Helluin
di
Claudius
Capitolo
II
I driudi
Un tocco soave, e a dir poco rinfrescante, accarezzò il viso di Feadrim.
Evidentemente era una soffice spugna che lo stava sfiorando sul volto nel momento del duo risveglio. Una giovane ragazza, con dei tratti tremendamente umani, sorrise al ragazzo che stava in quel momento aprendo gli occhi. Feadrim trasecolò. Non aveva mai visto una creatura simile. Sapeva come erano fatti gli umani ma non ne aveva mai visto uno dal vero. Un dubbio lo assalì, ma, dopo aver strizzato gli occhi, come per assicurarsi di essere sveglio, scorse nuovamente il dolce viso della ragazza che stava depurando il suo corpo martoriato.
L'elfo cercò di mettersi seduto ma la ragazza gli pose la mano sul petto per impedirglielo, poi sorrise. Il tocco era freddo, probabilmente perché era da molto a contatto con la fredda acqua di sorgente con cui gli stava sciacquando la pelle. Si abbandonò al tocco dell'infermiera e si stese nuovamente sulla sua branda. Dove si trovava?
L'umana intrise nuovamente la spugna in un piccolo bacino d'acqua corrente che scorreva al suo fianco e deterse poi la spalla destra dell'elfo. In quel fare, Feadrim si accorse che la ragazza non stava impugnando una spugna. Difatti la mano dell'umana reggeva un pezzo di soffice muschio con il quale massaggiava i muscoli contratti del suo corpo. Era in una piccola sala, del legname marcio costituiva l'unica forma di tetto che potesse esservi, ma sembrava assolutamente artificiale. Possibile che non avesse mai visto, nemmeno per caso, quel luogo?
Un dolce suono di acqua corrente e di gocciolii riempiva il luogo. La ragazza si aggiungeva al-la melodia dell'acqua accennando ad una canzone, dolcemente mugugnata a bocca chiusa. Feadrim si sentiva stranamente a casa, come se si trovasse in quel luogo da anni, anche se lo scorgeva per la prima volta in quel momento.
L'elfo fece appena in tempo a capire di essere poggiato su di una roccia ricoperta anch'essa da soffice muschio quando un uomo molto anziano si schiarì la gola sull'entrata della sezione in cui si trovavano. "Lasciaci soli cara" disse pacatamente l'uomo. La ragazza lasciò il pezzo di muschio accanto al bacino d'acqua e, inchinando leggermente il capo in segno reverenziale, si allontanò nell'oscurità del corridoio da cui era giunto, silenzioso, l'anziano. Ora che ci pensava non aveva udito l'avvicinarsi del vecchio umano e nemmeno vide la sua figura muoversi nella penombra del corridoio. Un attimo prima non c'era; l'attimo dopo si schiariva la gola e parlava con la sua infer-miera.
"Chi siete?" disse l'elfo mentre con un piccolo sforzo si sedeva sulla pietra.
"Sono uno dei padroni e dei creatori del luogo in cui ti trovi" rispose con voce possente l'anziano umano dalla folta e lunga barba argentea. Nel frattempo si avvicinava all'elfo, sedendosi poi su un'escrescenza di pietra che Feadrim non scorse prima. Che strano pensò.
"Dove mi trovo, da quanto sono qui? Maéledra! Come sta? Dove si trova?" l'elfo sobbalzò al pensiero della ferita al volto dell'amica e non riusciva a stare tranquillo al pensiero di quello che era accaduto, quando?
"Calma," disse il vecchio poggiando le dita affusolate sulla spalla del ragazzo. "Quando tu e Maéledra siete giunti sei crollato a terra, svenuto." Si riaggiustò sopra il sedile per poi riprendere "Sei stato svenuto per alcuni giorni ma…" non fece in tempo a terminare la frase che l'elfo scattò in piedi, facendo scivolare il lembo di stoffa che gli copriva i genitali. L'anziano sorrise per la reazione convulsa dell'elfo, che scattò a raccogliere il fazzoletto per poi coprirsi nella migliore maniera possibile.
"Dove mi trovo? Chi siete voi? Siete tutti umani qui?" era stranamente confuso. Continuava ad osservarsi attorno, alla ricerca di qualcosa che gli potesse sembrare familiare. Nulla. Poi l'anziano si alzò in piedi, chiamando con voce possente un nome; un nome umano.
"Calmati, amico. Sylvia!"
Dopo alcuni attimi la ragazza tornò dentro la stanza, se così si poteva chiamare. Feadrim arrossì visibilmente ma la questa lo osservava divertita, con gli occhi permanentemente puntati verso i suoi, così belli, azzurri come il ghiaccio. Era per questo che i suoi amici ed i conoscenti, col tempo, lo chiamavano Helluin, che in elfico antico significava Blu Ghiaccio, per il colore dei suoi occhi penetranti.
Sylvia osservava l'elfo mentre le orecchie erano puntate sui discorsi che stava formulando l'uomo anziano. "Porta delle vesti pulite per il nostro ospite cara. Sembra proprio che quel fazzoletto non lo soddisfi poi molto" disse sorridendo ed indicando il pezzo di stoffa che l'elfo teneva tra le mani per coprirsi.
In quell'attimo il ragazzo si pose una domanda "Le ferite?".
Chiedendolo più a se stesso che agli altri si tastò la coscia, che non portava segni di ferite, poi si accarezzò il sopraciglio destro. Nulla. Era intatto e non vi erano tracce di sangue. Era straordina-riamente rilassato. Lo doveva forse alle amorevoli cure di Sylvia. Se anche non fosse stato l'elfo aveva intenzione di approfondire la sua conoscenza con quella ragazza umana.
L'uomo gli sorrise, intuendo quello che si stava chiedendo "la Grandruida vi tiene più a cuore di ogni cosa, dopo la natura, in questo momento. È stata lei a sanare le vostre ferite. Ha fatto veramente un ottimo lavoro. D'altronde!" Non sembrava aver concluso la frase con l'intenzione di continuarla. Nel frattempo Sylvia era andata a prendere delle vesti pulite, come l'anziano aveva richiesto. La ragazza aveva qualcosa che piaceva all'elfo. Forse i lunghi boccoli rossicci, molto rari da vedere nelle donne elfiche. O forse le lentiggini che portava sul naso, quel piccolo naso che andava all'insù.
Era veramente una ragazza graziosa.
Tornò dopo poco con gli abiti per l'elfo. Mentre lui si rivestiva lei veniva fatta voltare dalle braccia dell'anziano. Feadrim, intanto, continuava a domandarsi chi potesse essere questa Gran-druida di cui parlava il suo nuovo conoscente. Dopotutto non erano così male gli umani.
I due nuovi amici accompagnarono l'elfo per il corridoio, illuminato a tratti dalle fiammelle che aveva già visto prima di svenire. Le vesti che aveva indossato erano molto comode, di un delicato colore ocra, quasi dorate, e formavano un fluente gonnellino che gli terminava poco sotto il ginocchio. Non era abituato a quel tipo di abito ed era visibilmente imbarazzato dagli sguardi delle persone che vivevano in quell'intrico di rocce.
Se ne accorgeva solo ora, vi era un piccolo insediamento umano tra quelle pareti, con delle varie stanze simili a quella in cui si era risvegliato. Sylvia sorrideva mentre lo guardava sfuggente da dietro la spalla del vecchio. "Questa è la nostra casa ma non l'abbiamo fatta noi…" cominciò a pronunciare il vecchio. Si fermò quando vide che l'elfo non lo stava affatto ascoltando, rapito dalle forme insolite delle persone che lo circondavano. Numerosi altri umani gli si posero agli occhi ed ognuno lo affascinava più dell'altro. Vi erano piccoli ragazzini, che giocavano con le rane di una pozza d'acqua. Vi erano delle donne, più anziane di Sylvia, che accudivano dei neonati. Alcuni uomini, possenti nella loro magrezza, trasportavano della legna giù per delle scale naturali, proba-bilmente in quello che poteva essere un magazzino.
Feadrim si fissava attorno assorto, poi, pensò all'amica ferita e non resistette dal chiedere alla guida "Dove si trova la mia amica? È qui?" il vecchi sorrise, guardando l'espressione preoccupata dell'elfo. Posando, poi, una mano su di un bastone, disse "Tranquillo Feadrim. La tua amica sta bene. No, non è qui"
Feadrim sentì poco le parole del vecchio, indaffarato a chiedersi da dove fosse spuntato il bastone che ora il vecchio utilizzava per sorreggersi. Ma le parole del vecchio gli giunsero comun-que alle orecchie e capì ciò che aveva detto. "Cosa? Non è possibile! Non è qui?" il giovane elfo sollevò animatamente la voce e alcune persone si voltarono di scatto per poi fissarlo. La situazione gli stava vergognosamente scivolando dalle mani. Non era mai stato in un luogo simile, con tutte quelle infiltrazioni d'acqua, con riflettenti onde di luci colorate che baluginavano sulle pareti delle grotte in cui si trovava.
Tutti quegli umani lo mettevano in agitazione ma fortunatamente non si soffermarono ad osservare la situazione, limitandosi a sollevare le spalle e a proseguire nelle loro faccende.
L'elfo era visibilmente imbarazzato ma, dopo una pacca sulla schiena dell'uomo anziano, proseguì senza timore per il corridoio che aveva precedentemente imboccato. Si ricordava che prima di svenire, aveva potuto osservare una strana situazione. Delle persone, simili all'anziano che lo accompagnava, che sedevano attorno ad un monolite di brillante quarzo rosa, quasi assorti in una meditazione eterna. Poi si ricordava di aver notato una donna che si levava in posizione eretta, quasi per invitare Maéledra e lui all'interno della sala, ma di questo non ne era assoluta-mente certo.
Il corridoio in cui stava procedendo, assieme all'anziano e Sylvia, era tremendamente artificia-le ma, allo stesso tempo, assolutamente naturale. Grandruida era il pensiero che rimbalzava nella mente del giovane guerriero della Luna e non riusciva a fare altro che pensare che fosse stata quel-la strana persona ad edificare quel luogo. Probabilmente, pensava, era la stessa persona che pensava li stesse invitando nella sala del Monolite.
"Il monolite?" riuscì a dire intromettendosi nei discorsi del vecchio, fintanto che questo gli parlava delle sale del luogo.
Il vecchio, alquanto seccato, sorrise sforzatamente alla sfacciataggine dell'elfo. In fondo, però, poteva capire lo stato d'animo dello straniero, così spaesato all'interno di quella sede umana.
Rispose così alla fugace domanda dell'ospite. "A già, tu hai visto il Monolite quando sei giunto! Ti chiedi cosa possa essere quella pietra. È quarzo!" sorrise mentre si faceva reggere dal braccio destro dalla brava Sylvia, che sembrava sorreggerlo senza alcuna difficoltà, come se lui non ne avesse affatto bisogno e che stesse fingendo.
In pochi minuti si trovarono in una zona della costruzione che sorprese l'elfo.
Vi erano numerose bifore su di un lato del corridoio, che si affacciavano su di un grande bacino, un'ansa del fiume Silima, probabilmente. Quell'area, sottostante ai varchi della parete, era magicamente colorata da una leggera nebbiolina, perennemente infusa di strani colori rosati, verdi e argentati, alternati da una ritmica magia. Delle piante rigogliose spuntavano dalla nebbia per accarezzare l'aria trasparente più elevata.
Feadrim si soffermò, appoggiato ad un balconcino tra le bifore, ad osservare la stravagante magia della simil-palude che si mostrava sotto i loro sguardi.
"In che razza di luogo sono giunto?" chiese quasi sospirando ai due umani che lo guidavano, mentre sostava, rapito, sul balcone del corridoio. Sylvia si fece avanti, poggiandosi sulla sua spalla, per poi parlare, anche lei con voce flebile, sfiorando con le labbra l'orecchio del nuovo amico.
"Questo luogo in cui ti trovi viene chiamato Sulàrion, ed è l'unica dimora umana della vostra regione, l'unica presente qui a Caras Galadon. Ma è anche una città che segue fedelmente l'ordine druidico, con tutte le razze ad esso appartenenti…" mentre parlava uno stormo di uccelli di palude echeggiò, con i suoi versi striduli, nell'area sopra le acque del Silima.
Feadrim non aveva più parole, era in un luogo magico. Solo ora notava delle piccole cascate rotonde ad un lato del luogo paludoso. Dai bassi bacini delle cascate spuntava un colorito arcoba-leno che si rituffava, dopo aver compiuto un grande arco nel cielo, nelle acque, coperte dalla neb-biolina luminescente.
"Vieni ragazzo" disse l'anziano mentre con il bastone scansava la ragazza dai capelli rossi per prendere l'elfo e trarlo indietro. Proseguirono poi in direzione est, seguendo il fiume verso la sorgente. Il corridoio era molto illuminato, anche se gli alberi di Caras Galadon giungevano perfino a coprire quelle finestre ad un'altezza di trenta metri.
Feadrim sorrideva compiaciuto dell'opera imponente in cui si trovava a camminare quando, ad un tratto, si accorse che le colonnine delle bifore non erano affatto artificiali. Erano come scavate nella roccia, stalagmiti secolari che reggevano naturalmente il peso di una fortezza nascosta.
Lo stupore dell'elfo si faceva sempre più evidente agli occhi delle due guide.
Incontrarono molte persone, alcune che indossavano i medesimi abiti dell'anziano che scorta-va il guerriero della Luna. Alcune di queste non erano umane, essendo strane. Avevano forme che l'elfo si poteva solo immaginare, con delle splendide ali da libellula che spuntavano da dietro la schiena. Bassi uomini con zampe da pecore, con degli zoccoli neri e delle corna arricciate sulla testa. Quel posto era, insomma, una raccolta di strane e affascinanti creature che abitavano vicine, ma allo stesso tempo lontanissime, dalla dolce dimora sospesa di Caras Galadon, la città di Feadrim. Sylvia sorrideva continuamente agli sguardi persi del nuovo amico elfico ed il vecchio li osservava mentre camminavano lungo un corridoio che, con degli impercettibili gradini, scendeva dolcemente verso il basso, allontanandosi, poco a poco, dalla superficie della parete rocciosa dalla quale poco prima si era sporto l'elfo.
"Dove stiamo andando?" chiese distrattamente questo.
Non ebbe risposta ma intuì che Sylvia si era voltata in direzione dell'anziano in cerca anche lei di una risposta, anche se non alla stessa domanda. Il vecchio era pensoso e ci mise qualche attimo a rispondere. Dopo, con una solenne levata di braccio, indicò un volto di pietra.
Questo era contornato da numerosissimi tipi di muschi differenti. Delle infiltrazioni d'acqua scendevano dolcemente tra le formazioni vegetali e tutto il luogo era illuminato da una dolce luce rosea.
Dopo poco Feadrim capì che la luce si diffondeva all'interno del volto tramite una piccola pietra di quarzo che era appesa nel punto più elevato tramite una catenina argentata. Era incredibile. Mai, in tutta la sua vita, vide uno spettacolo del genere. La luce scaturiva direttamente dall'interno del cristallo ed illuminava per alcuni metri intorno. Nemmeno le grandi lucciole rosse che abitavano sotto gli alberi della sua cittadina potevano resistere ad una visione simile. Ad abbellire il tutto vi era una piccola cascata che si tuffava direttamente sul lato di una scala di pietra, fluendo poi in un canaletto sul lato dei gradini. Questa scala dava verso l'alto. Era larga, potendo ospitare anche quattro persone spalleggianti. Saliva ripida all'interno della roccia ed aveva un soffitto di vari muschi, sempre illuminato da un susseguirsi di altre lanterne di quarzo.
Salirono la scala assieme. I suoni della cittadina sotterranea erano scomparsi, dopo essersi lentamente assopiti mano a mano che si allontanavano dalla stanza in cui l'elfo si era risvegliato.
Non fu faticoso salire quelle centinaia di gradini. Dopo alcuni minuti i tre si trovarono in una piccola piazza all'aria aperta. Feadrim sospirò profondamente con gli occhi chiusi. Guardandosi poi attorno scorse delle costruzioni. Erano queste puramente artificiali, essendo simili alle case dei nani all'interno delle loro rocche di pietra. Erano possenti e solenni, immutabili dal tempo e dalle intemperie ed erano sorprendentemente leggeri e aggraziati nelle loro pesanti fondamenta. Si trovavano in una piazza, con un pavimento di liscio marmo bianco.
Gli edifici attorno erano pubblici; avevano tutti una conformazione che non li faceva minima-mente rassomigliare a delle case. Erano altissimi. Uno, con un'entrata preceduta da un'ampia scalinata semicircolare, si estendeva per un centinaio di piedi, affusolandosi sempre più, con delle guglie bianche che ospitavano fiammeggianti cristalli fucsia o porpora.
Delle persone si trovavano di fronte all'entrata del palazzo, erano delle guardie, completamente avvolte da fulgide armature e luminosi mantelli dorati. Avevano, entrambe le guardie, dei lunghi capelli biondi che si perdevano nel caldo colore del mantello. Impugnavano in una mano delle lunghe lance e nell'altra stringevano l'asta di una bandiera. Il simbolo che mostravano era quello di un grifone rampante verde in campo d'oro.
L'anziano sorrise alle guardie, salutandole distrattamente quando loro fecero per fermarli. Dopo qualche sguardo premuroso i due militari fecero passare i tre, aprendo loro il pesante portone di legno borchiato.
Si ritrovarono in un grande corridoio, con un soffitto a capriate ed un pavimento completa-mente costituito da un mosaico. Feadrim non riusciva a comprendere quello che vi era raffigurato, potendo scorgere solamente alcuni stralci di quella che poteva sembrare una storia.
Riconobbe per prima una scena, sembrava di rivedere la battaglia tra i guerrieri della Luna Argentea e quelli della Fulgida Stella. Erano loro?
Sorpreso di ciò che stava osservando l'elfo camminò per il corridoio senza osservarsi attorno, puntando lo sguardo verso il terreno per strappare un significato dalle immagini che vedeva.
Non udiva i passi dei suoi due accompagnatori ma non vi faceva caso, troppo impegnato ad osservare scene in cui stormi di grifoni combattevano contro delle oscure lucertole alate dalle dimensioni alquanto spaventose. In altre scene, quelli che potevano essere degli elfi, affrontavano, in sella a dei splendidi unicorni, dei soldati simili a quello che impugnava la spada del suo grande amico.
Riconobbe anche una ragazza, era Maéledra e la vide mentre spronava un plotone di soldati umani alla carica contro dei giganteschi rettili con molteplici teste.
Cosa stava osservando?
Camminava più volte scrutando le stesse scene ma mai rivedeva quella che poteva aver osser-vato in precedenza. Stava voltandosi verso l'entrata, per chiedere all'anziano cosa fossero quelle illustrazioni quando una calda voce lo accolse, scaldandolo e coccolandolo mentre dei leggeri passi, seguiti da altri più pesanti, si avvicinavano lentamente al guerriero della Luna Argentea.
La voce, ancora prima di essere scorta, disse "Ti trovi nel Corridoio delle Grandi Visioni, qui, tutto quello che stai pensando prende lentamente forma, accompagnando i tuoi passi verso le sale dei Druidi"
Allora l'elfo si voltò garbatamente verso la voce femminile che gli stava rivolgendo la parola ma non riuscì a parlare, avendo la mente offuscata dalla avvenente bellezza della nuova arrivata.
Era questa umana. Indossava delle fluenti vesti purpuree ma portava sopra queste dei paramenti d'argento e dorati che le coprivano il torace e gli arti. Sul capo aveva una corona di brillanti che le tenevano la chioma, biondissima e lunga, dietro le spalle. Aveva un mantello completamente bianco ma l'elfo non vedeva se vi era raffigurato un simbolo o uno stemma. Stringeva nel pugno una lancia metallica, che sembrava estremamente leggera, al contrario della spropositata dimensione. Dietro la donna dagli occhi azzurri vi era una figura spaventosa.
Era questa altissima e chiara. Un abito clericale dai multicolori sfaccettati in varie sfumature, sembrando nello stesso tempo nessun colore e tutti. Un cappuccio coronato d'oro copriva il volto dalla luce e, sotto a questo, spuntava solo una barba intrecciata dal vivacissimo color carota. La figura teneva le braccia intrecciate mentre sembrava studiare l'estraneo che giaceva di fronte alla donna, tremendamente intimidito dalle nuove apparizioni.