La Seconda leggenda di Nailo della Forca
Pietre Nere
All'orizzonte il cielo era infiammato, ardeva sopra una pianura grigia e cinerea, dall'apparenza morente e dalla letale vitalità. Non per nulla nessuno si avventurava sull'altopiano dell'Havenand, pensò.
O lo pensai io?
Non ha più importanza, ormai, anche se allora ne aveva.
Mael, penso si chiamasse così, sorrise al sole agonizzante, e gli augurò un sereno riposo. La luce della luna nera illuminava il suo cammino, e per proseguire il viaggio lui non aveva bisogno di null'altro che il suo ampio mantello rosso, svolazzante nel vento malato dell'Havenand, e delle sue pistole. La fame per lui non era un problema: avrebbe potuto camminare ancora per mesi senza toccare cibo, ma poteva permettersi di trascorrere solo pochi giorni senza dormire. Forte delle proprie capacità, consapevole dei propri limiti, un passo dopo l'altro stava distruggendo le distanze, che non avevano più significato dal momento in cui venivano superate. Innumerevoli creature raggrinzite e fameliche lo scrutavano con invidia e odio profondo, seguendolo a distanza come un corteo infero, scorta d'onore a colui che andava a farsi immolare a Valìria. La dimora del re morto aveva contaminato la terra dell'Havenand, ed il suo regno resisteva incontrastato nei secoli, poiché nessun uomo avrebbe potuto opporsi alla sua forza. Mael camminava sereno verso l'unica città di quell'angolo morto di mondo, perseguendo uno scopo che gli dava vigore e fermezza, sicurezza e determinazione. Nessuna creatura al di fuori dei servi del re morto avrebbe potuto sfiorarlo in quel reame, e lui ne era consapevole, così come era consapevole di ogni altro privilegio di cui avrebbe goduto calcando la terra arida e la cenere delle strade del regno.
L'orizzonte appariva piatto, solo qualche roccia e qualche aborto di albero, seccato e ormai contorto, spezzavano la monotonìa del luogo, facendolo apparire più reale e meno onirico. Possibile parto di un incubo, di una notte di delirio, l'intero regno del re morto era incastonato nel piccolo pianeta, rubandone una parte troppo grossa per poter essere ignorata, decisamente enorme per un tentativo di invasione. E così gli umani avevano dovuto accettare la scelta imbelle dei propri predecessori, e sopportare così la presenza di Valìria, segno tangibile dell'esistenza di un altro mondo oltre la vita e la morte. Mondo che nessuno avrebbe voluto raggiungere.
Raramente, dicevano alcuni, fin troppo spesso, sostenevano altri, umani venivano rapiti dai servi del re morto e condotti a Valìria, per scopi che gli stessi prigionieri, una volta liberati, non erano in grado di ripetere.
Il sole era sorto alle spalle di Mael, la via era deserta, gli asteroidi morti di Xivi gravitavano nel cielo come nubi di terra del passato, memoria di un mondo fratello morto sotto la spinta di un orrore ignoto che da anni atterriva i mortali. Un gesto di rispetto nei confronti di quella civiltà morta, e la figura ammantata di sangue proseguì nel cammino come se nulla fosse stato, senza esitare un solo istante nell'incedere e senza concedere nulla al tempo che scorreva rigoroso. Già l'orizzonte stava mutando, e verso di esso Mael avanzò con rinnovata risolutezza, senza smettere per un istante di sorridere alla vita, per quanto morente e corrotta essa fosse.
Inutile sottolineare come l'avrei fatto anch'io, al suo posto.
O lo feci davvero, con lui?
La coda di esseri viventi dietro di lui era cresciuta a dismisura, allungandosi di diverse decine di metri. Ciò non lo disturbava, anche se era consapevole che, una volta giunto a Valìria, lui o loro avrebbero fatto una brutta fine, prima ancora di entrare nella città. Ma, finché la meta appariva solamente come una lieve deformazione della linea dell'orizzonte, il pensare al futuro non avrebbe avuto senso. Ciò che sarebbe accaduto sotto le mura del dominio del re morto era ancora come un foglio bianco in attesa di essere riempito, e nessuno di coloro che abitavano quel pianeta, che fosse tra i mortali o già tra i defunti, avrebbe potuto scrivere quella storia prima ancora che essa fosse stata vissuta.
Il sole roteava nel cielo senza più regole, apparendo e scomparendo ciclicamente influenzando il passare dei giorni, ed in poche ore Mael si vide costretto ad interrompere il viaggio, in favore del riposo. Veglia e sonno sembravano ormai subordinate al vorticare assurdamente rapido dei giorni, ormai solo frazioni di sé stessi, ma non me ne preoccupai. Lui non se ne preoccupò.
Al suo risveglio, nulla era cambiato, e tutto sembrava diverso: una patina di anni aveva ricoperto ogni cosa, uccidendo le bestie che avevano seguito Mael lungo il cammino: al loro posto solo scheletri ghignanti e decomposti, ombre assottigliate di un passato remoto distante solo poche ore. La luna nera, alta nel cielo, stava già declinando, e dopo un pugno di passi stava tramontando ad est, in attesa del sorgere del sole, che in meno di mezz'ora raggiunse il mezzogiorno, tramontando di conseguenza. Ogni cosa sembrava condizionata a quell'insensato accelerato volgere dei giorni, ma Mael avanzava tranquillo ed immutato attraverso il cambiare delle cose. Adeguato il passo al ritmo crescente della vita, attraversò la morte della terra e di tutte le cose senza timore, sino a che Valìria non fu a portata di sguardo.
Non era come me l'ero immaginata, ma quando lui la scorse per la prima volta non fu sorpreso di vedere una piccola e tozza fortificazione, in luogo di quella che doveva essere una splendente capitale di un regno.
Mancavano ormai poche migliaia di passi al pesante portale di bronzo, ma, all'avvicinarsi di Mael alla propria meta, lo scorrere del tempo subiva accelerazioni continue e scostanti, in una crescente danza delle ere. Nell'arco di pochi minuti vidi mondi morire, stelle spegnersi, ed infine la luce del sole inghiottire ogni cosa in un nero senza fine. Ogni passo si faceva sempre più corto, comprimendosi al pari dell'espansione del tempo, ma, inesorabile come l'orizzonte divoratore di mondi, Mael giunse alle porte di Valìria. Non appena ebbe terminato il proprio cammino, come un immenso congegno a molla caricato sino al limite estremo il sole regredì sino al giorno ed all'ora esatta, e così ogni cosa tornò alla precedente forma, alla precedente vita. Piegandosi all'inevitabilità di quell'esperienza, l'intelletto di Mael ne uscì arricchito, per nulla intaccato dalle ere che si erano accumulate sul suo corpo, che aveva superato la prova del tempo, dimostrandone la sua assenza.
Due guardie stavano di fronte a lui, armate di lancia. Era facile sorridere alla vista di due ombre di ciò che in passato erano stati umani, soprattutto se ognuno dei due reggeva con convinzione una rozza arma dalla punta di pietra e con essa minacciava uno sconosciuto, giunto attraverso ogni limite sin dove nessun ospite indesiderato aveva la facoltà di giungere. Mael sorrise, chiedendo il passo. Al vedersi avvicinare le due lance, estrasse velocemente una pistola. Due rapide esplosioni risuonarono piene nell'aria, e due corpi si accasciarono a terra. Il mio viaggio, invece, doveva proseguire nella sua solitudine.
Il forte appariva nero e squadrato, così come le pietre che lo componevano. Mael non si trattenne a lungo nell'ampio ingresso, ma si diresse a passo sicuro nell'esplorazione di quelle stanze mai percorse di persona, conosciute solamente attraverso riflessi distorti di menti corrotte dal panico o dal dolore. Sbagliò strada troppe volte, perdendosi ripetutamente tra le sale deserte ed impolverate di Valìria, ma ogni passo nella direzione errata veniva subito bilanciato dalla sua esatta correzione.
Infine, dopo un tempo indeterminato, Mael giunse a ciò che aveva cercato, il luogo oltre il quale non sarebbe più stato lecito volgersi indietro. Assieme alle viscere della terra giacevano putride anche le viscere di Valìria, là dove nessuno poteva uscire senza il permesso del re morto, che governava dall'alto l'immensa vita sepolta del proprio regno.
La scalinata di pietra scendeva avvolta su sé stessa oltre i limiti dove vita e morte si mescolavano a piacimento di volontà non umane, ed il timore di non potersi ritrovare una volta usciti da quel luogo si avvertiva chiaramente anche prima di intraprendere la discesa.
Il primo passo lo indusse a lasciarsi alle spalle il mondo, il secondo lo condusse dove il mondo non aveva più significato, il terzo ed i successivi intaccarono ed erasero la sua memoria, manipolandola e sostituendola con artefatti artificiali e meccanici, grotteschi incubi riciclati da cadaveri e da folli, che vennero impiantati senza pietà in quella mente mai contaminata dal gusto perverso dei servitori del re morto. Ogni scalino era un crescendo di violenze ipnotizzanti, che infine, dopo un'infinità di passi, fecero perdere anche lui.
Pianse.
Pianse lacrime fredde contro la dura pietra, cercando di ricordare cosa o come o chi fossi stato, e soprattutto perché fosse giunto il quel luogo. Le uniche immagini che mi venivano alla mente erano distorte parodie grottesche e perverse di esperienze già vissute nell'abisso del tempo, seppellite prima della mia nascita e riportate in vita da antiche divinità perverse.
Non riuscì a ricordare quanto a lungo pianse, ma gli incubi non smisero di tormentarlo neppure quando la sua volontà ormai fiaccata ed infranta tornò a dirigere con razionalità le membra lasciate incontrollate dall'ondata di pensieri impiantati nella sua mente. Muovendosi fermamente verso la luce, infine lasciò la scala oblìante e, barcollando, giunse nel vero regno di Valìria.
Non riuscimmo mai a capire se ciò che vide, ciò che vidi, era vero o frutto di illusione e perversione. Ho sperato ogni istante che fossero solo costrutti artificiali di una mente delirante, ho sperato che anche il suo pianto non fosse stato vero, ma come potrei dubitarne adesso, dopo tutto quello che abbiamo passato?
Uomini e donne, dai lineamenti distorti dalla follia e dalla lucida perversione della maledizione del re morto, ondeggiavano seguendo oscene danze di morte, colpendosi a vicenda con affilati coltelli e lame e lance e clave, mentre demoni del mondo immortale artigliavano carne, mente ed anima, lacerando vite come tessuto senza valore, infettando esistenze con la loro prole infernale, che mai avrebbe potuto allontanarsi dal sottosuolo morto di Valìria, morto nella sua parvenza di vita, al pari di tutto il regno dell'altopiano dell'Havenand.
Parole mortali e distanti non potranno mai colmare la voragine tra ciò che è stato vissuto e ciò che viene descritto.
Rintanati in angoli lontani dalla luce morta e sanguinante che colava da un soffitto di carne putrida e marcescente, stavano diversi esseri, un tempo certamente umani, ora solo parodia mutilata di sé stessi, schiacciati dalla paura ed oppressi dalla disperazione. Di quando in quando demoni sadici si nutrivano delle loro fobìe, mutilando le loro menti al pari delle membra, ormai ridotte ad ammassi di carne sanguinanti ed inservibili. Essi erano i reietti del regno, abbandonati ognuno alla propria realtà distorta, confusa al pari dell'incubo che tutti gli altri vivevano. I paria di Valìria, la cui unica pena era la follia loro donata.
Mael barcollò per qualche metro, camminando sul pavimento morbido come viscere putrescenti e fetido nella sua parvenza di vita decomposta, che si mischiava ai residui organici della cruda macellazione ad opera dei sudditi del re morto. I demoni assalirono subito il nuovo visitatore, invidiosi delle sue vesti ancora intatte, appena sfiorate dalla cenere dell'Havenand, e della sua pelle vitale, non ancora corrotta dal rintocco della morte. Gli artigli infetti dilaniarono la sua carne, dopo aver lacerato brutalmente il mantello color sangue, quindi diversi occhi osservarono compiacenti l'effetto che la corruzione aveva avuto sul giovane corpo del nuovo venuto.
Mael stesso si osservò attentamente, pur nella realtà distorta dei propri incubi, e non provò altro dolore che quello della mente, colpita dalle illusioni mortali del regno. Alzando lo sguardo verso i suoi carnefici, attoniti e stupiti, allo stesso tempo alzò le sue pistole, aprendo un fuoco impietoso sull'empia progenie immortale. Materia cerebrale schizzò ovunque, mescolandosi al sangue umano ed ai tessuti ormai morti dei detenuti di Valìria.
E Mael tornò a sorridere. Pur nella confusa e distorta realtà manipolata che vigeva in lui, rise, avvicinandosi di un passo al suo obiettivo. Senza concedere uno sguardo le torture che avvenivano ovunque attorno a lui, si diresse con sicurezza in cerca di informazioni. Dopo aver camminato troppo a lungo perché il tempo potesse essere riassunto in un concetto, giunse finalmente ad una zona d'ombra particolarmente grossa, dove, come per tacito accordo, stava un solo uomo, calvo, anziano a tal punto che la lunga barba bianca gli faceva quasi da abito. I suoi occhi erano persi nel nulla, vitrei e lattiginosi, ma quando gli fu rivolta parola egli seppe rispondere, indicando un punto in lontananza, apparentemente identico al resto di quell'inferno interrato. Con un cenno Mael ringraziò per l'aiuto, e mi venne sconsigliato di procedere, da una voce infranta e fiaccata dal terrore puro. Il vecchio mi aveva riconosciuto.
O aveva riconosciuto Mael?
Non aveva importanza, allora.
Nulla poteva resistere immutabile al suo cammino, i suoi passi incisero il suo sentiero e definirono le condizioni del suo ritorno. Nessuno osò interrompere il ritmo infallibile del suo incedere, e neppure il re morto ebbe il coraggio di negargli di proseguire il suo viaggio.
In una visione distorta, lenta, malata e meccanica, Mael raggiunse il luogo che gli era stato indicato. Mascherato dalle illusioni appariva identico all'incubo di vita morta che costituiva le mura organiche di Valìria, ma i suoi occhi seppero scorgere un barlume di verità dietro l'inganno, comprendendo cosa gli era chiesto di fare. Pur nel delirio, esitò timoroso prima di piegarsi allo scopo, ed imboccò la stretta e tetra scalinata che lo condusse verso il cuore pulsante del regno del re morto. Un passo dietro l'altro, ancora su altri gradini di pietra nera, mentre la mente veniva schiacciata in una morsa inesorabile di doloroso delirio folle e febbricitante. Mael bandì il panico dalla propria vista, cercando di liberarla di tutto ciò che di superfluo aveva accumulato nel viaggio attraverso il reame defunto, ma riuscì solamente ad acuìre le fitte causate dalla pazzia.
Infine la scalinata ebbe termine, gettandomi in un ambiente vagamente semicircolare, oscuro e silenzioso. Diverse ombre, un tempo esseri umani, si avvicinarono con timore e odio verso Mael, ma un bambino li fermò prima che potessero aggredire l'inatteso ospite. Trascinandosi faticosamente in piedi, questi cercò di parlare, ma fu preceduto dal bimbo, che gli toccò la mente mostrandogli finalmente la sua vera mèta. Grida ed urla riempirono il buio, ed orrori immani imperversarono in tutta la sala, e la volontà del re morto incise perennemente la carne, la mente e le pietre di quel luogo.
Quando Mael ebbe ripreso conoscenza, credette di essere stato portato in un altro luogo: le pareti di pietra nera erano ricoperte di brandelli di tessuti viventi, ossa erano conficcate negli interstizi tra gli immensi blocchi che costituivano il muro ed il soffitto, ed ogni cosa aveva assunto una colorazione rossastra, il sangue rappreso scagliato ovunque. Cercando di orientarsi in quel nuovo incubo, Mael vide i vari composti organici affluire verso il centro della stanza, dove un impasto ribollì e borbottò frasi sconnesse, sino a che dalla massa informe non si distinse nuovamente in creature dalla parvenza umana. Fu colto dal panico a stento represso, ed io iniziai a correre alla cieca, ma le mie gambe mi condussero ben presto là dove mi era stato indicato di andare. Senza capire come, né perché, Mael camminò lungamente, percorrendo stanze semicircolari in rapida successione, appoggiandosi ai muri per non cadere, annaspando nell'oscurità intensa, che impediva di vedere alcunché. Ogni passo accresceva il folle peso che gli schiacciava la mente, il delirio folle che lo spingeva verso un'azione diversa da quella che stava intraprendendo, falsando ogni sua mossa e facendolo deviare dalla sua via. Numerose volte gli accadde di credere di essere giunto alla meta, mentre l'unico suo vano traguardo era l'aver raggiunto nuovamente il luogo dal quale era partito. Piegato sempre di più dalla stanchezza e dall'assenza di riposo, conscio di non potersi concedere attimi di tregua, Mael continuò a procedere, sino a strisciare lentamente lungo i pavimenti freddi e neri, finché non crollò.
Mi sembrò che la fine fosse ormai giunta, e mi lasciai andare alla rassegnazione. Impossibile trattenere le lacrime per una vittima di Valìria. Ed il nero avvolse anche me.
Delle braccia robuste mi sollevarono, ed infine io lo vidi, io mi vidi con stupore.
"Mael!"
"Leam" sorrise lui, prima che la sua mente lo abbandonasse del tutto.
Ma i suoi passi avevano segnato la strada per me, ed in breve riuscii a raggiungere la scala che conduceva al precedente degli inferni di Valìria. Sapendo di non poter affrontare i demoni da sola, cercai di risvegliare Mael, ma a nulla valsero le mie suppliche. Sentendomi addosso gli sguardi lascivi dei demoni che popolavano le sale prossime al trono del re morto, tentai con rinnovato vigore di scuotere il ragazzo dal torpore, pur conoscendo in anticipo il mio fallimento. Lui poteva interagire con me con facilità, io trovai un'estrema difficoltà nel farlo.
Ma i demoni giunsero prima ancora che io potessi comprendere tutto questo, e mi strapparono da lui con violenza e sadico compiacimento. Uno di loro lo afferrò per le spalle, tirandolo in piedi, e lo trafisse di fronte a me, con l'intento di godere maggiormente del mio dolore, della fine delle mie speranze. Un urlo atroce riempì ogni sala del palazzo quando la carne morta del demone lacerò quella di Mael, e ogni essere che popolava Valìria si fermò per un istante, atterrito dall'ira del padrone. Il re morto aveva gridato al mondo la sua forza, ed aveva perso il confronto.
Mael riaprì gli occhi, consapevole solo del braccio che era infisso nel centro del suo petto. Indolente, con la gestualità inespressiva di un cadavere rianimato sollevò la mano destra, ma il sorriso che gli comparve sul volto al premere il grilletto della sua pistola era ben più che umano. Diversi spari si accavallarono l'un l'altro, ed in breve i demoni immortali trovarono il loro riposo eterno. Sgomenta, feci per chiedere spiegazioni, ma lui mi strinse a sé, facendomi cenno di tacere. Insieme, fianco a fianco, iniziammo la lenta ascesa della scalinata, avvicinandoci ogni istante di più alla libertà.
A lungo andare persi la concezione del tempo, diverse volte pensai di rinunciare ma in ogni momento sentivo lo sguardo svuotato ma vivo e determinato di Mael sostenere la mia debole volontà, ed il suo corpo addossato al mio mi rendeva cosciente della responsabilità che avevo nei miei confronti.
O nei nostri?
Per la seconda volta il sottosuolo putrescente e vivo di Valìria si aprì ai miei occhi, e subito venni aggredita da uno stormo di demoni, felici che il re morto avesse deciso di condividere la mia carne mortale anche ai loro piaceri perversi. Già la mia mente sentiva parte delle torture che mi sarebbero state inflitte dagli arti morti e dalla viva pietra, ed io tremai, cercando di ripararmi con le braccia dalle insidie degli immortali. Avrei dovuto tapparmi le orecchie, ma non ero pronta al fragore irreale ed assordante che Mael scatenò: gli spari delle sue due pistole si mischiarono alle grida di dolore dei demoni, facendo tremare l'intero castello per parecchio tempo. Aprendosi una strada a forza nella struttura vivente e marcescente, Mael mi trascinò là dove erano iniziate tutte le sue sofferenze, che andavano man mano alleviandosi ad ogni scalino che risaliva. La sua mente presto fu sgombra di ogni dolore, di ogni putrida follia artificiale e corrotta, ed io sentii il suo sollievo come se anch'io fossi stata liberata dallo stesso peso. Le pietre nere venivano ormai scavalcate a due a due, mentre il re morto imprecava tutt'attorno a noi, scatenando i suoi accoliti affinché mi riportassero indietro, a lui.
Fu in quei momenti che compresi come essi non avevano potere su Mael. Eppure, dovette spiegarmi lui il perché, altrimenti la mia mente non ci sarebbe mai arrivata, dal momento che già conosceva la risposta.
La fine della lunga scalinata ci accolse benevola, ma con essa orde di creature senza forma ci attendevano, pronte a ricondurmi là dove avrei dovuto essere consumata nei secoli dalla mortale lussuria di uno che non era più vivo. Non so come, Mael riuscì ad aggirarle e, prendendomi in braccio, iniziò a correre verso l'uscita della fortezza. Credetti molte volte di riconoscere corridoi e stanze, ma se avessi dovuto affidarmi al mio orientamento, i miei giorni non avrebbero più avuto un nuovo inizio.
Dopo una serie interminabile di svolte, indistinguibili le une dalle altre, raggiungemmo l'ingresso della cittadella. Con gli occhi ridenti, Mael spalancò il portale di bronzo, quindi mi abbracciò trascinandomi sotto il cielo notturno, fuori delle mura di Valìria. L'oscurità si era popolata di creature ostili, ed addentrarsi ulteriormente nell'altopiano dell'Havenand sarebbe stato un suicidio, solo di minor tormento rispetto al consegnarsi al re morto. Eppure Mael rideva, ed io non potevo fare a meno di avere fiducia in lui.
"Cosa faremo?" chiesi, guardandolo negli occhi, quegli occhi ridenti così uguali ai miei, nei quali mi persi per la prima volta in maniera cosciente.
"Ora io lo so, ed anche tu lo sai" affermò deciso lui.
"Non voglio morire" non sapevo ancora.
Con un sorriso, lui capì, ed iniziò a camminare sull'altopiano, tenendomi in braccio. Inorridita, impaurita, mi avvicinai a lui al vedere la fauna dell'Havenand, e cercai conforto nella sua forza.
"È ora che tu sappia, affinché tu non tema più" mi disse, "Io sono te"
Così dicendo, il suo mantello si lacerò, e due ali di ferro e carne finalmente libere ci fecero librare nel cielo, sotto la luce della luna nera.
"Mael"
"Io sono la tua mente, Leam"
Questa volta fui io a sorridere, attonita. Non era razionalmente possibile, ma come altrimenti poteva essere? Io avevo vissuto ciò che lui aveva vissuto, avevo visto ciò che lui aveva visto, ed avrei capito se lui non fosse stato tutto quello che mi permetteva di capire.
Improvvisamente Mael mi abbracciò, ed io rivissi in un istante tutti i momenti vissuti da noi, da me come lui ed in lui come me. Tutto ormai era finito, compresi, tutto tranne un'ultima cosa.
Io dov'ero?
E mentre questo terribile pensiero mi attraversò il cervello, mi vidi ancora là, nel sottosuolo di Valìria, immobile nella mia cella impenetrabile, alla mercé del re morto e della sua crudele libidine
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"Finalmente ti sei svegliata"
"Chi sei?"
"Questo non ha importanza, se lo vuoi. Il mio nome ha troppi significati di morte, e penso che sia l'ultima cosa che tu voglia sentire, ora. Non ha importanza nemmeno chi tu sia, a meno che tu non sia veramente la ragazza di cui tutti parlano"
"Chi parla, e di cosa?"
"Dicono che una ragazza sia fuggita da Valìria, e la descrizione della ragazza coincide straordinariamente alla tua. Sai, se tu fossi veramente fuggita da Valìria, potresti esserci di aiuto"
"Per cosa?"
"Per assediare il re morto e distruggere il suo regno. Ma forse erano solo le fantasie di un pazzo, e dovrei solamente lasciarti riposare in pace"
"Aspetta, chi è il pazzo di cui stai parlando?"
"Un certo Mael, se non sbaglio. Mael da Æreviv. Perché, lo conosci?"
"Non ha importanza, quello è veramente pazzo" sorrise Leam, "Ma ha importanza che io sia proprio colei che cercate" sorrise nuovamente.
Questa volta sapeva: sapeva che stava sorridendo alla vita.
Raileen Whisperwind