazza.
“Pensi
che se io non fossi nata lei sarebbe ancora viva?” Aleth abbassando lo
sguardo.
“Lei
ti amava immensamente, passava giornate intere a parlarmi di te. Ti voleva Aleth,
e niente e nessuno l’avrebbe mai persuasa dall’averti” fece una pausa
“Non è stata colpa tua, sono state le sue condizioni: era troppo giovane ed
era malata, tu non centri” il sorriso era sparito dal suo volto, ora fissava
il vuoto: nei suoi occhi si poteva chiaramente vedere la sua sofferenza.
“Mi
manca molto” disse ad Aleth “Ma il rivederla in te mi conforta, tu sei come
lei. Hai la sua bellezza e la sua risata e l’essermi occupato di te è stata
la cosa migliore della mia vita. Non pensare che sia stata colpa tua perché non
è così e, se tu non fossi mai nata, che cosa ne sarebbe stato di me?”
sorrise di nuovo “Ora non pensarci più e continua ad allenarti, il Maestro -
lanciò un’occhiataccia ad Aleth che assunse un atteggiamento angelico della
serie: “chi io?” con tanto d’immaginaria aureola sopra la testa - dice che
fai progressi e che ti stai impegnando. Come mai quest’improvvisa diligenza?
Stai tramando qualcosa vero?” la fissava intensamente sospettoso.
“No,
è solo che la botta che ho preso cadendo dalle scale mi ha fuso il cervello”
disse innocentemente.
“Non
mi convinci” disse Ladogh.
“Accidenti,
ok, d’accordo, mi hai scoperto, sto pensando a come farlo impazzire” disse
alzando gli occhi verso il soffitto della casa. Ladogh la squadrò seriamente,
stava per fare uno dei suoi soliti sermoni.
“Non
sto progettando nessun attentato alla vita del tuo caro Maestro” disse
aspramente “Davvero te lo giuro”si affrettò ad aggiungere, questo sembrò
tranquillizzare Ladogh.
“Comunque
è stato davvero buffo vederlo rotolare tutto coperto di fango, insieme ai
maiali” disse Aleth.
Scoppiarono
tutti e due in una fragorosa risata.
Aleth
lo fissò. Non so cosa farei senza di lui, pensò, non morire ti prego.
“Cosa
c’è?” chiese Ladogh.
“Niente,
pensavo che……no, niente lascia stare” sorrise, ma in cuor suo non
sorrideva, non succederà, eppure quel sogno sembrava così reale.
Le
realtà, un incubo da cui non ci si può svegliare
I
giorni passavano, e le stagioni si alternavano, rincorrendosi, prima l’estate,
poi l’autunno, l’inverno, la primavera e poi di nuovo l’estate.
Cambiando,
trasformando il paesaggio dall’immacolato bianco invernale, ai colori caldi
dell’estate: segnando il tempo che passa, inesorabile.
Il
tempo: unico maestro di vita e guaritore di ferite profonde. Però per alcune
persone il tempo non trascorre, si è fermato in un determinato istante della
vita: ci sono persone che vivono nel passato, non si accorgono del presente e
non gli importa del futuro.
Vivono
intrappolate in un ricordo.
La
ragazza che stava seduta su un ramo di uno dei più alti alberi della foresta di
Syn era una di queste. Era una ragazza di diciannove anni, molto bella, i
capelli color dell’oro le ricadevano sul volto, incorniciandolo; gli occhi di
un viola intenso fissavano il cielo stellato, carichi di una profonda tristezza
e solitudine.
Stringeva
forte nella mano destra una statuina di legno, molto ben intagliata,
rappresentava una ragazza che stava ballando. Era un regalo di Ladogh, disse che
rappresentava la sua anima: una bella ragazza che balla con grazia quasi divina.
Lui pensava che dentro di lei si celasse un’anima dolce e delicata capace di
incantare e rapire: per lui quella statuina rappresentava tutto questo.
Una
lacrima gli scorreva sul viso, amara quanto il dolore che provava per la
scomparsa della persona più cara che avesse mai avuto.
Erano
passati tre anni dalla sua morte, ma Aleth la riviveva ogni giorno. Come poteva
dimenticarla: era stata colpa sua, solo colpa sua.
Era
morto per proteggerla e lei era rimasta a guardare mentre l’uccidevano.
Era
morto tra le sue braccia, ferito a morte alle spalle. Nelle sue orecchie
risuonava ancora quella fredda e crudele risata. Poteva salvarlo o almeno
avvertirlo che alle sue spalle quell’essere si era rialzato e aveva raccolto
la spada; e invece era rimasta a guardare, impietrita, mentre Ladogh veniva
ucciso.
Ma
quel pazzo assassino non restò impunito: appena un anno prima Aleth lo scovò
in una taverna a ubriacarsi e lo disarmò con più facilità di quanto avesse
immaginato. Una volta disarmato qualcosa la fermò, non riuscì ad ucciderlo,
anche se la rabbia gli ribolliva nell’animo. Lo odiava per quello che era, per
quello che aveva fatto, per colui che aveva ucciso; ma fu proprio il ricordo di
Ladogh a fermarla: non poteva ucciderlo perché non era questo che le aveva
insegnato. La vendetta non era contemplata da Ladogh, le aveva sempre detto che
nessuno poteva arrogarsi il diritto di uccidere un altro essere vivente, e,
anche se l’odio e la rabbia era forti in lei, per amore di Ladogh non lo
uccise. Ma non gliel’avrebbe fatta passare liscia: lo colpì forte con
l’elsa della spada sulla testa e lo legò, appendendolo a testa in giù
davanti alla casa del Giudice, che, insieme al Consiglio, decise di condannarlo
a morte.
Tuttavia,
la sua morte non alleviò il suo dolore. Anzi, adesso che non aveva più nessuno
da odiare aveva riversato il suo odio verso l’unica persona che riteneva
davvero responsabile della sua morte, se stessa.
Aveva
perso la voglia di vivere, la sua energia; era solo un ombra che si aggirava per
il mondo senza una meta, intrappolata nel suo dolore. Non le importava più di
niente, voleva solo morire.
Ogni
notte aveva sempre lo stesso incubo: sognava la morte di Ladogh. Il sogno era lo
stesso che tre anni prima aveva fatto quando si era ammalata; ma adesso era
chiaro, non era più solo un sogno di una sedicenne ammalata, era diventato
reale. Adesso faceva parte del suo passato, non era più solo un incubo, ma un
ricordo vivo nella memoria di Aleth.
Viveva
un incubo da cui non si sarebbe più risvegliata e nulla avrebbe mai potuto
guarire quella ferita ancora sanguinante, nemmeno il tempo.
Mercanti,
Antichi e...sconosciuti
Aleth
chiuse gli occhi e si addormentò sul quell’albero, lo faceva ormai da
parecchio tempo. Non aveva dimora fissa e vagava di città in città, anzi, da
bosco a bosco, ormai da tre anni.
La
svegliarono i rumori dei carri dei mercanti che attraversavano il bosco di Syn
per arrivare in città a scambiare le merci al Trohst.
Il
Trohst di Syn era il più grande mercato della regione e i mercanti viaggiavano
per giorni, per poter arrivare in tempo. Si teneva il 3° giorno dell’inizio
del mese e il terzultimo della fine.
Il
Trohst di Syn era anche il più importante visti i bassi prezzi delle merci, e,
visto che Aleth aveva finito le provviste decise di fare un salto per rifornirsi
del necessario.
Scese
dall’albero infilò la spada nel fodero, raccolse la borsa e si legò i
capelli.
Era
già inusuale che portasse un’arma ma addirittura legarsi i capelli, pensò un
mercante vedendola: “Ehi tu, ma non ti vergogni? Legarti i capelli e portare
quella spada, tu, una donna”. Era tradizione che le donne Ystar tenessero i
capelli sciolti, ed era severamente proibito che portassero una spada.
Una
donna non è neanche in grado di pensare senza un uomo, figurarsi combattere,
pensò sconvolto il vecchio.
Aleth
si girò verso il mercante e lo guardò negli occhi: il suo sguardo avrebbe
potuto congelare le fiamme dell’inferno. Ma non fu questo a spaventare il
vecchio: quegli occhi erano viola, un colore insolito, anzi no, nessuno, maschio
o femmina che sia, sul pianeta Ystar aveva gli occhi di quel colore. Nessuno
tranne Aleth.
Decise
di ignorare quel vecchio pazzo “Ma li incontro tutti io?” maledizione, pensò
Aleth.
Arrivata
in città girò tra le bancarelle, i venditori non si preoccupavano del suo
aspetto, l’importante era pagare. Fece molte provviste, ma si accorse che
stavano finendo i soldi, avrebbe dovuto trovarsi un lavoro al più presto o
sarebbe rimasta al verde.
Mentre
camminava tra una bancarella e l’altra notò una locanda, vi entrò e chiese
alla locandiera se poteva lavorare lì per la durata del Trohst: circa tre
giorni o quattro quando gli affari vanno proprio bene.
“Mi
dispiace non abbiamo bisogno di un’altra cameriera” disse la locandiera
squadrandola da capo a piedi.
“Per
il Trohst vengono migliaia di persone da tutta la regione. Avrete di sicuro la
locanda al completo e vi farà comodo una persona in più” disse Aleth.
La
donna dietro il bancone le guardò con disprezzo i vestiti e i capelli.
“Posso
cambiarmi d’abito e sciogliermi i capelli se per lei è un problema” disse
scocciata Aleth.
La
locandiera accettò “Vieni qui stasera ti daremo noi un vestito decente, ma
dovresti vergognarti”.
“Si
certo mi vergogno moltissimo, ci si vede stasera” disse in tono ironico e uscì.
Si
fermò ad una bancarella di statuine di legno, di fianco a lei un uomo la notò:
era di una bellezza straordinaria, non aveva mai visto una creatura più
splendida.
“Ciao”
disse allegramente, Aleth lo ignorò.
“Ehi
ciao” ripeté il ragazzo, Aleth lo ignorò di nuovo e se ne andò.
Il
ragazzo la seguì “Nel caso tu non avessi sentito ho detto ciao” disse
camminando, Aleth si fermò gli rivolse una delle sue occhiate glaciali, più
gelida dei ghiacchi delle Terre di Wodce a sud.
“Addio”
disse e se ne andò.
“Uh,
fa freddo qui o è una mia impressione?” disse imperterrito.
“Comprati
un maglione” gli disse Aleth.
“Piacere
di conoscerti il mio nome è Krish” disse porgendole la mano, Aleth sfoderò
la spada e la puntò sul suo collo.
“Se
non vuoi morire Krish, vattene. Addio!”
“Ok,
non ti scaldare piccola” Aleth ritirò la spada nel fodero e proseguì per la
sua strada.
A
sera tornò nella locanda per lavorare, si mise il “vestito adatto” per una
donna Ystar, si sciolse i capelli e si preparò a servire i tavoli.
La
mattina dopo, Aleth sedeva sul ramo di uno degli alberi del bosco di Syn.
Di
lassù stava osservando il da farsi dei mercanti. Essendo uno degli alberi più
alti, da lì Aleth poteva vedere tutta Syn.
La
sera prima aveva guadagnato un bel po’ di Risth, la moneta della regione:
quando c’era il Trohst le locande erano sempre affollate, e con un altro paio
di sere avrebbe messo da parte abbastanza soldi per poter viaggiare fino al
prossimo Trohst.
Così
finalmente se ne sarebbe andata da quella città così affollata di mercanti,
gente senza scrupoli, il cui unico scopo di vita era far soldi, e di farne
sempre di più.
Ad
Aleth non piacevano i mercanti, in realtà ad Aleth non piaceva nessuno, ma i
mercanti non li sopportava proprio: per i soldi sarebbero stati capaci anche di
vendere l’anima.
Ad
un tratto sentì delle urla e il rumore di frustate. Decise di andare a vedere.
Quelle urla non le piacevano affatto: sembravano le urla di un bambino.
Si
avvicinò al limitare del bosco, c’era un carro fermo, e i rumori provenivano
da dietro. Aggirò il carro e vide un bambino di neanche sei anni steso a terra
con la schiena sanguinante e davanti a lui un uomo con la frusta in mano.
Aleth
non ci vide più. Come si permetteva di trattare così un bambino indifeso?!
Si
parò di fronte al bambino e afferrò la frusta stappandogliela di mano, sfoderò
la spada e la punto dritta alla gola dell’uomo.
“Lascialo
stare, sparisci e non farti più rivedere se non vuoi essere trafitto dalla mia
spada”
Il
mercante non se lo fece ripetere due volte e salì tremante sul suo carro.
Aleth
si girò, ritirando la spada nel fodero. Il bambino era a terra con gli occhi
chiusi, lo prese in braccio. C’era qualcosa di strano, lo guardò meglio,
sulla sua guancia destra c’era una specie di polvere blu. Polvere blu?
Il
bambino aprì gli occhi, due splendidi occhi….viola! Quel bambino che gli
stava sorridendo aveva gli occhi viola! Com’era possibile? Nessuno tranne lei
su Ystar aveva gli occhi viola.
Il
bambino prese a divincolarsi, Aleth lo lasciò andare e quello fece una cosa
molto strana: stava volando. Sì, volava. I suoi piedi non toccavano terra, lui
era sospeso a mezz’aria e guardava sorridente Aleth. Poi svanì nel nulla,
come se non fosse mai esistito.
Aleth
era sconvolta, l’aveva lasciata letteralmente a bocca aperta “Devo essere
impazzita” si disse.
“Sì,
deve essere così, sto impazzendo. Occhi viola, polvere blu, bambini volanti, ho
le allucinazioni! È l’unica spiegazione logica” cercò di convincersi.
Era
già mezzogiorno inoltrato e il suo stomaco pretendeva del cibo, così decise di
tornare sul suo albero a pranzare. Si arrampicò, ma non troppo in alto.
Quando
si girò per appoggiare lo zaino per poco non le veniva un infarto. Si spaventò
tanto che cadde a terra: seduto sul ramo c’era un uomo con i capelli lunghi e
bianchi, ma non dimostrava più di quarant’anni. Gli occhi erano viola e
aveva, come quel bambino, una strana polvere blu sulla guancia destra…
Sì,
stava davvero impazzendo, un’allucinazione poteva capirla, la fame e la
stanchezza causano di queste cose, ma due, due allucinazioni in poco tempo?
Doveva farsi vedere da un dottore, forse si era ammalata e aveva la febbre alta.
No, non poteva essere, si sentiva benissimo, ma allora…
“Ciao”
disse. Aveva uno strano accento, ma non quello di un forestiero che non parla
bene, era solo diverso, non sapeva spiegarselo.
“Ti
sei fatta male?” disse saltando giù dall’albero.
“No,
sto….sto bene grazie”. Lui le porse una mano per aiutarla a rialzarsi, ma
Aleth non la prese e si rialzò da sola.
“Tu
chi sei?” gli chiese, lo strano uomo non rispose.
Questo
ad Aleth non piacque molto, si era ripresa dallo spavento e stava squadrando
l’uomo di fronte a sé. Teneva una mano sull’elsa della spada, non si
fidava, allucinazione o no.
“Tu
chi sei?” ripeté.
“Non
c’è bisogno della spada. Non sono venuto per combattere” disse.
“Mi
fa piacere saperlo, ma non hai risposto alla mia domanda” disse con sospetto
Aleth.
“Il
mio nome è Lewes, sono un Antico”
Un
antico? “Che cosa vuoi da me?” gli rivolse il suo sguardo gelido, ma Lewes
non si scompose, continuò a sorriderle: sembrava compiaciuto, quasi divertito.
“Ringraziarti,
poco fa hai salvato un bambino. Ti ringrazio a nome di tutti gli Antichi”
“Bene,
adesso te ne puoi anche andare” disse sgarbatamente, nel suo sorriso c’era
qualcosa che la infastidiva. Il suo intuito le diceva che quello avrebbe portato
guai, e finora non si era mai sbagliata.
“Sai
chi sono gli Antichi?” chiese gentilmente Lewes, adesso era diventato
improvvisamente serio.
“No,
mi dovrebbe interessare?”
“Veniamo
chiamati così poiché siamo il popolo che abita questo pianeta da molto prima
che gli Ystar nascessero. - fece una pausa, fissando la ragazza - Tutti gli
Antichi hanno una specie di polvere blu sulla guancia, simbolo della nostra
razza, e tutti abbiamo gli occhi viola”.
Aleth
era sconvolta, anche lei aveva gli occhi viola, anzi, solo lei aveva gli occhi
viola fra gli Ystar: il suo cuore aveva accelerato i battiti. C’era qualcosa
che non quadrava, sua madre era un Ystar, ne era sicura, Ladogh non aveva mai
parlato di nessuna polvere azzurra.
“Che
cosa vuoi dirmi con questo?”
“Non
l’hai ancora capito?” disse sorridendo
“Senti,
non so dove vuoi arrivare con queste parole, ma so una cosa: non mi interessa.
Mi hai ringraziato, bene, adesso te ne puoi anche andare” sembrava che le
parole non l’avessero sfiorata, ma in realtà era spaventata. La conversazione
aveva preso un brutta piega, anzi, pessima. Se ne doveva andare al più presto.
Strinse più forte l’elsa nella mano.
“Ti
ripeto che non c’è bisogno della spada” così dicendo allungò la mano e la
spada scomparve dal fodero e riapparve nella mano di Lewes.
Di
bene in meglio, pensò Aleth. Bambini che scompaiono, Antichi, spade che si
teletrasportano, e poi cosa succederà? Era disarmata e questo non andava bene,
non era affatto un buon segno.
“Se
non ce né bisogno allora ridammela” disse Aleth.
“Se
non ce né bisogno, non c’è motivo che tu la porti, no?”
Aleth
si stava irritando “Allora non c’è motivo che tu la impugni, no?” stava
visibilmente perdendo il controllo. Lo sguardo gelido fu sostituito da rabbia
crescente. Come osa prendersi gioco di me, pensò.
“Non
mi sto prendendo gioco di te”
Ma
come diavolo a fatto? Non era possibile che sapesse leggere nel pensiero, pensò,
o forse sì? “Allora ridammi la spada!”
“Non
potrei mai fare del male ad un membro della mia stessa razza”.
Queste
parole atterrirono Aleth: non era possibile! Lei un Antico? Lo sapevo che non
sarei mai dovuta venire a Syn, me lo sentivo che ci sarebbero stati guai, si
disse.
“È
impossibile, mia madre non era un Antico. Era un Ystar” era sconvolta ma non
si sarebbe mai fatta ingannare da uno con le guance blu!
“Ne
sei sicura?”
“Certo,
aveva gli occhi verdi e poi, se fosse stata un Antico, Ladogh me lo avrebbe
detto” disse Aleth.
“Ne
sei sicura? E se nemmeno Ladogh, che immagino sia il tuo tutore, ne fosse stato
al corrente?”
“Prima
di tutto Ladogh non era il mio tutore, e poi che cosa vuoi dire? Che mia madre
era un Antico?”
“No”
le rispose divertito Lewes.
Quel
tipo si faceva sempre più irritante “Ma tu hai detto…”
“Tua
madre non era un Antico, ma nemmeno un Ystar”
Aleth
stava perdendo la pazienza: “Senti non prenderti gioco di me, io….”
“Tua
madre - la interruppe Lewes - era per metà un Antico e per metà un Ystar. È
per questo che non aveva gli occhi viola, e per quanto riguarda il segno blu
sulla guancia non lo aveva perché è cresciuta con gli Ystar”
“Senti,
se non ti dispiace ho di meglio da fare che stare ad ascoltare le tue idiozie”
disse gelida.
“Non
sono idiozie. Tua madre era veramente per metà un Antico, i tuoi occhi ne sono
la prova”
Aleth
non sapeva cosa dire: un tizio venuto dal nulla le dice che sua madre
apparteneva ad un popolo di cui prima d’ora non aveva mai sentito parlare. Non
si fidava.
“Che
cosa vuoi da me?” gli chiese.
“Voglio
metterti in guardia e ricondurti al nostro popolo. Tu non appartieni agli Ystar.
Tu sei un Antico” disse in tono molto serio.
“Mettermi
in guardia su cosa?”. Quel tipo era pazzo.
“Sugli
Ystar. È gente perfida e avida: sono assetati di potere, si uccidono tra di
loro e come se non bastasse uccidono anche noi” le sue parole erano cariche di
odio e di rancore.
“Gli
Ystar non sono tutti crudeli” stava pensando a Ladogh.
“A
no? Lo pensi davvero? E sai chi ha ucciso il tuo caro tutore? Tuo padre lo ha
ucciso. Non lo sapevi? Era solo un misero Ystar, e come tutti quelli della sua
specie era un lurido assassino” disse con disgusto Lewas.
Aleth
si oscurò “Hai ragione sul fatto che quell’uomo era solo un lurido
assassino, ma ti sbagli di grosso se pensi che quello fosse mio padre. Ladogh
era mio padre”
“Ladogh
tuo padre? Ti sbagli”
“Forse
non di sangue, ma è stato lui a crescermi. Si è preso sempre cura di me, ed è
morto per difendermi. Lui era mio padre, non quel verme che lo ha assassinato”
come osava rinfacciarle il suo passato.
“Ladogh
era solo un….Ystar. Credi che ti abbia salvato? Probabilmente lo ha fatto per
qualche interesse personale”
Questo
era troppo per Aleth.
“Sì,
esatto lo ha fatto per un interesse personale. Io, ero il suo interesse
personale. Non ti permettere più di insultarlo, era la persona migliore su
Ystar. Persino migliore di tutti gli Antichi messi assieme”
“Come
osi….” disse Lewes.
“COME
OSO? COME OSI TU! Come ti permetti di venire qui ad insultare la memoria della
persona più cara che ho! Non ci tengo a diventare un Antico. Io non sono un
Antico, e non lo sarò mai! Vattene e non farti mai più rivedere o farai una
brutta fine, sono stata chiara?”
“Se è questo quello che vuoi, fai pure. Ti restituisco la spada,
non ti farò perdere altro tempo. Pensavo fossi diversa, ma mi sbagliavo” così
dicendo restituì la spada ad Aleth e poi scomparve nel nulla.
Era
sconvolta “Io sono diversa, diversa da te e da chiunque altro. E ne sono
felice!” era più che sconvolta, era arrabbiata.
Corse
via dal bosco, non voleva incontrare nessun altro Antico.
La verità
fa male
La
mattina seguente Aleth lasciò Syn.
Lo
sapeva che non sarebbe dovuta venire in questa città, ha portato solo problemi.
Mercanti e Antichi, quella città dovrebbe essere dichiarata zona proibita, pensò
ancora di pessimo umore.
Mentre
camminava, appena fuori città incontrò Krish, l’uomo che l’aveva
disturbata al mercato.
“Ciao”
disse felice.
“Che
cosa vuoi?” rispose acida Aleth.
“Sapere
il tuo nome mi farebbe molto piacere, ma preferirei che la smettessi di usare
quel tono con me! Non mi sembra di averti fatto niente, o sbaglio?” disse
serio
“Mi
chiamo Aleth” disse sbuffando.
“Finalmente!
Aleth, davvero un bel nome. Ti ricordi del mio? Mi chiamo Krish” disse
sorridendo mentre scendeva da cavallo.
“Già”
rispose Aleth.
“Stai
andando anche tu a Irin? Come mai vai lì? Io ci vado perché ho sentito che è
proprio una splendida città. Penso che arrivato lì aprirò un attività, e
tu?” Krish stava conversando amichevolmente nonostante il pessimo umore di
Aleth: era talmente nera che avrebbe fatto paura persino al più feroce drago di
Ystar, ma Krish sembrava non accorgersene.
“Stavo
cercando di andarmene da questa città per non dover incontrare più gente
malata di mente, ma a quanto pare sembra impossibile” gli disse senza neanche
guardarlo in faccia.
“Sei
di pessimo umore per quello che ti ha detto quello strano tipo nella foresta?”
Aleth si fermò di colpo “E tu come….”
“Ho
ascoltato involontariamente la vostra conversazione, mi dispiace.” Sembrava
sincero, ma Aleth non ci fece caso, si infuriò e basta.
“Come
ti sei permesso di spiarmi?” disse ancora più nera di prima, sempre se fosse
possibile.
“Non
ti stavo spiando, mi piace fare delle passeggiate nel bosco e sono capitato da
quelle parti. Non l’ho mica fatto apposta!” disse Krish fissandola negli
occhi.
“Anche
se non lo hai fatto apposta non mi interessa. Non lo dovevi fare e basta!” si
girò e riprese a camminare.
“Senti,
ma davvero tuo padre ha ucciso….” si interruppe, forse non sono affari che
mi riguardano, pensò.
“Quello
non era mio padre, e questi non sono affari tuoi” disse chiudendo il discorso.
“Forse,
- quel ragazzo o era molto tenace o molto stupido - ma non dovresti comportarti
così!” senza dubbi, davvero molto stupido.
“E
come dovrei comportarmi sentiamo? Fare i salti di gioia? Oh no, aspetta, forse
dovrei trasferirmi a Irin e aprire un attività. Eh?! Che ne dici? Sembra
davvero un idea fantastica!” disse ironicamente.
“Non
sei divertente. Dico solamente che dovresti….”
“Farti
gli affari tuoi! - lo interruppe Aleth - Tu non sai....tu non sai cosa significa
aver perso tutto. Non sai cosa significa esserne l’unica responsabile! Per cui
non venirmi a dire cosa devo o non devo fare. Tu non sai niente, ok? Vattene per
la tua strada e io andrò per la mia. Non disturbarmi più con i tuoi stupidi
consigli, anzi, non disturbarmi proprio più e basta!”.
“Ok,
forse non so niente di te, ma una cosa la so: stai buttando via la tua vita. Ti
ho osservato. Non fai altro che essere arrabbiata dal mattino alla sera. E
quando non sei arrabbiata fissi il vuoto ricordando episodi spiacevoli del tuo
passato. Ogni volta che qualcuno ti rivolge la parola tu lo guardi come se
volessi ucciderlo e poi sfoderi la spada: allontani tutto e tutti da te, e poi
ti rifugi nel passato e nei ricordi. Sei sicura che sia questo quello che vuoi?
Ne sei certa? Passare il resto della vita a guardarti indietro e a incolparti di
qualcosa che non hai fatto? Pensi di essere stata tu la causa della morte di
Ladogh? Hai detto che ti voleva bene, la sua è stata una scelta: ha scelto di
difenderti a costo della sua vita. Ma quello che tu non hai ancora capito è il
perché lo ha fatto! - fece una pausa - Ti credevo più sveglia. Lo ha fatto per
donarti un futuro, per permetterti di vivere, e tu? Sembri uno zombie che
cammina. Odi tutto e tutti e più di tutti te stessa. La verità è che hai
paura, paura di affrontare la sua morte e così continui a scappare. È facile
fuggire, ma tu devi reagire! È così che lo ringrazi? Così rendi il suo
sacrificio vano, vuol dire che non è riuscito a salvarti! Tu sei morta quel
giorno insieme a lui” salì in sella al suo cavallo “Non perdo tempo a
parlare con i morti, addio” e se ne andò.
Era
incredibile! Non sapeva se inseguirlo e ucciderlo oppure lasciarlo stare.
Optò
per la seconda e cambiò strada. Dire che era incavolata era dir poco. Decise
che ne aveva avuto abbastanza: non ne poteva più di gente che credeva di sapere
tutto e che credeva di poterla aiutare dandole le proprie perle di saggezza.
Girò
verso Kerw, ma non si diresse in paese, preferì stare da sola e andare verso la
spiaggia.
Quello
che la faceva infuriare di più era che forse quell’uomo aveva ragione, doveva
reagire.
Si
sedette sugli scogli. Era una splendida giornata, il cielo era di un azzurro
acceso, talmente luminoso che si faceva fatica a guardarlo.
Aleth
rimase ad ascoltare il rumore che provocava l’infrangersi delle onde del mare
sugli scogli.
Forse
aveva davvero ragione, pensò: stava buttando via la sua vita e questo a Ladogh
non sarebbe piaciuto, e non piaceva nemmeno a lei.
Rischiava
di dimenticarsi persino quali erano i suoi sogni, che cosa aveva progettato di
diventare.
Ripensò
ad un episodio passato: era bambina e aveva litigato con un ragazzo più grande
perché lo aveva visto fare del male ad un'altra ragazza. Non si ricordava con
precisione quello che era successo, ma si ricordava benissimo in che stato era
tornata a casa: con un occhi nero e diversi lividi e ferite. Quando Ladogh
chiese cosa era successo, lei rispose che non ne poteva più di fare la
ragazzina per bene e girarsi dall’altra parte ogni qual volta qualcuno veniva
preso a calci.
Era
ingiusto e stupido, e lei non lo tollerava. La sua determinazione fece scoppiare
a ridere Ladogh. Non si era mai vista una cosa del genere su Ystar: una ragazza
che faceva a botte.
Lei,
in risposta alla sua risata, disse che da grande non avrebbe mai permesso alla
gente di fare del male: avrebbe viaggiato di città in città e ogni volta che
avrebbe visto un ingiustizia l’avrebbe fermata!
Ladogh
le chiese se valeva la pena rischiare la vita per difendere delle persone che
neanche conosceva, Aleth gli rispose che per ogni persona che avrebbe aiutato ne
sarebbe valsa la pena.
Da
quel giorno iniziò ad imparare a combattere sotto la guida del Maestro.
E
adesso invece cos’era diventata? Cosa aveva fatto? Niente, si piangeva addosso
lamentandosi di quello che era successo.
Rimase
seduta sugli scogli a pensare tutto il giorno, poi decise che sarebbe stato
meglio andare in città e alloggiare in locanda.
Mentre
cammina per raggiungere la città vide due uomini che ne stavano picchiando un
terzo. Erano degli strozzini che tartassavano un debitore che non aveva
abbastanza soldi per poterli pagare. Senza neanche pensarci Aleth si diresse
verso quei due: toccò sulla spalla di uno, quello si girò. Non ebbe neanche il
tempo di vedere chi l’aveva disturbato che ricevette un pugno sul naso,
rompendoglielo. Afferò la testa sanguinante e gli sferrò una ginocchiata nello
stomaco, facendolo crollare a terra. L’altro sfoderò la spada e attaccò
Aleth che lo evitò, sguainando anch’essa la spada. Lottarono a lungo, era
piuttosto bravo, ma lei lo fu di più riuscendo a disarmarlo e a sferragli un
calcio in faccia. Lo mandò KO al tappeto. L’altro in tanto si era ripreso e
da dietro la afferrò e la scaraventò a terra con una forza inaudita.
Aleth
era a pezzi, si chiese se valeva la pena di ridursi così. Si girò verso
l’uomo a terra, era in fin di
vita, quei due l’avevano pestato a sangue: sì, ne valeva veramente la pena.
Si
rialzò in piedi e venne afferrata alle spalle, la stava stritolando, ma gli tirò
una testata sciogliendosi dalla presa. Poi lo afferrò e lo scaraventò contro
il muro di una casa vicina.
Quando
intorno a te ci sono solo macerie,
quando
ormai nessuno ha più la forza di combattere,
sui
detriti di numerose guerre che devastano tutto,
si
alzeranno sopra le macerie
reggendosi
a stento in piedi,
coloro
che combattono per un ideale.
Coloro
che credendo in qualcosa,
anche
con il volto coperto di sangue,
e
nell’animo numerose ferite,
avranno
la forza di rialzarsi ad ogni colpo
e
di levare la spada con mano ferma verso il nemico.
E
quando cadranno esanime al suolo
senza
più vita in corpo,
non
sarà stato vano il loro sacrificio.
Perché
per ogni uomo che hanno aiutato,
per
ogni vita che hanno salvato
ne
sarà valsa la pena.
Epilogo
Krish
stava uscendo dalla locanda di Irin. Appena uscito si imbattè in uno spettacolo
insolito: alcuni uomini stavano combattendo con uno strano tizio, no, non era un
tizio era una ragazza!
Una
ragazza che combatte, ma è inaudito, pensò. Cercò di guardare meglio la
ragazza: aveva lunghi capelli color dell’oro, li teneva legati come non
dovrebbe mai fare una donna Ystar; aveva gli occhi viola, sapeva maneggiare una
spada e vestiva come un uomo.
“Dov’è
che l’ho già vista?” si chiese Krish. Erano passati due anni dal loro
ultimo incontro, ma lui non l’aveva scordata, e come avrebbe mai potuto? Non
è un tipo che si dimentica facilmente.
Finito
lo scontro, vinto da Aleth, si avvicinò a lei.
“Chi
sei?” chiese con uno strano tono.
Aleth
lo guardò e si ricordò di lui “Sono Aleth” rispose gentilmente.
“Sei
cambiata. Un tempo mi avresti minacciato con la spada” disse serio.
“Se
proprio ci tieni non mi ci vuole niente a sfoderare la mia spada e a infilzarti
lo stomaco” disse sorridendo.
“No
grazie sto bene così, vedo che hai capito finalmente”
“Sì,
ma non certo grazie a te”
“Sempre
molto cordiale eh?”
“Ovvio”
“Perché
lo hai fatto?” chiese guardando gli uomini stesi a terra.
“Mi
stavano antipatici” disse ironicamente Aleth
“E
il fatto che fossero mercanti di schiavi e che hanno rapito diverse bambine non
centra?”
“Se
sapevi quello che stavano facendo perchè non li hai fermati?”
“Da
solo?”
“Anch’io
ero sola eppure li ho battuti”
“Io
non ho il potere di raccogliere la spada da lontano solo con un gesto della
mano”
Essere
un antico non era poi così male, pensò Aleth.
“Tutte
scuse” disse.
“Allora
sei diventata un eroe?” stava sorridendo “Combatti i cattivi e le
ingiustizie?”
“No,
non sono un eroe, sono solo una persona come tante che cerca fare quello che può
per aiutare chi è in difficoltà. E quelle bambine lo erano”
“Perché?”
chiese Krish
“Ma
fai sempre così tante domande?”
“Non
mi hai risposto”
“Perché
ne vale la pena”
Era
la risposta che Krish voleva sentire “Vengo con te”
“Come?”
disse sorpresa.
“Mollo
tutto e mi unisco a te” era molto serio.
“Perché?”
“Perché
ne vale la pena”
“Cosa
fai mi copi le battute? - sorrideva, adesso non era più sola - Come vuoi, ma io
ti avviso: non provare a fare vigliaccate, come piantarmi nel bel mezzo di uno
scontro, perché se no fai una brutta fine!”
“Ma
riesci ad avere una conversazione civile senza minacciare le persone?”
“Ma
è così divertente!”
“Sei
incorreggibile”
Fine
Drah