A caccia di fate
<<Sono proprio contento che questa zona sia stata bonificata dalla magia.>> stava dicendo Fimi Birren << I maghi e gli stregoni hanno un bel dire che la gente comune non ha motivo di temere i loro traffici con le forze della natura e quelle delle tenebre, ma la verità è che molto spesso qualche povero diavolo ci rimette la pelle per colpa dei loro maledetti incantesimi, ve lo dico io. >> Calò una coppia d'assi mentre Savage Von Risik si rinfrescava il palato con l'ennesimo boccale, preparandosi a rispondergli per le rime. La taverna in riva al lago era quasi vuota a quell'ora della notte, eccezion fatta per i tre giocatori, il paffuto oste Juggen e un vecchio tozzo e sporco che per tutta la serata non aveva fatto altro che sedere stretto nelle spalle al suo tavolino e ingurgitare una quantità di birra che avrebbe ridotto gambe all'aria più d'uno dei clienti abituali di quel lercio posto.
<< Ti dico io una cosa, amico. >> sbottò finalmente Von Risik, dopo aver cambiato tre carte << Sono convinto che la magia sia ancora presente in questa regione, ed ho intenzione di dimostrarlo a tutti quelli che avranno abbastanza fegato da seguirmi nella foresta a sud del lago. Ci vado domani, e mi porto dietro i figli di Sahmal Gordin, per buona misura. Vedrai che scoprirò qualche cosa d'interessante. >>
<< Cosa speri di trovare? >> chiese Lusty Essam risvegliandosi all'improvviso dalla propria proverbiale apatia. Von Risik ingollò dell'altra birra e si asciugò le labbra con una manica logora.
<< Fate. >> rispose, caricando d'enfasi la parola.
<< Fate? >> rise Fimi Birren, chiedendo un altro boccale.
<< Fate? >> gli fece eco Lusty, ordinandone altri tre. Von Risik non parve offeso dal loro scetticismo. Aveva l'aria di saperla lunga su quell'argomento, ed effettivamente era così.
<< Ridete quanto vi pare, ma io le ho viste. Danzavano nude e luminose intorno ad un gigantesco fuoco fatuo, e la luna pareva offuscata anch'essa dal loro bagliore magico. Poi sono fuggito, perchè un paio di quelle stupende creature si sono avvicinate al cespuglio dov'ero nascosto, e non volevo rischiare che mi scoprissero. Ma quant'è vero che sono un uomo domani notte mi recherò di nuovo nella foresta, e prenderò parte alle loro feste con i miei compagni. >>
<< Una volta reggevi meglio la birra, Savage. >> ghignò Fimi mischiando le carte. L'oste approvò dal retro del bancone con un cenno della testa calva.
<< Sei bravo a sfottere, Birren >> ribattè lesto Von Risik << ma scommetto che non avresti il coraggio di venire in quel bosco nemmeno se ti pagassi in monete d'oro. Ti sfido ad accompagnarmi là, saremo in quattro. Noi due più i figli di Sahmal Gordin. Allora, che ne dici? >>
Fimi Birren stava per rispondere che non aveva certo problemi a intraprendere una normalissima passeggiata nella foresta, giacchè non credeva assolutamente che quel luogo ospitasse esseri magici di sorta. Del resto conosceva bene la storia del potente Grimor che aveva compiuto il sommo incantesimo di bonifica magica su quelle terre, liberandole dalle presenze che le popolavano. Da allora niente che avesse natura magica aveva più abitato la foresta od il lago, e di questo egli ringraziava le divinità protettrici degli uomini. Stava per aprire bocca quando il vecchio che sedeva da solo in un angolo della taverna si alzò rovesciando sedia e boccali e si diresse verso i tre giocatori, che lo fissarono sorpresi e ostili. Aveva radi capelli grigi e occhi intelligenti su un viso rugoso e piuttosto sgradevole, segnato indubbiamente da decenni di sbronze a base di birra e idromele. La barba, al contrario dei capelli, non era incanutita. Era di un rosso acceso, e pareva indicibilmente unta e incrostata. Decisamente quel tipo non si prendeva molta cura di sè. Si fermò accanto a Von Risik, il quale mise mano al corto pugnale ricurvo che portava alla cintola con aria truce.
<< Serve qualcosa, vecchio? >>
Il tozzo uomo barbuto sembrò non dar peso al tono di sfida del giocatore. Represse un rutto e parlò con voce roca da ubriaco.
<< Ho sentito che vuoi andare nella foresta a sud per cercare le fate. >> disse. L'aria s'era fatta poco salutare nella taverna sul lago.
<< Se anche volessi partire alla volta delle Paludi degli Impiccati per cacciare sanguisughe giganti non sarebbero comunque affari tuoi, beone. >> Von Risik era uno che non la mandava a dire, ma di nuovo il suo interlocutore non raccolse l'offesa. Fimi e Lusty trattenevano il fiato interrogandosi sugli sviluppi di quella situazione, e così pure l'oste, che fingeva di lucidare dei bicchieri già puliti da un pezzo. Tutti si chiedevano se Von Risik avrebbe messo fine all'indesiderata conversazione piantando una lama nel petto dell'importuno o se invece lo avesse lasciato andare a smaltire la sbornia da un'altra parte, giacchè pareva inoffensivo. Su quest'ultima questione sarebbe di lì a poco arrivata una secca smentita. Infatti, innervosito dallo sguardo del vecchio fisso su di lui, Savage Von Risik gli si avventò contro, afferrandolo per il bavero della giacca sfilacciata con la mano sinistra e caricando un potente pugno con la destra. Fu pero' il suo naso, e non quello del barbuto avversario a sanguinare. Il vecchio ubriacone lo centrò in piena faccia con una testata prima che potesse portare a termine il suo attacco, mandandolo lungo sul pavimento tra l'incredulita' generale.
<< Vai a casa, vecchio >> intervenne Juggen << hai bevuto troppo per la tua età ed io non voglio guai qua dentro. >>
<< Neanche io voglio che accadano guai. >> rispose l'uomo << E' per questo che voi dovete ascoltarmi. >> Quest'ultima frase fu rivolta ai giocatori. Aiutò Von Risik a rimettersi in piedi, poi sedette al tavolo dei tre ed infine ordinò birra per sè e gli altri. Ora era pronto.
<< Dunque tu credi alle fate. >> chiese a Von Risik, che stava ancora tamponandosi il naso.
<< Le ho viste con questi occhi. >>
<< Non erano fate, quelle. >>
<< Lo erano, com'è vero questo sangue. >>
<< Ne perderai molto di più se ti rechi nella foresta. Lo perderai tutto. >>
A questo punto Fimi Birren intervenne risoluto. L'aria di mistero del vecchio iniziava a stancarlo.
<< Se sai qualcosa parla amico, oppure lasciaci in pace. Non ci piace la tua recita macabra. >>
<< Accompagnai Grimor nel bosco insieme ad altri quarantuno uomini. >> cominciò << A quei tempi voialtri non eravate ancora nati, ma io ero nel pieno delle mie forze, e che crediate o meno non avevo mai bevuto più di una birra al giorno. Come ricorderete, l'arrivo di Grimor al nostro villaggio fu salutato come una liberazione, poichè la gente non ne poteva davvero più delle creature magiche che popolavano la foresta ed il lago, sebbene alcune di esse fossero innocue e temessero gli umani più di quanto questi erano spaventati da loro. Il vecchio stregone volle essere guidato sulla collina dietro la fattoria di Rennhal Brastullin, e lì chiese d'essere lasciato solo. Io e gli altri ci allontanammo in silenzio non senza qualche timore. Non ci fidavamo completamente dello stregone, e ci eravamo portati dietro le nostre daghe nell'eventualità che il suo incantesimo avesse scatenato la furia di qualche creatura magica. Lo vedemmo alzare le braccia al cielo recitando una litanìa con quella che pareva una versione distorta e accelerata della sua normale voce. Sulle prime non accadde nulla, e un mormorìo di disapprovazione si levò da molte delle bocche dei miei compagni. Ulef il Mesto propose di punire quel ciarlatano con una decina di frustate, mentre Cirrimon Legg era più propenso a legarlo al palo della vergogna nel centro di Piazza Tramonto. La discussione che ne scaturì fu sedata da Geddar Gossin, che a quei tempi era il fabbro del villaggio. Geddar propose di attendere qualche altro minuto prima di balzare a conclusioni affrettate. Inoltre, aggiunse, gli pareva di percepire un rumore proveniente dal lago, come un tuono lontanissimo che si avvicinava velocemente. Restammo tutti in silenzio, trattenendo il fiato, perchè adesso lo sentivamo tutti. Miltren, il figlio del vecchio maniscalco, mi poggiò una mano sulla spalla, ed in quello stesso istante vedemmo le acque del lago levarsi in aria al di sopra del tetto della fattoria di Rennhal. Era come un muro, e quando l'onda ciclopica c'investì ricadendo urlammo e ci raccomandammo al dio del lago. Mi rialzai fradicio dalla testa ai piedi, quasi sorpreso d'essere ancora vivo, pregando che i miei compagni avessero avuto la stessa sorte favorevole. Ci chiamammo l'uno con l'altro, scoprendo che non mancava nessuno. Molti erano stati trascinati per decine di metri dall'onda abnorme, ma fortunatamente stavamo tutti bene. Poi Alek il Trapper alzò lo sguardo al cielo e lasciò partire un grido strozzato. Alzammo tutti la testa e rabbrividimmo, mettendo mano alle daghe che impugnammo con mani tremanti. Sopra di noi si librava ciò che era eruttato dal fondo del lago provocando l'onda che solo per un caso fortuito non aveva fatto vittime. Se non avete mai visto un leviadrago è inutile ch'io provi a dscrivervelo. Immaginatevi un serpente di seimila tonnellate con una terribile testa di pesce, alato e con la coda tutta aculei, il più piccolo dei quali misurava il doppio di un dardo da balista. Questo vedemmo nel cielo, quel giorno, alla luce del sole di un pomeriggio d'aprile, ed eravamo così spaventati che nemmeno pensavamo a fuggire. Quando la bestia si allontanò senza badare a noi capimmo che il vecchio Grimor sapeva il fatto suo. Il leviadrago stava abbandonando il lago che era stato la sua tana per secoli, anche se nessun uomo prima d'allora l'aveva mai veduto. Un gruppetto di goblin neri venne fuori dalla foresta correndo all'impazzata. Urlavano come se avessero il diavolo alle calcagna. Poi fu la volta degli gnomi, e quindi di tutti gli altri esseri magici, fossero piccoli come funghi o alti come betulle. L'incantesimo di bonifica magica stava dando i frutti sperati, e molti di quelli ch'erano stati lì per linciare lo stregone adesso proponevano di costruire una statua di quercia che ricordasse la sua impresa ai futuri abitanti del villaggio. >>
<< Mai vista una statua di Grimor qui. >> disse Fimi terminando la sua birra.
<< Infatti non c'è. >> il vecchio era a metà del boccale e della storia << Al tramonto tutte le creature magiche avevano lasciato la regione, o almeno così pareva. Il villaggio distava parecchio dalla zona in cui lo stregone aveva lanciato la sua straordinaria magia, e nessuno tranne noi che lo avevamo accompagnato eravamo al corrente degli esiti che questo aveva prodotto. Il vecchio volle sincerarsi che non il più insignificante folletto fosse rimasto nella foresta, e decise di recarvisi con una decina d'uomini che scelse personalmente. Li vedemmo scomparire nella vegetazione mentre il sole si ritirava dietro il monte Leslar per cedere il passo alla notte più atroce della mia vita, la notte che non dimenticherò mai. Circa due ore dopo che il gruppetto s'era addentrato nella foresta un debole suono d'arpe e violini giunse al nostro accampamento, portato dal forte vento che aveva iniziato a soffiare in maniera anomala per quel periodo dell'anno. Più d'uno di noi fu allarmato da quel suono, ed una paura maligna e inspiegabile s'insinuò nei cuori dei meno presenti di spirito. Qualcuno levò una preghiera a mezza voce agli dèi dell'uomo, altri intonarono canti dalla dubbia morale per sovrastare la musica che dava angoscia. Da parte mia, fui uno dei pochi che preferì approfittare di quella pausa per riposarmi dalle fatiche del giorno, e caddi in un sonno privo di sogni.
Non so dire quanto tempo fosse trascorso dal momento in cui avevo chiuso gli occhi quando Cirrimon Legg mi svegliò rovesciandomi dell'acqua sulla testa. Era piuttosto teso, e un rapido sguardo al resto della comitiva mi permise di appurare che non era il solo. Grimor e gli altri non erano ancora tornati e la musica risuonava sempre più nitida dalla foresta. Eravamo ancora indecisi sul da farsi quando un'ombra venne fuori dal bosco arrancando penosamente e protendendo alla luce della luna due orridi moncherini da cui grondava sangue nero come la notte. Lo sforzo per arrivare all'accampamento doveva essere stato tremendo, perchè crollò a terra appena ci vide. Era Deed Weyland, uno dei miei amici d'infanzia, e fu subito chiaro che ne avrebbe avuto ancora per pochissimo. Cercammo di dargli da bere l'ultimo s'orso d'idromele, ma rifiutò con uno scatto della testa che rivelò una poltiglia bruciacchiata laddove doveva esserci un orecchio.
"<< Non sono fate... >>" singhiozzò mentre le pupille gli diventavano bianche "<<non...sono fate... >>" l'ultima parola fu pronunciata in un sospiro, che era quello con cui la vita fuggiva via dal corpo. Ci guardammo l'un l'altro atterriti da quell'orrore inatteso, interrogandoci silenziosamente sulla sorte degli altri uomini che erano entrati nella foresta. Non eravamo soldati, ma semplici paesani spaventati da qualcosa di infinitamente più grande di loro. Fasgrid Spezzalance era l'unico ad essere armato con qualcosa di decente, un'accetta dal manico lunghissimo che piantò al suolo per attirare l'attenzione.
"<< Ebbene, siamo tutti dei maledetti vigliacchi? Andiamo a riprenderci i nostri compagni o a morire con loro, perchè io non voglio vivere nemmeno un giorno in più sapendo d'averli abbandonati al loro destino fuggendo come una donnetta spaventata di fronte a un topo! >>" gridò pieno di furore. Era un uomo alto e muscoloso, un boscaiolo di quelli che parlano molto con gli alberi e poco con le persone, e non era particolarmente simpatico nel villaggio. Eppure ognuno di noi sapeva che nelle sue parole c'era del vero, ed eravamo pronti a dimostrare che non eravamo dei codardi. Snudammo le daghe e dicemmo a Fasgrid di guidarci nella foresta, che conosceva meglio di tutti giacchè vi si recava
spesso per trar legna da qualche grossa quercia; anche con la sua esperta guida dovemmo procedere a rilento, perchè avevamo deciso di non accendere torce che potessero rivelare la nostra presenza. La musica era dolce e terribile, e dopo alcuni minuti iniziammo a scorgere un bagliore ch'era senza dubbio opera di magia, ma nessuno di noi indietreggiò di un solo passo, sciocchi e temerari com'eravamo. Ci avvicinammo ancora alla luce, nascosti da alti cespugli, e la scena che vedemmo ci lasciò di sasso per quanto era strana. Avvolti dalla luce irreale di un gran fuoco fatuo, Grimor e gli uomini che lo avevano seguito danzavano al suono d'invisibili strumenti musicali, abbracciati a fanciulle meravigliose il cui sorriso era una gioia per gli ochhi ed il cuore. Molti dei miei compagni, ammaliati da quei volti angelici, s'accorsero soltanto dopo parecchio tempo dei due cadaveri scarnificati che giacevano scomposti tra le foglie, mentre io, che li notai subito, dovetti lottare per ricacciare in gola l'urlo che stavo per lasciarmi sfuggire. Erano Miltren, il figlio del maniscalco, e Jonata Bustens, ma li riconoscemmo soltanto perchè erano gli unici due che non vedevamo prendere parte alla danza fantastica che avevamo davanti agli occhi.
Fu un attimo, e non lo dimenticherò mai. I corpi esili e aggraziati si spaccarono con un rumore che gelò il sangue nelle vene, ed ali nere come l'incubo fendettero l'aria fredda della notte ventosa. La luce del fuoco fatuo splendeva più che mai mentre le fate mutavano in orribili gargolle affamate di carne umana, e prima che potessimo riaverci dal blocco fisico e mentale scatenato in noi da quella visione assistemmo alla miserevole fine dei nostri amici. Randal il Piviere ebbe appena il tempo di accorgersi che non stringeva più tra le braccia nerborute una damigella. Una bocca gremita d'enormi zanne si chiuse sulla sua testa, recidendola dal corpo come la corolla dallo stelo, poi la bestia volò in alto per consumare il proprio pasto. Vidi Grimor lo stregone che fuggiva urlando inutili formule magiche. Due enormi cose nere lo inseguivano dall'alto, ruggendo e protendendo verso di lui artigli affilati come spade. Credetti che sarei morto dalla paura, poi Fasgrid Spezzalance si gettò con un grido tremendo nel mezzo della luce magica, menando colpi formidabili con quella sua accetta sproporzionata. Lo seguimmo d'istinto, certi di andare incontro alla distruzione, ma sperando almeno di portare all'inferno con noi qualcuna di quelle blasfeme creature che l'incantesimo di Grimor non era riuscito a debellare. Una delle bestialità stava cibandosi di ciò che rimaneva di Alek il trapper, mentre tutt'intorno era orrore e morte violenta. Piantai la mia daga nel petto scaglioso, ed un fiotto di pece gelida m'investì in pieno, imbrattandomi dal collo in giù e immobilizzandomi braccia e gambe come una maleodorante ragnatela nera. Il mostro era ferito e gemeva spaventosamente, eppure lo vidi levarsi in volo e fuggire nella notte, con la mia daga ancora in corpo e le ali che frollavano in modo disgustoso. Ero steso schiena a terra e potevo solo assistere al disperato scontro tra uomini e creature infernali. Fasgrid Spezzalance era riuscito ad uccidere uno dei demoni neri decapitandolo con l'ascia, ma si trovava accerchiato da altri tre di quegli abomìni, e nessuno dei compagni altri pareva in grado d'aiutarlo. Vidi l'accetta volare lontano e il suo corpo sollevato in aria dalle gargolle, che lo divorarono in volo in un tempo maledettamente breve. Cercavo di rimettermi in piedi, ma la pece si era ormai solidificata e non uno solo movimento mi era possibile. Grimor s'abbatte accanto a me come un albero troncato alla base, e sussultai nel vedere le condizioni in cui versava la sua faccia.
"<< Esistono esseri che è meglio non disturbare >>" riuscì a sospirare prima che il suo cuore cessasse misericordiosamente di battere "<< creature contro cui non si può nulla, tanta è la loro forza. Và...via...>> Poi si spense con un gorgoglìo mentre sopra di me ali nere nascondevano la luna.
Il giorno dopo fui visto tornare al villaggio fuori di me e coperto di una melma nerastra che molti giudicarono pece. Ero in condizioni pietose, eppur vivo, a differenza di tutti gli altri che come me erano partiti il giorno prima per accompagnare Grimor lo stregone. Raccontai tutta la storia, ma pochi vollero credermi, anche se nemmeno il più scettico osò avventurarsi nella foresta per appurare se ero un folle, un menzognero oppure dicevo il vero, e così è stato fino ad oggi. La foresta non ha mai più conosciuto impronta umana da quel maledetto giorno in cui vidi la morte con questi stessi occhi ora vecchi e incerti. >>
Il racconto del vecchio era terminato, ed aveva sortito nei tre giocatori effetti diversi. Lusty, che era notoriamente un pavido, s'affrettò a congedarsi ed uscì dalla taverna sconvolto, preparandosi a una notte insonne. Dal canto suo, Savage Von Risik ribadì il proposito d'avventurarsi nella foresta delle fate, aggiungendo che il vecchio era solo un maledetto ubriacone che cercava di prendersi gioco degli interlocutori meno coraggiosi raccontando favole macabre. Fimi Birren disse che sarebbe andato con lui.
Furono visti addentrarsi nella foresta il pomeriggio del giorno successivo; Von Risik, Fimi Birren e i due figli di Sahmal Gordin, tutti armati di lance e spade lunghe, tutti giovani e sprezzanti dei pericoli che si dicevano nascondersi tra le querce a sud del lago. Per tutta la giornata non s'ebbe notizia di loro, poi all'una della notte Birren irruppe nella taverna di Juggen urlando come un maiale scannato, farneticando di ragazze luminose e artigli che squarciavano la carne alla luce di un fuoco fatuo alto come un albero. Si contorceva al suolo in preda a spasmi orrendi, ma sebbene fosse coperto di sangue non era ferito, eccetto qualche sbucciatura alle ginocchia che doveva essersi procurato cadendo nella fuga. La taverna era vuota, eccezion fatta per l'oste e il vecchio dalla barba rossa, che chiese una birra.
<< Dovremmo fare qualcosa. >> disse il buon Juggen porgendo il boccale al suo unico cliente.
<< Non c'è nulla che possiamo fare. >> rispose vacuo il vecchio << Ne lasciano sempre uno vivo, affinchè ammonisca gli altri. Lo hanno fatto con me, ed ora con quel povero idiota che vedi piangere e ridere allo stesso tempo sul pavimento, e lo faranno finchè gli uomini non capiranno che vi sono creature che è meglio non disturbare, nella foresta a sud del lago. >>
L'Elfo Sanguinante