Somewhere far beyond the forest
Perso nell'infinita valle, cavalcando tutta notte nell'interminabile foresta, dopo essere stato sfidato da lupi e da creature infernali, stremato dalla fatica, intravidi una luce innanzi a me al di là di alcuni alberi. Mi avvicinai timoroso stringendo la spada, terrorizzato dall'idea che la luce fosse il riflesso della splendida luna piena negli occhi degli orribili mostri incontrati più indietro nella selva. Ma questa volta non sentivo il rantolio dei loro respiri, non potevano essere loro. Mi feci coraggio e mi avvicinai ancora, in groppa al mio prode destriero. Oltre le ultime querce secolari, che, n'ero sicuro, assisterono negli anni alle carneficine ed alle crudeltà dei mostri della foresta a danno degli sventurati cavalieri, trovai delle grosse rocce; due di questi massi sembravano brillare di luce propria. In verità, qualcosa, dietro le rocce, rifletteva la propria luce su di esse dando questo singolare effetto. Forse i pericoli e le tribolazioni del lungo viaggio non erano state vane; il cuore mi balzò in gola poiché potevo essere vicino alla meta. Scesi da cavallo e mi precipitai immediatamente a guardare oltre le rocce. E rimasi esterrefatto.
Ciò che provai in quel momento non lo dimenticai mai; un accavallarsi di sentimenti ribollì nel mio cuore. In quell'istante meraviglia, gioia e contemplazione si sostituirono alla paura; la fatica ed il dolore lasciarono il mio corpo ed il sangue divenne fuoco nelle vene. Mi trovavo di fronte al maestoso e leggendario castello della valle di Kontard. Io, il prescelto del mio popolo, avevo l'onore di essere davanti alla più stupenda creazione del nostro signore, sovrano di queste terre; m'inginocchiai e ringraziai Dio di avermi aiutato ad arrivare sano e salvo sin qui e per farmi assistere a quel surreale spettacolo.
Il castello era gigantesco, più di quanto gli avi del mio popolo dicevano essere. Si ergeva imponente su di una rupe dominando l'intera vallata, aveva numerose torri e potevo vedere le sentinelle di ronda che controllavano il territorio circostante, e mi sembravano così minuscole in proporzione alla dimora di sua altezza. La notte colorava le sue mura di un blu pallido e le donava un'atmosfera quasi magica. Nonostante l'ora tarda, c'erano diverse finestre dalla quale proveniva la luce delle torce del castello, e furono esse a segnalarmi,indirettamente, la sua presenza. Come tradizione per i castelli del mondo conosciuto, era circondato da un profondo fossato, ed una strada strettissima, ai cui lati c'era l'altissimo strapiombo, portava in prossimità del portone d'ingresso. Per oltre due secoli questa fortezza resistette ai diversi assedi delle tribù barbare dell'est, e sempre riuscì a piegare gli avversari alla resa. Rimasi estasiato diversi istanti, ma rimembrai il motivo per cui ero lì: avevo una missione da compiere.
Il mio compito era di chiedere aiuto alle forze reali per sconfiggere le armate dei malvagi di Malkor, che da mesi facevano razzie del mio umile e pacifico villaggio. Mai nessuno tornò vivo dalla foresta della valle, mai nessun prescelto prima di me riuscì a portare a termine la missione ed a giungere presso la fortezza del signore di Kontard. Ma fui orgoglioso di essere arrivato proprio io a destinazione, seppi che le anime dei miei predecessori mi avevano aiutato sin qui, e questa meta la dedicai a loro.
Decisi, quindi, di incamminarmi verso la strada che portava al castello; con me solo la spada, una bisaccia ed il coraggioso Falstaff, il mio destriero nero. Più m'inoltravo nella strada più ero pervaso dal timore e dalla reverenza nei confronti di questa autentica meraviglia, come un bambino che dal basso osserva stupefatto un guerriero dalla possente armatura. Ad ogni passo che facevo verso il castello, esso pareva ingigantirsi sopra di me, con aria quasi minacciosa. Non bastasse, mi terrorizzava l'idea di poter scivolare oltre gli argini della stradina, non sentivo nemmeno il rumore dei sassi che cadevano giù in fondo al dirupo.
Fui sicuro di essere stato visto dalle sentinelle del castello, poiché le due finestre ai fianchi del portone si riempirono di luce, e quando fui arrivato alla fine della strada una voce mi urlò:
- Chi va là? -
- Sono un cavaliere del villaggio di Kontigen, a trenta miglia a sud da qui. Ho attraversato tutta la notte la selva per portare un messaggio a sua maestà da parte della mia gente. -
- Lascia la spada quindici passi dietro di te e avvicinati! -
Feci come mi fu ordinato; davanti a me si spalancò il portone e calò giù il ponte levatoio. Lo attraversai accompagnando il mio coraggioso destriero per le briglie e, non appena i soldati videro le mie condizioni, abbassarono le lance che mi puntavano a distanza. Presero Falstaff e lo portarono all'abbeveratoio e, quanto a me, mi fecero sedere su una panca di pietra in attesa.
Avevo riportato qualche ferita durante gli scontri con i lupi ed il mio braccio destro sanguinava notevolmente. Laggiù, nella selva, poche ore prima, un dannato lupo mi aveva morso l'avambraccio rimanendone attaccato. il suo peso era sul punto di disarcionarmi, di trascinarmi giù, a terra, per finirmi. Fui in grado, con uno sforzo estremo, di sferrargli un colpo al collo, tanto forte da decapitarlo permettendomi di liberarmi e soprattutto di salvarmi. Mentre mi servivano una ciotola d'acqua fresca da bere, si avvicinarono due giovani donne e cominciarono a medicarmi il braccio.
Mi guardai intorno e osservai com'era fatto questo magnifico castello all'interno. L'ingresso dava su uno spiazzo di forma quadrata, su esso si affacciavano decine e decine di finestre, erano probabilmente le camere dei soldati di corte. Ai vertici del quadrato vidi degli accessi entro i quali c'erano le scale a spirale che portavano alle stanze e alle torri rispettive degli angoli del castello. Dalla parte opposta al portone d'ingresso c'era un nuovo portone e lasciava immaginare che oltre ci fosse uno spiazzo simile a questo e probabilmente anche le stalle dei cavalli. Sopra i tre piani di stanze che qui vi si affacciavano, una serie di merletti, dietro i quali vedevo passare avanti e indietro le sentinelle di ronda. Anche in caso di un'invasione nemica all'interno del portone, i soldati erano in grado da quelle posizioni di attaccare, il nemico non poteva fuggire tranne che dal portone principale, visto che gli accessi alle scale potevano essere chiusi da pesanti porte in ferro apribili solo dall'interno. Cominciavo a capire perché questa fortezza pareva invincibile.
Dopo che mi ebbero medicato ed abbeverato, mi portarono una cesta colma di frutta, ma rifiutai. Chiesi solo se potevo riposare qualche ora, e l'indomani avrei conferito con nostro signore. Accettarono e non mi fecero altre domande. Le due donne mi accompagnarono verso le scale alla mia sinistra e mi aiutarono a salirle; arrivati al terzo piano, senza dire una parola, mi fecero attraversare un lungo corridoio illuminato da torce infuocate e mi fecero entrare in una stanza in fondo ad esso. All'interno una sedia, un tavolo ed un letto; finalmente potei coricarmi, aiutato da queste bellissime fanciulle. Chiusi gli occhi, le donne restarono lì parecchi minuti a guardarmi amorevolmente, pronte ad esaudire ogni richiesta fosse stata proferita dalla mia bocca, ma volevo solo riposarmi. Dopo diversi minuti so che se ne andarono, non sentivo più il loro soave profumo.
Durante il periodo del mio sonno, ebbi degli incubi terribili. Rividi i famelici lupi della foresta che mi attaccavano: mi vedevo a terra, immobile, mentre loro dilaniavano le mie viscere. Cercavo di urlare con tutte le mie forze, ma dalla mia bocca non proveniva nessun suono. Ad un passo da me, la mia possente spada. Tendevo il braccio per afferrarla, ma essa si allontanava; maledizione, allungavo il braccio ancora, ma la spada, come trascinata da una forza invisibile, veniva nuovamente spinta via da me. L'angoscia ed il dolore mi avvolgevano, e non riuscivo a reagire. Più in là, alla mia destra, vedevo delle creature nere dagli occhi gialli, di un giallo quasi luminescente, attaccare il prode Falstaff. Lo vedevo rizzarsi sulle gambe posteriori ed agitare quelle anteriori per restare in equilibrio: se quelle cose gli si fossero attaccate alla gola sarebbe stata la sua fine. Ma esse continuavano a saltargli addosso, sulla schiena, sui fianchi; quel povero animale sembrava patire enormi dolori, potevo vedere i suoi occhi lacrimare. Lo vidi infine soccombere agli attacchi di quegli orribili mostri. Cadde su un lato, la sua gola iniziò a sgorgare sangue come una fontana, poi la sua pancia fu squartata, quelle creature penetrarono nel suo stomaco e nelle sue budella per nutrirsi della carne ancora calda. Ed io non potevo aiutarlo. Cercai di divincolarmi in ogni modo, di spingere via da me quei crudeli animali, ma i miei muscoli erano privi di forze; sentivo dei dolori lancinanti al mio braccio e vedevo la testa di un lupo - e dico solo la testa, senza il resto del corpo - che mi strappava via lembi di carne. Serrai gli occhi, provai straziato, ad urlare un'ultima volta E riuscii!
Riaprii gli occhi che ancora la mia voce echeggiava nella stanza. Mi ritrovai in un bagno di sudore, seduto sul letto, con ogni muscolo del mio corpo teso. Mi guardai fugacemente intorno per assicurarmi stupidamente che non ci fossero bestie carnivore. Dopo qualche secondo si precipitò in camera una figura maschile e accorse verso di me.
- Che succede? - mi chiese.
- Scusate, - dissi col fiatone, - era un incubo… -
- Non importa, spero ora vada meglio! Quando ve la sentite, potete scendere nella piazza dei castellani; vi aspettano delle donne che vi laveranno e vi rifocilleranno. -
- Grazie mille, signore. Ma voi chi siete? -
- Mi chiamo Yorg, sono il capo delle armate reali, passavo di qui a prendere la mia spada dalla mia stanza, che è esattamente di fianco a questa, quando vi ho sentito urlare. Mi hanno riferito che venite da Kontigen. Qua è il vostro nome? -
- Sono Hansi, figlio di Marcus, il maniscalco. -
- Ah, Hansi Kürsch! Ho sentito parlare di voi. So che avete molto talento nell'arte del combattimento corpo a corpo e con la spada e che siete infallibile con la balestra. Abbiamo saputo come avete aiutato a difendere gli altri villaggi della valle dalle tribù barbare. Si sostiene che avete ucciso più di trecento barbari in questi anni. -
- Sì è vero. Ma questa volta il mio coraggio non è sufficiente ad allontanare dal mio villaggio il costante pericolo della tribù di Malkor. Ed è per questo che sono venuto sin qui. Abbiamo bisogno degli aiuti delle armate di sua Maestà e vorrei quindi chiedere umilmente al nostro signore la sua collaborazione. -
- Capisco, ma so che in quest'ultimo periodo sua Maestà sta tenendo una linea diplomatica con i vari capi tribù; sta cercando di giungere a compromessi con ognuno di loro. Questo perché ha deciso di voler mantenere la pace nel suo regno. Mi auguro, in ogni modo, che possa venire incontro ai problemi del vostro popolo. -
Com'era possibile? Il nostro Re era diventato un codardo? Non riuscivo a credere a ciò che sentivo.
- Sentite, Yorg, con la tribù di Malkor non c'è possibilità d'accordi! Continuamente ci rubano le provviste, le pelli degli animali uccise dai nostri cacciatori, ci distruggono di notte i campi; inoltre alcuni uomini dei nostri sono andati più di una settimana fa verso l'accampamento dei barbari per discutere, ma ad oggi non sono ancora tornati, si pensa siano loro prigionieri. Sono convinto che a breve tutte le nostre vite saranno in pericolo. Il nostro è un villaggio pacifico, non abbiamo che pochissime armi, ed io sono uno dei pochi in grado di usarle! È necessario un intervento armato dei vostri uomini e…-
- Calmatevi, Hansi! Sono sicuro che il nostro Re prenderà la decisione più saggia per voi e per la vostra gente. E' già stato informato stamani del vostro arrivo, e siete invitato questa sera presso la sala reale, dove potrete discutere direttamente con lui della faccenda, davanti ad una buona porzione d'agnello ed un calice del prezioso vino della valle. -
- Bene, ne sono onorato. Vorrei chiedervi di accompagnarmi alla piazza dei castellani. Ho davvero bisogno di un bel bagno e di rimettermi in sesto. Ma che ore saranno? -
- Sono le circa le cinque del pomeriggio. Avete dormito per ben quattordici ore. -
Seguii Yorg lungo il corridoio verso le scale che erano dalla parte opposta a quelle risalite la notte prima; nel cammino osservavo i quadri appesi alle mura del corridoio: rappresentavano per la maggior parte scene di battaglie contro i barbari, in cui la figura del nostro Re spiccava su tutto il resto. Aveva sempre la spada in pugno e con essa sembrava sferrare colpi mortali ai nemici per difendere la propria vita e per infliggere più perdite possibili alle armate avversarie. Così mi ero sempre immaginato il mio Re: temerario e coraggioso, disposto a tutto pur di difendere il proprio regno. Non potevo credere che fosse diventato uno squallido diplomatico.
Scendemmo le scale ed arrivammo alla piazza che immaginavo ci fosse la notte prima dietro al secondo portone. Qui trovai un folto brulicare di persone: chi tornava dalla caccia con la selvaggina, chi si preparava ad attraversare la foresta, carico di tessuti e di pelli, per andare probabilmente a commerciare con i villaggi vicini, i bambini che giocavano a rincorrersi, e le donne… Quante bellissime donne vedevo camminare davanti a me, vestite di tessuti sgargianti, alcune in blu, altre in rosso, e che corpi meravigliosi… rividi tra loro le donne della notte prima, mi si avvicinarono; sorridendomi, m'invitarono a seguirle. Salutai e ringraziai Yorg e m'incamminai dietro di loro; mi portarono in un locale spoglio, freddo, entro il quale c'era una grossa tinozza e, ai lati della stanza, delle vasche colme d'acqua. Suppongo fosse il lavatoio. Le donne fecero un cenno a due giovani che, pochi istanti dopo, entrarono in questo locale con vari secchi d'acqua fumante, dopodiché uscirono chiudendo la porta dietro di loro. Rimasi solo, con queste splendide ragazze; cominciarono a spogliarmi e mi aiutarono ad entrare nella tinozza. Furono degli attimi indimenticabili: anche se mi sentivo parecchio imbarazzato, provavo un piacere immenso mentre mi versavano l'acqua calda lavando il mio corpo stanco e sudicio dal viaggio. Le due ragazze sembravano molto disinibite nonostante la presenza di un uomo nudo davanti a loro, ma quando i loro sguardi s'incrociavano non riuscivano a trattenere timide risate. Pian piano mi lasciai cullare dal tepore dell'acqua calda su di me e mi abbandonai alle loro attenzioni. Oltre che imbarazzato, ero allo stesso tempo davvero lusingato dal fatto di sentirmi trattato come un signore. Dopo che mi ebbero lavato ed asciugato per bene, mi porsero dei vestiti puliti; erano abiti di seta blu. Un prodotto del genere valeva quanto un giovane vitello. Ero così stranito, ma dedussi che almeno così vestito potevo presentarmi dignitosamente a sua Maestà. Prima di metterli, però, mi cambiarono la medicazione al braccio e mi pulirono meglio i graffi che avevo al fianco, ricordo lasciatomi dai terribili lupi. Mi vestii, recuperai la bisaccia e, dopo un'abbondante razione di frutta portatami dalle due ancelle, passai il resto del pomeriggio passeggiando in quella che era la piazza dei castellani. Molta gente mi guardava sorridendomi, ma senza neppure chiedermi chi ero, cosa ci facevo lì; uno stalliere, addirittura, s'inchinò davanti a me: m'invitò, non appena si fu rialzato, a seguirlo nella stalla.
Falstaff! Il mio fedelissimo compagno di viaggio mi sembrava in forma smagliante; anche lui fu lavato e pulito a dovere e vedevo la sua pancia gonfia di biada. Si era ristabilito per bene! Le sue ferite erano già state medicate e sembrava voler affermare che era pronto a fare una bella corsa. Appena mi vide si mise a rampare, pieno di gioia, emettendo un fortissimo nitrito: era il suo saluto. Tranquillizzai i curiosi che passavano di lì, il mio cavallo stava solo dimostrando la sua felicità di vedere che anch'io stavo bene. "Sì, amico, sto benone!"
Hall of the King
Quando ormai fu scesa la sera, risalii nella stanza che mi aveva ospitato la notte precedente e qui vi trovai la mia spada. Era stata pulita dal sangue, lucidata, e perfino affilata; non avrei mai immaginato che in questo formidabile castello avessi potuto trovare gente così disponibile, generosa e nobile di spirito. L'onore ed il prestigio del castello era merito delle splendide persone che qui vi abitavano.
Restai lì, fino a quando, appena la notte fu scesa, fui chiamato da Yorg.
- Seguitemi, il Re vuole vedervi. -
Trasalii dall'emozione. Di lì a poco avrei visto con i miei occhi il magnifico Re Konrad, l'uomo che negli ultimi trent'anni era riuscito a dominare sugli ostili barbari, riuscendo a sottomettere tutte le tribù incontrate; colui che è sempre sceso in difesa delle sue genti, a riportare la pace là dove la sicurezza del regno era minacciata. Io, il prescelto di Kontigen, lo stavo per incontrare.
- Fatemi strada! - Risposi.
Presi la spada e la bisaccia e lo seguii.
Arrivammo davanti ad un portone alto almeno due volte una persona, su esso era scolpito il simbolo reale, un drago alato che sputava fuoco su di una città di ghiaccio: stava a significare che le forze reali avevano sempre avuto la meglio, nei decenni, sui barbari provenienti dai paesi gelidi dell'est; furono sempre piegati come il fuoco scioglie il ghiaccio. Due soldati appena videro Yorg si misero sull'attenti ed aprirono il portone; quale meraviglia nascondeva quell'enorme stanza!
Stavo entrando nella magnifica sala reale. Essa era piena di tappeti provenienti dall'oriente; appesi alle pareti numerosi quadri che riprendevano gli avi del Re, che nei secoli, si successero al trono. Notavo numerosi drappi rossi dai bordi dorati e anche molti mobili in legno pregiato; su essi vari soprammobili in bronzo, oro e argento. Le torce accese davano un colore rossastro all'ambiente e lo rendevano molto caldo e suggestivo. In fondo alla stanza un lungo tavolo sul quale potevo scorgere molte e succulente vivande.
M'inoltrai, solo, in questa fantastica sala e, quando fui arrivato vicino al lungo tavolo, sbucarono da una stanza a lato, due soldati. Si misero uno alla destra e uno alla sinistra della porta, pochi istanti dopo vidi un'ombra proveniente da quella stanza avvicinarsi; avanzava con passo lento, ma sicuro. Ma ecco che capì a chi apparteneva quest'ombra. Il magnifico Konrad era appena entrato nella sua sala reale. M'inchinai d'istinto appoggiandomi alla spada che mostrava il simbolo del mio villaggio, l'unicorno alato:
- Buona sera, sua Maestà. -
Mio Dio, che formidabile uomo! Era altissimo, almeno due spanne più di me; un corpo, nonostante l'età, robusto e possente, due grosse braccia, frutto di molti anni d'esercizio con la spada; la folta barba bianca, lasciava intravedere i tratti molto marcati del volto. Aveva una vistosa cicatrice sulla guancia sinistra. Essa gli solcava il viso partendo da sotto l'occhio, attraversava la gota e, disegnando una curva molto larga, scendeva sino alla giuntura della mandibola con la testa. Una così brutta ferita non poteva che essere procurata da un barbaro in battaglia. Uno sguardo fiero e intenso, di chi ha comandato per anni, di chi sa cosa fare, ma che sa anche ascoltare. Gli occhi, azzurrissimi, lasciavano capire che era un uomo dotato di grande magnanimità e onestà. Questo era il mio Re. Costui, dall'incredibile coraggio e dalla notevole esperienza maturata negli anni scuri delle invasioni barbariche, si avvicinò a me, povero cavaliere, indegno della presenza reale, e mi tese la mano:
- Alzati, cavaliere! Non hai bisogno di inchinarti davanti a me; un prode e valoroso soldato come te ha tutta la mia stima. Non temere, stringi la mia mano, come segno di fratellanza e riconoscenza reciproca. -
Rimasi interdetto da queste parole, non potevo nemmeno immaginare quanto nobile fosse Re Konrad; mi alzai quindi e strinsi, emozionato, la sua grossa e forte mano.
- Mio signore, non sono degno di stringervi la mano, ma vi ringrazio infinitamente per la vostra grandissima bontà. -
Mi sorrise e mi fece accomodare a tavola; essa era imbandita d'ogni sorta di cibi, comincia da un'ottima porzione d'agnello e cominciammo a discutere.
- Dimmi, - mi chiese il Re, - perché hai voluto sfidare la notte percorrendo trenta miglia nella selva per venire sin qui? Perché non hai preso la strada principale? -
- Vostra altezza, la strada è in più punti bloccata dai barbari; essi non permettono di servirsene a meno di non consegnare loro tutto il denaro posseduto e, in mancanza di questo, requisiscono il cavallo. Di notte, poi, tendono degli agguati agli sfortunati passanti; due cavalieri di un villaggio vicino al mio furono addirittura uccisi qualche mese fa. I barbari hanno sempre negato incolpando gli animali della foresta, ma so che non è vero: gli animali non si impossessano di bisacce e cavalli, solo quei vili dei barbari possono averlo fatto. Tra il loro pericolo e quello della foresta, ho preferito affrontare il secondo. -
Il Re mi fissava attentamente mentre parlavo, preoccupato per ciò che avveniva nelle sue terre. Continuai.
- Oggi sono qui per esporvi la situazione del nostro villaggio. Esso è costantemente bersagliato dalle ingiustizie della tribù di Malkor. Spesso ci derubano e la fanno da padrone; tutto ciò sta diventando intollerabile, la mia gente ha paura. Gli altri villaggi si rifiutano di aiutarci, in passato hanno subito troppe perdite umane negli scontri coi barbari e non vogliono più combattere. Il mio villaggio non possiede molte armi e con esse non potrebbe mai farcela a sconfiggerli. Abbiamo provato a mandare due nostri diplomatici per scendere a patti, ma i barbari li tengono prigionieri. Chiedo umilmente a voi, mio signore, di aiutarci e ad intervenire in qualche modo. Il vostro regno è di nuovo sotto le insidie barbariche. -
Egli abbassò lo sguardo e corrugò la fronte. Sembrava cercare una soluzione; la mia speranza era una decisione per un intervento armato, ma le parole di Yorg mi avevano molto scoraggiato a proposito. Pendevo quindi dalle sue labbra. Sorseggiò un po' del gustoso vino delle vigne private del castello e mi guardò rassicurante negli occhi.
- Non temere, domattina partirai con alcuni miei soldati e con loro arriverai al tuo villaggio senza incontrare alcun pericolo. I miei uomini porteranno con loro un mio messaggio per il capo dei Malkor. Vedrai, andrà tutto bene; la tua gente non dovrà più avere paura. -
Rimasi attonito di fronte a questa dichiarazione; non sapevo se preoccuparmi o se fidarmi. Ma il mio Re aveva parlato, non poteva essere altro che una giusta decisione.
- Grazie, mio signore, grazie infinite! Non saprò mai esservi riconoscente abbastanza. Farò in modo di farvi avere in regalo cento dei nostri preziosi capi di bestiame; è il minimo che la mia gente possa fare… -
- No, figliolo; non devi. Lo faccio per la pace della gente di questo regno. Non ho bisogno di ricompense. Voglio solo la vostra serenità. -
Che splendida persona! Continuammo la serata servendoci delle pietanze delle riserve reali, mentre mi chiedeva come avevo trovato l'accoglienza al castello e se avevo incontrato qualche problema. Ovviamente risposi che qui avevo trovato il paradiso in terra.
Quando ormai la luna era già alta e il mio stomaco gonfio di tutto quel ben di Dio, il mio valoroso Re si alzò dicendomi che potevo ritirarmi pure, l'indomani sarei dovuto partire presto. Lo ringraziai nuovamente per la sua disponibilità e comprensione. Lo vidi tornare nella stanza da cui era arrivato e, mentre usciva da questa, le sentinelle si misero sull'attenti, dopodiché si ritirarono con lui. Tornai nella mia stanza e ci misi un po' prima di prendere sonno, ero ancora molto emozionato per l'incontro di quella sera e ripensai alla personalità di quell'uomo. Ero onorato di vivere nel suo regno, non potevo desiderare un Re migliore di lui. Ma mi chiedevo come poteva un suo semplice messaggio cambiare la situazione per il mio villaggio. Ero abbastanza fiducioso, ma non posso negare che una piccola ombra di scetticismo giaceva ancora nella mia mente.
Journey
L'indomani mattina, al cantar del gallo, fui svegliato dal bussare alla mia porta. Erano i cavalieri del Re, venuti a prendermi per accompagnarmi al villaggio. Mi vestii e scesi giù, con in pugno la mia spada ed in vita la mia bisaccia, nella piazza dei soldati. Qui trovai quattro cavalieri, ognuno con l'elmetto sul capo, una maglia metallica addosso, forniti di spada e scudo, quest'ultimo con impressa l'effigie reale. I cavalli avevano in groppa delle selle di cuoio nero ed erano provviste di un tascone per la balestra; ai lati avevano appesi dei piccoli lenzuoli ricamati che raffiguravano di nuovo il dragone rosso alato, simbolo del regno di Kontard. Esso era ripreso anche sullo stendardo sorretto da uno dei quattro cavalieri; tutto ciò aveva l'aria di qualcosa di estremamente formale e solenne.
Stavo per lasciare quello splendido castello e tutta la sua meravigliosa gente; non avrei mai scordato i momenti qui trascorsi, e promisi a me stesso di divulgare a tutto il mio popolo quanto amore e candore vi trovai. "Grazie di tutto, brava gente, addio." Partimmo, salii in sella al mio destriero, Falstaff, quando il ponte levatoio si abbassò. Ripercorsi la pericolosa strada che portava al castello e mi allontanai preceduto dai cavalieri del Re. Mi girai ancora una volta verso la fortezza per catturare l'ultima immagine che avevo di essa, fissandomela indelebilmente nella memoria.
Il viaggio fu tutto sommato tranquillo, la via principale era abbastanza larga e agevole e non incontrammo problemi sino a quando in lontananza vedemmo quattro loschi figuri, vestiti di cuoio e pellicce, ognuno armati chi d'ascia, chi di spada. I cavalieri si misero due davanti e due dietro a me. Quando fummo abbastanza vicini, uno di quei rudi uomini barbuti avanzò di un passo e ci urlò:
- Fermi! Che cosa avete da lasciarci per farvi passare? -
- Silenzio, plebei!! - rispose un cavaliere - fareste bene ad inchinarvi davanti all'insegna del nostro signore di Kontard. Non intralciate il nostro passaggio, abbiamo un messaggio per il vostro capo tribù da parte del Re, e non abbiamo intenzione di perdere tempo con voi! -
Il barbaro fece una risata sommessa, che pareva più un ringhio, tornò indietro e si confabulò con gli altri tre suoi compagni. Dopo pochi istanti, tornò verso di noi.
- Quand'è così, vorremmo fare omaggio ai cavaliere del Re in segno di riverenza al vostro signore. Sarete oltremodo assetati e stanchi del viaggio compiuto fin qui e vorremmo offrirvi qualche sorso del nostro buon vino. Prego, venite; ne abbiamo una botte, la teniamo per dissetarci e scaldarci quando ne sentiamo il bisogno, ma visto l'eccezionale incontro di quest'oggi, vorremmo dividerlo con voi, se volete…-
I miei compagni di viaggio si guardarono indecisi. In effetti, bagnare le nostre gole secche non era una cattiva idea; eravamo piuttosto assetati.
- D'accordo, ci fermeremo soltanto per pochi minuti. Sua Maestà apprezzerebbe molto il vostro gesto. Vi ringraziamo già da ora in suo nome. -
Scendemmo uno per volta da cavallo. Dietro un albero si celava la botte del vino; uno dei barbari la aprì e la sorseggiò col mestolo. Se fosse stato avvelenato non avrebbe mai agito così, questo gesto mi rassicurò. Venne il mio turno e mi sentii davvero rinfrancato dopo aver bevuto; era un vino molto dolce, davvero apprezzabile, ma non era minimamente paragonabile con l'unicità del gusto del vino di corte.
Dopo che anche i cavalli si furono abbeverati al rigagnolo d'acqua che scorreva in prossimità della strada, ci rimettemmo tutti sulla via e i cavalieri cominciarono a montare sui cavalli. L'ultimo, facendo per salire, lasciò inavvertitamente cadere a terra un foglio che volò esattamente ai miei piedi. Fui preso dalla curiosità e lo raccolsi. Era il messaggio del Re. Dopo una veloce sbirciata, il cavaliere, leggermente alterato, mi disse:
- Ehi! Non vi è permesso leggerlo. Portatelo qui immediatamente. -
Così feci. Ma realizzai cosa lessi. Era una promessa di terre e denaro ai barbari da parte del Re. "Ah! È così che risolve i problemi sua Maestà? Come può essere così squallidamente magnanimo con questi disgustosi incivili criminali? Com'è possibile cadere a questi ingiusti compromessi? Crede forse che dopo questi doni, i barbari possano accontentarsi e stare buoni?" Rimasi esterrefatto e mi domandai ancora se questa era una cosa giusta.
Quando fummo tutti in sella, uno dei barbari mi chiese:
- Scusate, signore, ma perché voi non indossate le stesse divise degli altri? Non siete un uomo del Re, vero? -
- Non sbagliate, sono del villaggio di Kontigen, a cinque miglia a sud da qui. -
I quattro si guardarono in faccia sorpresi e sboccarono in una sinistra risata. Non mi sentivo affatto tranquillo dopo questo episodio, il loro comportamento lasciava trasparire qualcosa di malvagio, ebbi un brutto presentimento.
- Muoviamoci, compagni! - dissi ai cavalieri.
Volevo arrivare al mio villaggio quanto prima possibile. Continuammo il viaggio, ma, questa volta, accelerammo di molto il passo; il fatto accaduto poc'anzi non mi era per niente piaciuto. Volevo assicurarmi che al mio villaggio tutto era normale; o almeno così speravo. Ma sì, forse mi stavo agitando invano; ma allora cosa significava quella risata? Non riuscivo a dare una risposta.
Theatre of Pain
Ad un certo punto la strada era attraversata dal torrente Fluschen, dove venivo da ragazzino a giocare con i miei amici, e seppi che mancava solo mezzo miglio a Kontigen. Vidi in lontananza del fumo salire: "Strano, " pensai, "la stagione non è ancora così fredda per accendere il fuoco nei camini". Prendemmo una via interna sulla sinistra, essa arrivava giusto al mio villaggio, e qui capii da dove proveniva il fumo. La stalla era in fiamme, tutt'intorno i miei compaesani cercavano di spegnere l'incendio con secchiate d'acqua. Pochi passi più in là un gruppo di persone era ferma davanti alla casa di Klaus, il mio fedele amico. Scesi da cavallo e mi precipitai verso il gruppo.
- Gente, cos'è successo? -
Mi guardavano spaventati, chi piangendo, chi imprecando. Sentii singhiozzare una donna nella casa del mio amico. Entrai e vidi ciò che non avrei mai voluto vedere. Klaus giaceva sul letto, con la gola squarciata, certamente da un colpo di spada; sua madre inginocchiata di fianco a lui. In quel momento, rividi nella mia mente le innumerevoli notti che con Klaus trascorrevo intorno ad un piccolo falò, mentre io suonavo tristi melodie col flauto e lui cantava di leggende di dragoni ed elfi nella valle incantata. "Non canteremo più insieme, amico mio, non su questa terra." Sua madre, non appena mi vide, si gettò tra le mie braccia e mi strinse forte, addolorata e disperata per la perdita del suo unico figlio.
- Hansi.. mio Dio…- mi disse singhiozzando - I barbari volevano violentarmi, ha cercato di difendermi... me lo hanno ucciso… hanno ucciso mio figlio…-
"Bastardi, luridi assassini!" Traboccai d'ira e di dolore. Uscii dalla casa del mio povero amico e mi diressi deciso verso i cavalieri del Re.
- Allora è così… Il nostro Re vuole scendere a patti con questi assassini, vero? Come crede di risolvere la situazione, facendo solo degli indebiti doni? Perché non vuole aiutarci a combatterli? È un codardo, quindi?-
Quei quattro cavalieri, il cui unico pensiero era la riconoscenza del Re per aver portato a compimento la missione, risposero:
- Siamo dispiaciuti molto. Metteremo al corrente il Re, ma d'ora in poi, dopo la consegna di questo messaggio, vedrete che le cose cambieranno…-
- Idioti! Ma perché non volete capire? Io vi dico che se il Re non scenderà in battaglia a combattere con i suoi uomini, sarà complice e corresponsabile delle crudeltà dei barbari! -
I quattro rimasero senza parole; si guardarono interdetti e se ne andarono. Stupidi burattini, dietro la divisa reale non c'erano persone, ma pedine senz'anima.
- Hansi, Hansi…! - era la voce di Anna, la mia vicina, che mi correva affannata incontro. - Vieni, corri! Tuo padre vuole vederti… -
La seguii, entrai nella mia casa. Sbiancai. Le gambe mi cedettero e dovetti aggrapparmi alla porta per non cadere. Vidi mio padre, sdraiato sul letto, che tossiva sangue; la mia casa completamente sottosopra.
- Figliolo… -
Corsi verso di lui.
- Padre, che ti hanno fatto? -
- Mi hanno rubato i ferri per i cavalli; hanno rovistato in tutti i mobili per rubare i pochi gioielli che furono della tua povera madre… Feci per fermarli, ma ricevetti un forte colpo in pancia… Hansi, ho un'emorragia interna che non si vuole arrestare. Sto morendo… figlio mio…-
- No, padre. Non devi morire, non mi lasciare anche tu…! -
Il mio volto si rigò di lacrime, strinsi a me quell'uomo singhiozzando.
- Sei un uomo coraggioso, Hansi. Te la caverai benissimo, ne sono certo. -
Quegli assassini, disgustosi esseri di questa terra; avevano reso in fin di vita il mio caro padre. "Me la pagheranno". Egli continuava a sputare sangue. Afferrò debolmente il mio braccio e mi disse:
- Figlio, avvicinati; devo dirti una cosa importante. Perdonami, ma ti ho mentito su di una cosa in questi anni… -
- Non importa, padre, parla… -
- Ricordi quando ti dissi che tua madre, qualche anno prima di morire per le doglie del parto che ti ha messo al mondo… ricordi che noi avevamo una figlia? Si chiamava Angelika… Ti dissi che a poco meno di due anni di vita morì precipitando in un burrone… -
- Sì, è vero, ricordo, padre… su cosa mi hai mentito? -
- Tua sorella non è morta. Fu rapita dai barbari. Lei è una di loro, adesso. Perdonami, Hansi… scusami… ahhh! -
- No, padre! Resisti! Ma perché me l'hai tenuto nascosto in questi anni? -
Egli sforzò un sorriso, e dopo qualche istante:
- Tu sei sempre stato un testa calda. Avresti rovesciato il mondo pur di ritrovarla, e ti saresti cacciato sicuramente in qualche pasticcio. Ma ora devi trovarla, portala via da quegli incivili; non è giusto che sia in mezzo a loro. Tua sorella è castana, ha degli occhi bellissimi, verdi, come tua madre; ed ha una piccola macchia scura dietro la nuca. Riportala qui e parlale di noi, lei fa parte della nostra famiglia. Scorre lo stesso nostro sangue nelle sue vene, non è giusto che stia tra i barbari. Ahhh! Mio Dio…-
- Padre… padre!! -
- Perdonami Hansi…-
- Non scusarti, non devi. Ti giuro su Dio che la ritroverò e vendicherò quello che ti hanno fatto. Ma non mi lasciare… non farlo, no…! -
- Sono fiero di te… -
Furono le sue ultime parole. Spirò tra le mie braccia. Non posso descrivere il dolore e la tristezza che bruciavano in quell'istante dentro di me. Urlai disperato, sgorgando lacrime di sangue. "Padre mio, ti hanno ammazzato." Uscii barcollando dalla casa e caddi sulle ginocchia. Rivolsi gli occhi al cielo, straziato:
- Bastardi… Bastardi!!-
Lì, inginocchiato davanti alla casa della mia famiglia, la sofferenza e l'odio mi dilaniavano il cuore. In quel momento giurai vendetta. Quei figli di cagna sarebbero morti tutti, non meritavano altro. Mi avevano portato via la famiglia ed il mio amico. Dovevano essere puniti con le loro stesse vite.
Montai sul mio cavallo e corsi via, in mezzo ai boschi, senza una meta. Vidi un cinghiale. Lanciai la mia spada contro di esso, a più di venti passi da me. La spada si infilzò tra le sue costole e cadde su un fianco tramortito e agonizzante. Scesi da cavallo e con ferocia mi avventai su di esso menando fendenti, urlando, sconvolto, sull'orlo della follia. Era già morto dopo il primo colpo, ma dovevo sfogarmi, liberarmi dall'ira che mi possedeva. Mentre il suo sangue formava una macchia rossa irregolare sull'erba, gli aprii il petto, infilai in esso la mano e gli strappai il cuore, ormai esanime. Tesi il braccio che reggeva quel vitale organo insanguinato davanti a me.
- Questa sarà la vostra fine e quella di tutti i vostri figli, fottuti cani…!
Lo strinsi nel mio pugno, spappolandolo, e schizzò sangue dappertutto. Dopodiché caddi a terra stremato.
Flames of Revenge
Mi ripresi che era già notte. Mi guardai intorno, nell'oscurità, e vidi la carcassa del povero cinghiale; Falstaff era ancora dove lo avevo lasciato, in attesa. Mi fu chiaro cosa dovevo fare. Mi sporcai la faccia con il sangue dell'animale e montai sul mio destriero. Vagai nella notte della foresta fino a quando giunsi nei pressi dell'accampamento di quei carnefici. Vidi in un angolo una gabbia, fatta di robusti tronchi d'albero; in essa intravidi due uomini. "Ma certo! Sono Thomas e Karl; sono quasi dieci giorni che sono stati rapiti dai barbari." Mi accorsi che davanti alla gabbia c'erano due barbari di guardia, ma cascavano dal sonno; sarebbe stato un gioco da ragazzi sbarazzarsi di loro. Intorno a me solo l'oscurità ed il silenzio: era il momento di agire. Mi avvicinai da dietro ai due porci.
- Non senti caldo? - sussurrai all'orecchio di uno - Non senti le fiamme dell'inferno vicine, porco? -
- Eh…!-
Afferrai quella testa vuota e con una mossa violentissima gliela girai indietro. Non ebbe il tempo nemmeno di urlare. Lo spezzarsi dell'osso del collo svegliò di soprassalto l'altro. Con una mano gli tappai la bocca, con l'altra gli affondai il mio pugnale nel cuore. Aprii, quindi, la gabbia dove c'erano i miei compaesani, che nel frattempo si erano svegliati. Mi guardarono dapprima spaventati, non mi riconobbero subito, ma quando capirono chi ero feci loro cenno di non fiatare: rischiavamo grosso. Sant'Iddio, come erano deperiti! Mi seguirono fino a dove avevo lasciato il cavallo.
- Aspettatemi qui. -
Ritornai, silenzioso, nell'accampamento, ed entrai in una tenda, non prima di essermi assicurato che tutti dormivano. C'erano tre donne e qualche bambino. Mi avvicinai alle donne e, ad una ad una, cercai di scostare i loro lunghi capelli dal collo. Niente.
- Mamma… mamma…?! -
Dannazione, un bambino si era svegliato. Feci un balzo verso l'uscita e corsi veloce verso i miei compagni. Non fece in tempo a vedere dove mi diressi, ma lo senti strillare spaventato.
- Via di qui! - dissi agli altri due.
Non so cosa successe poi all'accampamento, di sicuro, comunque, nessuno ci stava seguendo. Feci salire i miei amici su Falstaff - si vedeva che erano molto deboli - e correndo, lo trascinai via dal campo.
- Amici, ma che via hanno fatto? Cosa vi è successo finora?-
- I barbari ci percuotevano sempre, ci usavano come loro schiavi. Eravamo costantemente sorvegliati a vista e ci era impossibile fuggire. Inoltre ci davano pochissimo cibo. Non ne potevamo più. Abbiamo pregato tanto Dio nella speranza di essere salvati, e finalmente, grazie a te, Hansi, ora siamo ancora liberi. -
Li misi al corrente delle novità sul villaggio, del mio incontro col Re e del suo messaggio. Si rattristarono molto e mi chiesero cosa avrei fatto.
- Amici, non cercatemi più. Ora sono solo contro tutti. Il Re non vuole aiutarci, voi siete troppo deboli e gli altri villaggi si sono rifiutati di scendere di nuovo a combattere. Io voglio solo giustizia e la otterrò, anche a costo della vita. D'ora in poi vivrò solitario nella foresta. Se stessi in mezzo a voi, verrebbe coinvolto tutto il villaggio e non è quello che voglio. -
Cercarono di dissuadermi, durante il cammino; ma ero convinto di ciò che volevo fare. Nessuno mi avrebbe fermato. Arrivammo finalmente al villaggio.
- Tornate nelle vostre case, e dite che Hansi tornerà solo quando giustizia sarà fatta. Addio, compagni! -
Mi allontanai in sella al mio cavallo diretto nel buio della foresta, senza destinazione. Da questo momento cominciava la mia vita da selvaggio: non una dimora fissa, non una persona al mio fianco. Solo io ed il mio magnifico cavallo, donatomi quattro anni prima dalla più onesta e buona persona di questa terra: mio padre.
Quella notte ripensai, sdraiato su di un prato, guardando le stelle, al mio passato, la mia storia. Un'infanzia felice e spensierata, tanti piacevoli ricordi insieme a Klaus e agli altri amici. Ricordai la prima volta che vedemmo, nascosti dietro dei cespugli, una battaglia tra i barbari e le armate di sua Maestà. Fui folgorato dai colori delle divise reali, dall'effigie, dalle armature dei soldati e dei cavalli. M'impressionò moltissimo l'eleganza dei cavalieri nel maneggiare la spada, come riuscivano a destreggiarsi nella ressa, a fare strage dei nemici. Sembravano invincibili. Fu in quei momenti che decisi di diventare bravo come loro. Appena adolescente imparai l'arte della battaglia grazie a Timo, il mio indimenticabile maestro. Egli era un fabbro del villaggio di Stauchen, a due miglia dal mio. M'insegnò ad usare la spada, a difendermi a mani nude, mi allenò all'uso della balestra; ricordai tutte le volte che tornavo a casa, la sera, malconcio e sporco dopo l'allenamento. E gli schiaffoni di mio padre, preoccupato perché tardavo ad arrivare. Rimembrai quella volta che mi costrinse a pane e acqua per una settimana, dopo avermi dato una severa dose di nerbate sulla schiena; questo perché dissi, vantandomene, che, grazie agli insegnamenti di Timo, avevo vinto una sfida con un compagno a cazzotti. Rividi la scena di quando, durante un'ennesima battaglia tra i villaggi della valle ed i barbari, Timo fu ferito a morte, ed io, poco più che sedicenne, scesi in battaglia a proteggerlo. Riuscii a buttarne giù cinque con la spada prima che Timo mi portò, disperatamente, lontano da lì. E mi disse, in fin di vita, che dopo quell'episodio, era sicuro che non aveva più niente da insegnarmi. Morì poco dopo. Quanto piansi per lui, il mio valoroso maestro. Tutte le battaglie che feci dopo quella le dedicai a lui. Fu Timo stesso a forgiare la spada che anche in quel momento era a fianco a me e con il quale uccisi molti di quei malvagi.
E poi le ragazze, i miei amori. Quanti stupendi momenti di sospiri e tenerezze mi tornarono in mente. Ripensai alla mia prima volta, con Ellen, che indimenticabile notte di passione trascorsi con quello che credevo l'amore della mia vita. Ma imparai che l'amore non è eterno, sebbene sia la cosa più meravigliosa di questo mondo. Con Ellen finì dopo due anni; trovò un nuovo compagno al suo villaggio e mi lasciò. Ma non ebbi mai rancore; mi dissi che fu destino, ed esso non si può combattere, ma solo accettare.
Si era fatto tardi. Pregai Dio di riservare un posto speciale per mio padre e per Klaus: se lo meritavano. Mi addormentai pensando a loro, al viso di mio padre sorridente, un uomo eccezionale. Ed a Klaus, il fratello che non ebbi mai avuto.
Il mio primo giorno da selvaggio cominciò così. Svegliatomi quando il sole era già alto, preparai il mio giaciglio individuandolo in un piccolo spiazzo circondato da arbusti e querce, difficilmente accessibile. Scavai una buca ed in essa riposi le mie armi di vendetta e di morte: la spada, la balestra con le frecce ed il pugnale; la ricoprii poi con qualche ramo secco, in modo da non renderla visibile. Scelsi un punto adibito a focolare, per scaldarmi e per cuocere la carne degli animali della foresta di cui mi sarei nutrito. Non lontano da lì passava il torrente Fluschen, ove potevo bere e lavarmi. Ero quindi completamente indipendente, non avevo bisogno di nient'altro. D'ora in poi questa sarebbe stata la mia vita, o almeno sino a quando non fossi riuscito a mantenere la promessa fatta a mio padre. Quel pomeriggio pianificai ciò che avrei fatto nei giorni a venire, come avrei agito, come avrei ucciso. E mi ripromisi di non avere nessuna pietà per il barbaro. Preparai diverse frecce per la balestra, mi costruii una fionda, una ciarbottana, insomma qualsiasi cosa potesse essere in grado di recare danno al nemico.
Non appena finii il lavoro, iniziai a cuocere al fuoco la carne del cinghiale. Mentre mangiavo, riaffiorarono alla mente i momenti delle disgrazie del giorno prima; cercavo di distogliere i pensieri, ma rivedevo continuamente davanti a me la scena del mio arrivo al villaggio, la stalla in fiamme, Klaus, la mia casa, e mio padre. Sentivo un rodimento dentro di me, un'ansia, il cuore che cominciava a palpitare. "No, devo essere forte, non posso permettermi di lasciarmi andare…" continuavo a ripetermelo, ma quelle immagini mi perseguitavano, non mi lasciavano in pace… mi venne un nodo alla gola. Mi chinai su me stesso, coprendomi la faccia. "Basta, basta! Non devo pensarci…!" Ma ormai era tardi, la disperazione aveva vinto. Allontanai le mani dal viso: erano piene di lacrime. Non riuscii più a controllarmi e continuai, silenzioso, a singhiozzare, neppure la forza di reagire, solo un'indescrivibile tristezza. "Perché, perché è andata così? Che cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Cosa ha fatto la mia gente per continuare a soffrire? Perché queste crudeltà?" Mi sentivo sconfitto dentro, nessuna voglia, nessuno stimolo, forse niente aveva più senso. E allora perché provare a combattere da solo una battaglia persa? Sentivo che la mia esistenza ormai era completamente inutile; avevo perso la famiglia, gli amici e, la cosa più importante, la libertà. Mi diressi al nascondiglio delle armi, cercando la spada. Mi asciugai gli occhi, gonfi di lacrime, e afferrai la mia arma; rimasi diversi istanti a fissarla, come inebetito, osservando la lama affilata, pensando a come sarebbe stato affondarmela nel petto. Probabilmente una liberazione, un po' di dolore all'inizio, ma poi più niente; la pace, forse. La puntai verso di me, chiedendomi se avessi avuto la forza di spingermela contro. Mi risposi di sì. Credetti allora di essere alla fine del viaggio. "Addio mondo, addio Kontard! Ho ricevuto troppe delusioni da questa terra, non posso più sopportare questa inutile e crudele vita… è essa stessa che mi rifiuta… non voglio più essere torturato da essa…" Serrai forte le mani intorno all'impugnatura dorata della spada, con la quale uccisi molti barbari, ed ora era il mio turno. Non so per quale motivo, ma in quel momento rimembrai la morte di Timo, il creatore della spada che mi stavo puntando al cuore. Ripensai a quando mi portò via dalla battaglia. Perché? Poteva lasciarmi morire, è ciò che tutti i cavalieri desiderano: morire in battaglia, combattendo per la propria gente ed in nome della giustizia e della libertà. Forse mi aveva lasciato la possibilità di crescere perché nelle mie potenzialità vide colui che poteva salvare gli abitanti del regno dai malvagi barbari. Ed io cosa avevo fatto in questi anni? Avevo sempre protetto la mia gente dai nemici, mettendo a repentaglio più volte la mia vita, e vidi morire innumerevoli compagni in battaglia. Il destino mi aveva scelto, ero un cavaliere del regno di Kontard ed il mio compito era proteggere fino alla morte il popolo del Re. E mi stavo uccidendo. "Ma che diavolo sto facendo?!" gettai via da me, inorridito, quell'arma, e presi a sudare e ad ansimare. "Non può finire così, io ho giurato morte al barbaro, ieri e più di dieci anni fa, quando morì Timo. Non voglio essere un codardo, no! Uno è già fin troppo!". Diamine! Per fortuna n'ero uscito. Ero di nuovo pronto a combattere, più forte e più motivato di prima. Raccolsi la spada e la baciai. "Grazie, Timo. La tua anima è in questa spada, e tu mi hai salvato la vita, ancora una volta."
Attesi il calar della notte; mi coprii di nuovo il volto con una maschera di sangue e di morte, raccolsi le armi e, in sella a Falstaff, m'incamminai verso l'accampamento dei Malkor. Dentro di me era tornata la sicurezza e l'odio necessario ad uccidere. Mentre cavalcavo, guardavo fisso davanti a me, con uno sguardo duro, freddo, di chi ha sofferto e vuole pareggiare i conti. "Questa notte si tingerà di rosso sangue", pensai. Arrivai alle tende; un pesante silenzio circondava il campo, solo una luce era rimasta accesa. Proveniva da una tenda, quindi qualcuno era ancora sveglio. "Facciamo visita a chi non vedrà più la luce del sole". Presi ciò che mi serviva ed entrai, disinvolto, nella tana del lupo. Avrei voluto farmi una risata: trovai due dei loro, seduti ai lati di un tavolo, che sonnecchiavano beati; in mezzo a loro un grosso recipiente vuoto e due ciotole. Nell'aria una puzza intensa di vino. Ebbi un'idea. Dopo aver terminato un lavoretto, facendo decisamente un po' di chiasso, uscii dalla tenda e attesi, nascosto dietro ad essa, l'arrivo di qualcuno. Se ne svegliarono due. Il primo entrò nella tenda e corse fuori, con gli occhi pieni di orrore, dopo nemmeno due secondi, andando a vomitare su di un albero lì vicino. Gli avevo preparato una bella sorpresa. Nella tenda aveva visto uno dei suoi compari col cranio fracassato sul tavolo, gli occhi strabuzzati; trovò, inoltre, la testa decapitata dell'altro nel recipiente del vino. Sul tavolo una scritta fatta col sangue: 'Ci vediamo tra poco laggiù, compagno!'. Presi la balestra, la caricai e scoccai una freccia verso quello stupido. Lo colpii esattamente in mezzo agli occhi. Stava sopraggiungendo quell'altro. Aspettai che questo avesse assistito allo spettacolo e, appena uscì, mi scaraventai su di lui, sbattendolo a terra. Fece per urlare, ma gli puntai la spada sulla gola:
- Sst! Ascolta… puoi sentire le anime nere urlare? Dimmi, le senti?-
Vedevo la sua fronte sudare, gli occhi sbarrati; non capiva, non sapeva che fare. Scosse la testa.
- Hai ragione. Hai bisogno di un aiuto… -
Mi appoggiai con tutto il peso sulla spada. Lo vidi dimenarsi repentinamente, afferrando con forza la lama cercando di togliersela dalla gola, coprendosi i palmi delle mani di tagli e sangue.
- Affoga nel sangue, bastardo! -
Voleva urlare, ma non riusciva, il porco. Dopo quasi un minuto non si muoveva più. Lo lasciai lì, ad imbrattare il terreno col suo fetido sangue, ed entrai in una tenda, in silenzio. Come il giorno prima, mi avvicinai alla donna che qui vi trovai, alzando i suoi capelli, speranzoso; niente. Uscii e continuai a cercare in un'altra tenda, in altre due, in altre tre. Niente. Uscii da quest'ultima e, per mia grande sventura, mi accorsi che dalla tenda di fianco stava uscendo un uomo:
- E tu chi diavolo sei? Ladro!! -
Feci appena in tempo a sfilare la balestra dalla custodia che portavo a tracolla e scoccare una freccia. Maledizione! Lo colpii alla spalla. Quello si strappò via la freccia e corse verso di me urlando a squarciagola. Aspettai che mi fu vicino abbastanza e d'improvviso mi buttai nella tenda, dove prima avevo intravisto, nell'oscurità, un'ascia. Mi avventai su di lui, caricando un colpo. Cercò di fermare l'ascia con la mano. Stupido! Gli tagliai di netto l'avambraccio. Il suo sangue schizzava, pulsando, a tre passi di distanza, e quel maiale continuava ad urlare, stava svegliando tutti. "Basta, muori!" Sferrai un secondo colpo, questa volta mirando la gola; ma quell'idiota stava svenendo. Subì un tremendo colpo alla tempia, il suo cranio si scoperchiò ed il cervello si sparse ovunque. "Tanto non gli è mai servito…" Scappai via, più veloce che potevo, verso il mio cavallo. L'avevo lasciato poco distante da lì, ma in quel momento la strada tra il campo e Falstaff sembrava infinita. Dietro di me sentivo gente urlare spaventata e disgustata, alcuni uomini gridavano - Eccolo, inseguiamolo! -
Montai in sella:
- Vai bello, forza!! -
Fuggii più lontano possibile, ad una folle velocità, e non sapevo neppure in che direzione. Galoppai in fretta per una ventina di minuti, poi rallentai; dietro di me il buio ed il silenzio: forse li avevo seminati, ma mi ero perso. Il cavallo era esausto, dovevo farlo bere. Smontai e ragionai sulla mia posizione. Il mio covo era circa a sette miglia a sud-est dai barbari; io mi ero allontanato dal campo approssimativamente verso ovest; considerando che dovevo abbeverare il cavallo, potevo svoltare alla mia sinistra, scendendo a sud. In questo modo avrei dovuto incrociare il torrente Fluschen, e, risalendolo controcorrente sarei arrivato a Kontigen e poi al mio nascondiglio. Feci riprendere fiato al mio destriero e mi incamminai nella buia selva. Il mio istinto non si era sbagliato: dopo circa mezz'ora si sentiva da lontano lo scroscio dell'acqua del Fluschen. Ancora qualche passo e lo vidi davanti a me. Potemmo finalmente bere.
Decisi di sedermi per qualche attimo a riposare, mi guardai intorno: un'incredibile pace. Osservai a lungo il cielo stellato, come quando ero piccolo in compagnia del mio migliore amico, Klaus. Ricordai che una notte mi disse:
- Sai che quando muore una persona, nel cielo compare una nuova stella? Quelle che brillano di più sono le anime delle persone buone. -
Non presi mai sul serio quella frase sinora, ma mi resi conto solo in quel momento della purezza dello spirito di quel ragazzino. "Avevi ragione Klaus, la tua stella ora è comparsa lassù e da lì mi stai guardando". Mi scese una lacrima sulla guancia. "Coraggio, Hansi. Andiamo, la strada è ancora lunga." Mi incamminai, quindi, accostando il torrente; passò circa un'ora prima di vedere alla mia destra il villaggio di Kontigen. Ero sulla giusta strada. Attraversai il torrente e dopo diversi minuti arrivai al mio covo. Anche questa volta me l'ero cavata.
Le notti seguenti, per un'intera settimana, tornai al campo di Malkor, seminando vendetta e morte. I barbari cominciarono a sorvegliare il campo poiché si accorsero che giorno dopo giorno si decimavano sempre più e ogni notte piazzavano qualche sentinella in prossimità delle tende. E ogni notte cominciavo lo sterminio proprio da loro. Una di quelle sere riuscii a recuperare i gioielli di mia madre. Erano in una tenda dove dormivano quattro uomini. Mi resi conto che questi erano gli stessi barbari che incrociai con i cavalieri del Re qualche giorno prima. Bastardi! Furono probabilmente loro ad uccidere Klaus e mio padre. Dovevano morire, ma soffrendo. Recuperai dello spago e, in assoluto silenzio, legai i polsi di ognuno dietro la schiena, in modo da renderli inoffensivi. Mi chinai sul primo e gli avvolsi lo spago intorno al collo; cominciai a tirare forte. Quella carogna si svegliò di soprassalto e cominciò ad agitarsi. "Fermati, maledetto!" Continuavo a stringere sempre di più e quello non poteva nemmeno urlare, chiedere aiuto. Mentre stringevo lo guardai dritto negli occhi:
- Coraggio, su… ancora qualche secondo è sarà finita, non avere paura! -
In ultimo tese le gambe, irrigidendo il corpo, e morì. Andai da un altro, lo sollevai fino ad appoggiargli la schiena sul mio petto. Gli misi una mano sulla bocca e con l'altra cominciai lentamente ad affondare la lama del pugnale sulla gola. Si rese conto che non era un sogno e provò in tutti i modi di scivolarmi via, ma lo tenevo stretto.
- Sst! Non vorrai svegliare i tuoi amici… non devi rovinargli la sorpresa… -
Passavo la lama avanti e indietro premendo sempre più, fino a quando svenne dal dolore. Lo lasciai lì, a morire dissanguato e mi avvicinai al penultimo. "Avanti, ho quasi finito." In quei momenti dentro me c'era solo freddezza e odio, ed ogni volta che ne uccidevo uno avevo come una sensazione di sollievo. D'altra parte stavo facendo un favore all'umanità ripulendola dalla feccia. Raccolsi la spada e gliela appoggiai sulla tempia, quello spalancò gli occhi:
- Salve… Addio! -
La spinsi giù con ferocia; gli si ribaltarono gli occhi nelle orbite ed il suo corpo si mise a tremare freneticamente, dopo pochi secondi era andato pure lui. Mi avvicinai all'ultimo, feci un balzo e gli atterrai col ginocchio sullo stomaco: era chiaro che per qualche secondo non fu più in grado di respirare. Negli attimi in cui quello tentava disperatamente di prendere fiato, presi il pugnale, lo affondai nello sterno e, calcando, scesi fino all'ombelico.
- Dai, urla , bastardo! -
Il sangue e le budella saltarono fuori sporcando tutto di rosso. Non so se fece in tempo a sentire la mia voce, perché dopo poco non si muoveva più. Girai altre tre tende cercando, invano, un macchia sulla nuca di un corpo femminile. Comunque, anche quella sera il mio dovere era stato fatto.
The Fallen One
Qualche notte dopo tornai, ma non sapevo che era l'ultima notte in cui avrei fatto visita ai barbari. Feci per entrare in una tenda, assicurandomi che non ci fosse nessuno nei paraggi, ma evidentemente non controllai bene. L'ultimo ricordo fu un dolore lancinante alla testa; poi il buio. Mi risvegliai in una gabbia di legno, era la stessa dove Karl e Thomas era stati prigionieri. Dannazione, compresi che mi avevano catturato. Mi accorsi di essere stato privato di tutte le armi, mi guardai intorno e vidi facce piene di odio e di cattiveria. Mio Dio! Ebbi una paura tremenda; cosa avrebbero fatto di me, quanto sarebbe durata la mia vita in mano loro? Furono attimi terribili. Un uomo venne verso di me e disse:
- Spiacente amico, ma posdomani daremo uno spettacolo nel tuo villaggio e insegneremo a tutta la tua gente, una volta per tutte, che nessuno dovrà più avere brillanti idee come le tue. Ed il protagonista dello spettacolo sarai tu. Ah ah ah! -
Trasalii, ma non dissi una parola. Cosa significava la sua frase? Ero davvero arrivato alla fine? Continuavo a pormi queste inutili domande, mentre la tensione e l'angoscia mi salivano di ora in ora. Probabilmente mi avrebbero ucciso davanti a tutti i miei compaesani per manifestare la loro presunta "supremazia". Mi trovavo solo, in gabbia come un animale, in mano al nemico, in preda al panico ed al terrore.
Mi ripresi di mattina e durante tutta la giornata non mi diedero nulla da mangiare. Mi passavano innanzi uomini, donne e bambini, fissandomi con un odio terrificante. Alcuni m'insultavano, altri mi sputavano addosso, altri ancora mi lanciavano pietre, ed io costretto a subire, senza poter reagire. Era terribile sapere che questi temibili individui avevano pieno potere di vita o di morte su di me. Una sensazione così era forse peggiore di qualsiasi atroce dolore. Di notte, mentre nessuno mi vedeva, strappavo qualche foglia dai rami che entravano nella gabbia, e mi nutrivo di quelle, cercando di estrarre qualche goccia d'acqua poiché la sete mi attanagliava le viscere. Studiai qualche modo per fuggire, scappare da quella maledetta gabbia, ma non c'era nulla da fare; era troppo robusta per creare un varco e le sentinelle mi controllavano sempre, notte e giorno e, anche se non ci fossero state, la situazione non sarebbe cambiata. Mi tenevano lì dentro, come un trofeo da esibire. Ed io cominciavo ad indebolirmi. Per due giorni e due notti subii le violenze morali e fisiche di quei maledetti carnefici, e non ricevetti una briciola da mettere sotto i denti; ero ormai stanco, debole, ancora una volta distrutto nell'animo.
La mattina dopo mi svegliò un improvviso e intenso dolore alla coscia. Quei cani mi avevano aperto una grossa ferita con una lancia. Gli piaceva vedermi soffrire, torturarmi, e sentivo grasse risate mentre lo facevano. Dopo poco aprirono la gabbia ed entrarono tre uomini. Impaurito, mi rannicchiai in un angolo, ma loro, urlando e scalciando, mi presero di peso e mi legarono mani e gambe. Capii che stavo per affrontare il viaggio fino a Kontigen. Mi portarono fuori di lì e mi legarono su di una tavola fatta di tronchi e ferro; ero immobilizzato, qualsiasi cosa potessero farmi io non potevo muovermi, dovevo semplicemente incassare. Legarono con una fune la tavola alla sella di un cavallo; volevano trascinarmi per cinque miglia.
Partimmo. È indescrivibile il dolore che provai legato a quell'asse. Ogni singolo sasso che mi passava sotto era come un colpo di bastone sulla mia straziata schiena. Inoltre ero costretto a respirare la polvere sollevata dal cavallo, rischiavo di soffocare. Dopo un'ora di calvario attraversammo il Fluschen in un punto in cui l'acqua era abbastanza bassa. Appena sentii che il cavallo fu entrato nell'acqua trattenni un grosso respiro; sarebbero trascorsi solo alcuni secondi, il torrente era largo solo pochi passi. Ma non fu così. Quei figli di cagna fermarono il cavallo proprio quando fui completamente immerso nel fiume. Bastardi! Mi stavano facendo affogare. Mantenni il respiro più che potevo, attendendo di rivedere il cielo sopra di me. Ma non si muovevano; cercai ancora di resistere, ma ben presto il mio petto cominciò a contrarsi violentemente, involontariamente, non ce la facevo più. Spalancai la bocca e dovetti lasciar passare acqua nei polmoni; tossivo, continuavo a buttar giù acqua. Sentii che stava per finire tutto, mi si gelò il sangue, cominciai a sentire freddo, fui colto dal terrore della morte incombente. Non ce l'avrei fatta se non fossi uscito entro pochi secondi. Quando ormai tutto sembrava perduto, sentii uno scossone violento alla tavola e mi ritrovai all'aria aperta. Provai a riprendere fiato, ma mi era impossibile, dovetti tossire e vomitare acqua per qualche istante fino a quando ricominciai forsennatamente a respirare aria. Intanto sentivo quei balordi ridere e sghignazzare. Ci provavano gusto ad infierire su di un povero inerme. Per molti minuti respirai con affanno e recuperai le energie perse sott'acqua. Quello fu uno dei momenti in cui credetti di morire, ma non fu l'unico quella mattina.
Arrivammo a Kontigen. I barbari si fecero largo tra la mia gente, spingendo e urlando. Potevo sentire voci familiari, impaurite, sconvolte; ma io non riuscivo nemmeno a muovere la testa per guardarli, per cercare uno sguardo amorevole, rincuorante, dopo giorni di solitudine. Slegarono la fune dalla tavola, poi sollevarono quest'ultima appoggiandola su di un palo. Adesso riuscivo a vedere davanti a me la mia gente. Vidi le donne piangere, i vecchi del villaggio sbalorditi, tristi. Non potevano fare niente per aiutarmi, il primo che si fosse azzardato sarebbe stato massacrato. Sentii che quelli erano gli ultimi attimi in cui avrei visto il mio popolo. Uno dei barbari si mise davanti a me e mi colpi con un violento pugno al volto, sboccando in una crudele risata. Si girò verso i miei compaesani.
- Signori, quest'oggi daremo esempio di come gli eroi fanno una brutta fine. Costui è stato colto in flagrante mentre cercava di assassinare dei nostri compagni e per questo deve pagare, qui davanti a tutti. E che a nessuno venga più in mente di ripetere le sue vane gesta! -
Ora i barbari si credevano padroni del nostro villaggio; con questo estremo gesto di supremazia miravano a controllare Kontigen. Nessuno poteva più aiutarci, anche il messaggio del Re non era servito. E dunque? Era davvero destino che la mia gente doveva ingiustamente assoggettarsi alle leggi dei Malkor? Per me ormai era finita, ma loro avrebbero continuato a vivere nell'ingiustizia. Esseri infimi e crudeli, ancora una volta stavano avendo la meglio. Sparsero intorno a me della legna: mi avrebbero arso vivo, i bastardi! Ormai ero devastato, non avevo nessuna forza, inoltre la ferita alla gamba aveva continuato a perdere sangue; se non fossi morto bruciato, sicuramente sarei morto dissanguato.
- Mettetevi comodi, signori! Lo spettacolo sta per cominciare… ah ah ah…! -
Chiusi gli occhi, attendendo la morte; in me ardeva un terribile supplizio, ero un uomo condannato. Accesero una torcia; stavano per darmi fuoco. Ripensai al Re, alle armate reali; se avessero deciso per la battaglia, quel pomeriggio non sarei di certo stato legato sopra quell'asse. Volevo morire pensando a loro, alle gloriose battaglie condotte nel passato, a quella che vidi da bambino, al suono del corno che dava inizio all'attacco. Ora mi sembrava così reale, echeggiava nella mia mente e mi riportò a quel momento dell'infanzia. Il suono del corno, simbolo della battaglia, mentre la morte stava venendo a portarmi via, mi pareva sempre più vicino.
"Ma, per Dio, non è un'allucinazione!" Sentii il terreno tremare, decine e decine di cavalli stavano avanzando verso Kontigen. Vidi la gente guardarsi in faccia, interdetta, e poi girarsi verso la strada d'accesso al villaggio. Pregai Dio che fossero davvero le armate di sua Maestà. E fu così. I barbari rimasero sconvolti e, disordinatamente, cominciarono a recuperare le armi; ma quello che aveva in mano la torcia non rinunciò alla gioia di vedermi ardere e la lasciò sulla legna. Il fuoco cominciò a divampare. I soldati del Re erano già entrati a Kontigen e, senza esitare, si avventarono sui barbari cominciando a massacrarli. Intanto io iniziai a sentire il calore delle fiamme di quel rogo sempre più vicine; se nessuno fosse venuto a liberarmi sarei davvero morto. Ma vidi Yorg correre verso di me.
- Ciao, vecchio. Sempre nei guai, tu. Vero? -
Prese la tavola sul quale ero legato e la trascinò via, lontano dalle fiamme. Iniziò a slegarmi.
- Hey, che tempismo! Altri due minuti ed avrei fatto compagnia al demonio. Come mai le armate reali si sono mosse, finalmente? -
- Il Re ha saputo del fatto di settimana scorsa ed è rimasto turbato. Nonostante il messaggio, i Malkor hanno fatto razzie anche in altri villaggi. Hansi, il Re è malato da tempo e ogni giorno pare peggiorare. Vuole morire sapendo di lasciare il suo regno davvero al sicuro, e perciò ha deciso di mandare i suoi uomini a liberare i villaggi colpiti. Non può sopportare di lasciarli nelle mani dei barbari. -
- Sono molto dispiaciuto per la condizione del Re; non avrei mai immaginato che stesse male. Ma ora aiutami, continuo a sanguinare… -
- Non temere, ti porterò al castello. Ti scorterò io stesso insieme a qualcuno dei soldati. Là abbiamo dei dottori che sapranno curarti. Adesso conviene portarti al sicuro. -
Yorg mi prese in spalletta e mi portò poco distante da lì. Mi fece stendere; la ferita continuava a sanguinare e decise di strapparsi un lembo della divisa e stringermela forte sulla gamba. Adesso, perlomeno, il deflusso del sangue pareva pian piano arrestarsi.
- Devo andare a combattere ora. Manderò qualcuno a sorvegliarti, sta tranquillo. -
- Stai attento, Yorg…! -
Non so cosa avrei dato per poter combattere anch'io, ma ero debole e ferito. Sarebbe stata un'emozione bellissima affrontare i barbari affiancando le gloriose armate del Re, battersi insieme a loro, essere uno di loro. Li potevo vedere da dov'ero, ed ebbi le stesse sensazioni di quand'ero bambino, la prima volta che li vidi in azione. I barbari cadevano uno ad uno, non potevano competere. Era favoloso vedere le tecniche di combattimento dei soldati, provate e riprovate in allenamento al castello. Ero felice che il Re avesse cambiato idea, era un peccato non rendere attive le potenzialità delle sue armate, soprattutto perché nessuno come loro sapeva affrontare il nemico; senza il loro provvidenziale intervento molti villaggi del regno sarebbero stati invasi dai barbari.
Attesi , sorvegliato da due soldati, il termine della battaglia. La mia gente, nel frattempo, si era rifugiata nelle proprie case. Vidi dopo nemmeno due ore i barbari soccombere ed arrendersi. Yorg, allora, si rivolse a loro dicendo:
- Popolo di Malkor! Vi dichiaro colpevoli per aver attentato alla sicurezza del Regno di Kontard. In nome di sua Maestà, Re Konrad IV , vi ordino di allontanarvi da queste terre e di non tornarvici mai più. Sarete accompagnati dai soldati del Re al vostro campo e con loro tornerete ai villaggi di Stauchen, Kontigen, Tolkkist, Kotipelt e Weikatisch, e restituirete gli oggetti ed i valori rubati. Dopo aver compiuto il volere di sua Altezza, la vostra gente sarà accompagnata ai confini del regno e lascerete per sempre il territorio reale. Così sia! -
Anche questa volta giustizia era stata fatta. Mentre i barbari reduci dello scontro si allontanavano, mi portarono nella piazza del villaggio; la gente cominciò a uscire dalle case, con volti pieni di gioia e di speranza.
Molti mi si avvicinarono. Ero commosso, non mi sarei mai aspettato un'accoglienza ed un calore simile. Venivano da me, mi accarezzavano, mi abbracciavano, trattandomi come un eroe. Erano tutti preoccupati per le mie condizioni, ma Yorg li rassicurava, sarei stato curato e sarei tornato in forma come prima. Non so perché, ma mi salì un nodo in gola e scoppiai a piangere come un bambino. L'emozione era tanta e non riuscii a trattenermi. Ringraziai tutti per il loro amore ed affetto. "Grazie, grazie a tutti, gente di Kontigen."
- Coraggio, Hansi. È ora di andare, dobbiamo curarti.-
Salutai i miei compaesani, gente meravigliosa, e promisi di tornare non appena mi fossi rimesso. "Arrivederci, compagni."
Mi aiutarono a salire su di un cavallo e cominciammo il viaggio . Durante il tragitto mi chiedevo che fine avesse fatto Falstaff, il mio adorato cavallo. Chissà cosa aveva fatto in quei due giorni in cui ero rimasto prigioniero; probabilmente era rimasto nei pressi del campo ad attendere il mio ritorno; ma ora dove poteva essere? Purtroppo non avevamo tempo di cercarlo, speravo solo che stesse bene e che un giorno l'avrei rivisto. Falstaff aveva ormai imparato la strada tra il villaggio ed il campo e si sarebbe fatto vedere a Kontigen. Se fosse tornato lì sicuramente i miei amici lo avrebbero accudito.
Chiesi a Yorg di fermarsi al torrente, avevo bisogno di bere. Qui potei anche pulirmi la ferita e rifarmi la medicazione, operazione dolorosissima, ma necessaria. Anche i soldati poterono bere e lavarsi, ne avevano bisogno; nella battaglia avevano perso molte energie, ma ne era valsa la pena, il loro obiettivo era stato raggiunto. Ma non il mio. Riprendemmo il lungo viaggio e, nel cammino, ripensai alla promessa fatta a mio padre: non ero riuscito a mantenerla. Sì, è vero, avevo ucciso i suoi assassini, ma non ero riuscito a trovare mia sorella, a riportarla nella sua terra natia. Ma dovevo farlo, era l'ultimo desiderio di mio padre e volevo esaudirlo. Se i barbari fossero usciti dal regno avrei dovuto in qualche modo raggiungerli e agire nuovamente nell'ombra, ma se mi avessero scoperto questa volta mi avrebbero sicuramente ucciso. Ero indeciso sul da farsi, ma non era giusto che mia sorella rimanesse tra i barbari, lei era stata rapita, il suo popolo non era quello. Infine mi dissi: "Padre, fosse l'ultima cosa che farò in vita mia, ma la ritroverò. Te lo devo."
The Return of the Warlord
Arrivammo che era ormai tardo pomeriggio. Vidi di nuovo il fantastico castello; non avrei mai creduto di poterlo rivedere così presto, ma la meraviglia e l'emozione furono ugualmente molto intense. Si abbassò il ponte levatoio e potemmo entrare. Nella piazza dei soldati si formò un grande quantità di gente, contenti di vedere i propri uomini rincasare, ma anche ansiosi di sapere l'esito della battaglia. Ci fermammo al centro della piazza, Yorg scese da cavallo; guardò la gente intorno. Avanzò di qualche passo verso di loro e sorrise. Alzò verso il cielo la sua spada come segno di vittoria e solo allora si sollevò un urlo di gioia tra la folla. La gente si avvicinava ai soldati, con visi sorridenti e felici, a congratularsi , ad abbracciare i loro paladini. Molti si informarono riguardo gli altri soldati, ma Yorg li tranquillizzò tutti dicendo che non c'erano state perdite, ma solo qualche ferito non grave. Poi venne da me, mi fece scendere da cavallo e mi prese in braccio:
- Gente! Costui è Hansi Kursch, un valoroso uomo del regno, un eroe. Ha voluto sfidare da solo il nemico seminando numerose morti tra i barbari. Egli è un cavaliere coraggioso, senza paura. Porgiamogli i nostri omaggi e la nostra gratitudine; merita la stima di tutti i cavalieri del Re. Onoriamo il grande Hansi! -
Un nuovo urlo si alzò, seguito da un lungo applauso. Rimasi senza parole; era la mia giornata di gloria. Ritrovai l'accoglienza che ebbi avuto la prima volta che venni qui, gli stessi sorrisi, lo stesso rispetto. Yorg mi aveva presentato come un cavaliere onorabile; speravo davvero di meritarmi tutto questo. I castellani venivano da me a stringermi la mano, a mostrarmi tutta la loro stima, ed io mi sentivo inebetito, meravigliato. Mai mi sarei aspettato tale riconoscenza addirittura da persone del grande castello di Kontard. Venne da me anche una ragazza e mi baciò la guancia. La guardai: era stupenda. Aveva profondi occhi azzurri e bellissimi capelli biondi, uno sguardo innocente, dolcissimo. Mi sorrise. Ma, lei è… era la stessa ragazza che mi medicò il braccio e mi lavò insieme ad una coetanea. La vidi arrossire, se ne andò. Subii uno strano sconvolgimento emotivo, come quando da ragazzino vidi per la prima volta Ellen. Rimasi imbambolato qualche istante fino a quando Yorg mi disse:
- Ehi, cosa ti sta correndo per la testa, eh? Romanticone! Andiamo adesso, hai bisogno di riposare e di essere curato. -
Si incamminò verso le scale, mentre la folla incitava un coro:
- Hansi! Hansi! -
Che meraviglia! Nella mia vita non mi era mai successo di contare tanto per una folla intera, ero contemporaneamente sorpreso e compiaciuto.
Yorg mi portò nella stanza che mi ospitò appena due settimane prima e mi adagiò sul letto. Che sollievo per la mia schiena! Erano giorni che non riposavo su qualcosa di morbido.
- Hansi, aspetta qui. Tornerò tra poco con Stein, il dottore dei soldati e del Re. Vedrai che ti farà guarire in breve tempo. -
- Grazie, Yorg. Voglio ringraziarti anche per il discorso elogiativo che hai tenuto per me. Spero di essere realmente all'altezza degli attributi che mi hai dato. Sei un uomo buono; grazie ancora, amico. -
- In vita mia raramente ho elogiato persone, perché uomini così valorosi ne ho incontrati davvero pochi. Tutto ciò che ho detto poco fa in piazza è assolutamente vero. Tu meriti molto, Hansi, non devi ringraziarmi. Ora riposati, ci vediamo tra poco; farò portare qui anche qualcosa da mangiare. Si vede che sono giorni che non tocchi cibo. -
Uscì dalla stanza e rimasi lì ad aspettarlo. La ferita alla gamba mi doleva molto, come pure la schiena; essa era probabilmente piena di lividi ed ogni volta che accennavo un movimento sentivo delle fitte tremende. Ero inoltre molto affamato e non vedevo l'ora di mettere qualcosa sotto i denti, erano quasi tre giorni che mi nutrivo solo di foglie amare. Dopo diversi minuti entrarono due donne, ma non erano le ragazze di una settimana prima. Mi portarono un vassoio, su esso una grossa bistecca al sangue, dei frutti, acqua, vino e pane. Solo a sentire l'odore avevo già l'acquolina in bocca. Mi aiutarono a sedermi sul letto e appoggiarono il vassoio sulla sedia a fianco. Mi diedero da bere, tagliarono la carne e la frutta e fecero per imboccarmi.
- Grazie, signore, siete molto gentili, ma non preoccupatevi, continuerò da solo. Credo di essere in grado. Andate pure, grazie infinite. -
Dapprima rimasero stupite, ma poi, sorridendomi, si alzarono, mi salutarono e se ne andarono. Presi il piatto della carne e iniziai a mangiare con foga. In poco tempo finii la bistecca ed il pane; passai al vino e subito dopo divorai letteralmente la frutta. Se le donne fossero state lì a vedermi, probabilmente avrei dato una pessima impressione, era meglio gustarmi quel ben di Dio in assoluta solitudine. Non volevo apparire un rozzo, ma in quel momento avevo una fame incredibile e sarebbe stato scortese mangiare a quel modo davanti a due signore. Dopo quell'ottimo pasto mi sentii molto meglio. Il mio stomaco aveva proprio bisogno di essere riempito.
Poco dopo che ebbi finito di mangiare sentii bussare alla porta; entrarono Yorg ed al seguito un uomo con un borsone a tracolla.
- Hansi, ti presento il dottor Stein, si occuperà lui di te. -
Il dottore mi esaminò la ferita alla gamba, estrasse dal borsone una piccola bottiglietta di terracotta e da questa fece uscire una manciata di una sostanza poltigliosa di colore verdastro. Me la spalmò sulla gamba.
- Questa è un'erba medica, disinfetterà e aiuterà la ferita a cicatrizzarsi prima. Dovrai applicarla tutte le sere a partire da domani coprendola poi con queste.-
E mi porse delle bende di stoffa. Quella strana sostanza mi diede un gran sollievo alla ferita, mi alleviò il dolore ed il bruciore da subito. Gli accennai dei dolori alla schiena.
- Quelli se ne andranno da soli, non posso fare nulla per farteli passare.-
E pensare che poche ore prima avevo rischiato di morire. Se le armate reali non fossero venute in tempo a salvarmi sicuramente non ce l'avrei fatta; è grazie a loro e soprattutto al Re se ero ancora vivo. Il mio glorioso Re. Fu una fortuna che decise di far scendere in battaglia i suoi uomini, ma purtroppo era malato. Non mi aspettavo stesse così male, era un enorme dispiacere sapere che questo valoroso uomo rischiava di lasciare questo mondo. C'era il timore che costui, che nella sua vita aveva sempre combattuto per la pace e per la giustizia dei popoli del Regno, potesse lasciarci, abbandonare Kontard, la sua terra, per decenni sotto il suo governo e la sua protezione. Mi rivolsi a Yorg dicendo:
- Senti amico, non appena sarò in grado di camminare desidererei incontrare il nostro Re. -
- Va bene, penso sia possibile; il Re, nonostante stia male, è ancora in grado di incontrare chi lo chiede. Lo avvertirò e non appena starai meglio verrai chiamato. -
- Grazie, Yorg… -
- Farò venire qui qualcuno che ti possa aiutare a lavarti. Avrai dei vestiti puliti. Ora devo andare. Ci vediamo cavaliere! -
I due se ne andarono. Non potei fare a meno di pensare alla bellissima ragazza bionda incontrata nella piazza. Speravo che venisse proprio lei ad aiutarmi, sentivo il bisogno di rivederla.
Invece, dopo circa un'ora, entrarono due giovani; sorreggevano una barella. Immaginai che era per me, mi avrebbero portato in un'altra stanza a lavarmi; e così fu. Mi aiutarono a sdraiarmi su quella e mi portarono in un locale poco distante; qui c'erano diversi secchi fumanti ed una vasca in pietra. Mi svestirono e mi adagiarono nella vasca versandovi dentro l'acqua calda. Costoro erano molto premurosi e gentili; uno di loro mi disse:
- Voi siete il grande Hansi, non è vero? -
- S… sì, perché me lo chiedi…? -
- Sapete, qui si parla molto di voi, delle vostre imprese, qualcuno diceva addirittura che foste una leggenda, un cavaliere solitario che ha ucciso centinaia e centinaia di barbari. Molti vogliono proporvi per investirvi della carica di cavaliere del Re. Siete molto stimato in questo castello. -
- Beh…, ne sono davvero lusingato… sono sorpreso di tanta riconoscenza, ma sono un semplice paesano di Kontigen, che ha combattuto per proteggere il proprio villaggio. Non ho mai chiesto molto… qui mi trattano tutti come un eroe… io vi ringrazio tutti, ma dopo questa nuova permanenza al castello tornerò al mio villaggio. La mia gente mi aspetta. -
- Capisco, sappiate che qui sarete comunque sempre il benvenuto. Se è vero quello che si dice, voi siete davvero un prode e coraggioso cavaliere, meritate alti riconoscimenti. -
- Grazie, ragazzo. -
Dopo che fui lavato e rivestito, mi riportarono alla mia stanza, coricandomi nuovamente sul letto; qui ripensai a ciò che mi disse il ragazzo. Rimasi molto stranito, imbarazzato, non avevo mai chiesto molto dalla vita, ma ora addirittura volevano propormi per farmi diventare cavaliere del Re. Io, che fin da bambino volevo essere un valoroso soldato di sua Maestà, ora avevo l'opportunità di diventarlo davvero. Era un sogno che s'avverava. Chissà come sarebbe andata, se lo fossi diventato realmente. Per ora mi interessava guarire e poter incontrare il Re, null'altro.
Quando ormai si era fatto buio qualcuno bussò alla mia porta;
- E' permesso? -
- Certo, entrate pure. -
Era lei, la ragazza che mi aveva baciato. Il mio cuore cominciò a palpitare.
- Buonasera, come state? -
- Va molto meglio, grazie… -
Era venuta a portami la cena; mi trovai alquanto imbarazzato, non sapevo cosa dire, cosa fare. La sua presenza e la sua bellezza mi inibiva. Mi sentivo stupido, ma per fortuna iniziò lei a parlarmi.
- Vi ho portato da mangiare, spero gradiate. Ma raccontatemi di voi, cosa vi hanno fatto per ridurvi così? -
- I barbari, sono stati loro a torturarmi… -
Quella stupenda creatura mi fissava interessata, era lì per ascoltarmi, sapere di me; mi sembrò tutto così strano. Le raccontai la storia, da quando lasciai il castello a quando vi ritornai. Intanto lei mi osservava affascinata dal racconto, dalle gesta da me compiute.
- Voi siete un uomo molto coraggioso, gli abitanti di questo castello sono fieri di potervi ospitare… ed anch'io sono felice di rivedervi… -
Arrossì; nascose un sorriso abbassando la testa. Era dolcissima. In quel momento seppi di essermi innamorato di lei. Era da anni che non pensavo più all'amore, alle stupende sensazioni che l'affetto di una donna può trasmettere; mi ero dimenticato di come fosse bello amare ed essere amati. Questa ragazza era stata in grado di risvegliare in me un sentimento che credevo legato ormai solo al passato; mi accorsi, però, che ero ancora in grado di provare qualcosa di profondo per una persona. Lei si alzò di scatto e avvicinandosi alla porta mi disse:
- Scusatemi… devo andare… vi lascio mangiare. -
- Aspetta… dimmi almeno come ti chiami. -
Aprì la porta, si voltò e sorridendomi e mi disse:
- Karin… arrivederci, Hansi… -
Ci guardammo negli occhi per qualche istante, poi se ne andò, chiudendo la porta dietro di sé. Dentro me batteva ancora forte il cuore, ero molto emozionato per essere stato anche se per soli pochi minuti con lei, mi sembrava di toccare il cielo con un dito; il dolore per le ferite pareva svanito. Mi ripromisi di conquistarla, volevo conoscerla, stare con lei… ma non potevo dimenticare che dovevo tornare al villaggio… non importava l'avrei portata via con me...
Mi resi conto che forse stavo facendomi troppo trascinare da questa storia, non potevo ancora sognare ad occhi aperti, d'altra parte era la prima volta che parlavo con lei… Già, l'amore gioca sempre brutti scherzi. Continuai la serata mangiando le squisite pietanze che mi portò
Karin; questa volta mi servii con molta più tranquillità, senza irruenza, come accadde poche ore prima. Era ormai notte, spensi la lanterna a fianco a me e chiusi gli occhi. Mi apparve il dolce viso di Karin; continuai a pensarla fino a quando, infine, mi addormentai.
Mi svegliai alla mattina, a fianco a me non c'era più il vassoio, qualcuno era entrato a portarlo via. Vidi invece, appoggiate al muro, due stampelle di legno. Era davvero una splendida sorpresa; con queste potevo muovermi autonomamente, non vedevo l'ora di provarle. Allungai la mano, le afferrai e feci per alzarmi; la schiena mi faceva ancora molto male, ma mi sforzai. Mi appoggiai alle stampelle e cominciai a fare qualche passo. Fu bellissimo; potevo finalmente lasciare il letto e potermi muovere! Per la contentezza, iniziai ad andare avanti e indietro per la stanza, sempre più velocemente; euforico per il successo ottenuto, provai ad appoggiare a terra la gamba ferita. Feci un'enorme idiozia. Non riuscii a trattenere un urlo, poiché sentii una fortissima ed intensa fitta; dovetti rilassare i muscoli, cadendo, inevitabilmente, a terra. Si precipitò nella camera un soldato.
- Mio Dio, cos'è stato? -
- Oh, scusate… sono inciampato, niente di grave… -
Mi aiutò a rialzarmi accompagnandomi a sedere sul letto.
- State attento, siete ancora alquanto malconcio, non dovreste abusare delle vostre forze… -
- Avete ragione, ma ero stanco di rimanere fermo a letto; avevo bisogno di muovermi. Ora il dolore è passato; vorrei scendere giù in piazza se è possibile. -
- Certo, fate pure, ma siate prudenti. -
Se ne andò. Impugnai quindi le mie stampelle e con esse mi diressi verso le scale, alla fine del corridoio. Fu molto faticoso scendere la lunga rampa di scale, sembrava non terminare mai; ci misi parecchio tempo, ma alla fine arrivai.
Cominciai così a passeggiare per la piazza. Era una bellissima giornata di inizio autunno; il sole illuminava le mura del sontuoso castello, rendendolo ancora più maestoso e imponente. La luce brillava negli occhi della gente ed il loro sguardo trasmetteva grande gioia e serenità. Era da tanto che non apprezzavo così le piccole cose del mondo, le meraviglie che Dio mette davanti a noi tutti i giorni. Forse non ci rendiamo nemmeno conto della fortuna che abbiamo potendo ammirare la vita ed il colore che ci circonda. Nella mia vita avevo subito forse troppi dispiaceri; furono pochi i momenti di reale pace in me e nella mia gente. Purtroppo avevamo vissuto troppo tempo sotto la minaccia dei barbari ed i rari momenti di tranquillità ed armonia furono sempre interrotti da nuovi e spiacevoli attriti con quelle tribù. Forse stava davvero iniziando una nuova vita per me. E non solo a livello materiale, ma a livello interiore. Ricominciavo a stupirmi delle cose stupende che madre natura ci regala, del sorriso degli umani, le loro stupende emozioni. Era bello riscontrare negli stessi castellani quella sensazione di affetto e cordialità, mi facevano davvero sentire a mio agio. Mentre camminavo, molti mi salutavano, tra i più giovani diversi si inchinavano innanzi al mio passaggio; alcuni mi porsero anche dei doni. Ricevetti un amuleto, delle vesti ricamate, alcuni bracciali. Ma la cosa più toccante fu vedere un gruppo di bambini che mi guardavano gioiosi e si misero a fare il girotondo intorno a me. Ringraziai tutti personalmente, la bontà e l'amore di questa gente era davvero sorprendente; per loro ero ormai un simbolo.
Vidi in lontananza delle lunghe tavolate e molte donne intente ad allestirle con brocche di acqua, vino e vari tipi di vivande. Potevo sentire anche un fragrante profumo di carne arrosto; c'erano tra l'altro diversi pentoloni sul fuoco. Decisi di avvicinarmi per informarmi sul motivo di quello che sembrava un banchetto in grande stile.
- Oh, salve Hansi! - mi disse una donna, non appena mi vide, - Bentrovato! Come va quest'oggi? -
- Molto bene, grazie. Ho visto che state allestendo un banchetto; qual è il motivo? Si festeggia forse qualcosa? -
- Certamente, cavaliere! Festeggiamo la vittoria dei nostri soldati. È tradizione che quando tornano vincitori dalle battaglie noi brindiamo e mangiamo alla loro salute. Purtroppo quest'oggi non potrà esserci il nostro Re. Come sapete è malato e preferisce restare negli alloggi reali. Noi tutti speriamo che guarisca, ma ormai è molto anziano… tutti i giorni preghiamo il nostro Dio di proteggerlo e salvarlo, confidiamo in lui, aspettando con fede qualche miglioramento. -
- Capisco. Anch'io spero davvero con tutta l'anima di rivederlo presto in forma. -
- Ascoltatemi, Hansi. Questo banchetto è dedicato anche a voi, siete un prestigioso ospite di questo castello e saremmo molto onorati se voleste parteciparvi. Allora, accettate? -
- Oh… io… non so, sono in imbarazzo… Ma sì, in fondo avrei un enorme piacere nell'unirvi a voi. -
Ero davvero lusingato di essere stato invitato al banchetto, questa gente mi faceva davvero sentire come a casa mia, stavo bene qui. Feci per riprendere la passeggiata, quando sentii qualcuno appoggiare la mano sulla mia spalla.
- Ciao! -
Mi voltai. Era Karin.
- Oh, ciao Karin, che sorpresa! Sono contento di rivederti. -
- Ne sono molto felice, grazie. Vieni, continuiamo pure la passeggiata. -
Parlammo ancora di noi, ci conoscemmo meglio. Mi disse di essere la figlia di un mercante; egli scambiava i prodotti del castello con gli artigiani dei villaggi vicini. Purtroppo rimaneva di frequente a dormire negli ostelli di quei paesi, e lo vedeva di rado. Viveva quindi spesso sola con la madre e la sorella e, come loro era una sarta. La sua famiglia si guadagnava da vivere vendendo, tramite il padre, i propri manufatti ai villaggi; una piccola parte del loro lavoro veniva invece ceduta ai castellani in cambio della protezione dei soldati.
Tornammo alle tavolate che il pranzo era già pronto; presi posto su di una panca e la dolce Karin si mise al mio fianco. Ben presto arrivarono tutti e si sedettero, ansiosi di mangiare, ai posti; il banchetto stava per iniziare. Prima di mangiare i commensali dissero insieme una preghiera a Dio per ringraziarlo di aver protetto i soldati e per poter dare loro il pane anche quel giorno. Mentre cominciammo a servirci sentivo degli schiamazzi ed il nitrire di un cavallo provenire dal portone d'ingresso; mi girai incuriosito a guardare e vidi le guardie che puntavano le lance verso la stradina d'accesso. Mi chiedevo cosa diavolo stesse succedendo; sgranai meglio gli occhi e vidi oltre il ponte levatoio una figura nera, un cavallo. Esso si agitava e rampava nervoso, come se volesse entrare, ma non poteva poiché i soldati glielo impedivano; inoltre non c'era nessuno in groppa al cavallo che lo dominasse. Mi balenò un atroce sospetto per la mente; dovevo vedere quel cavallo.
- Scusate! -
Dissi ai commensali. Presi le stampelle e mi recai, frettoloso, al portone. Più mi avvicinavo e più la mia sensazione pareva avverarsi. Arrivai dietro le guardie.
- Largo soldati! Lasciatemi passare. -
Ma allora non mi sbagliavo, era proprio lui: Falstaff! Il mio stupendo destriero nero galoppò verso di me e si fermo a rampare possentemente di fronte alle guardie, spaventandole.
- Buono, Falstaff, amico mio! Ma cosa ti è venuto in mente di fare tutto questo viaggio solo per me, testone… -
Lo accarezzai orgoglioso. Questo cavallo aveva viaggiato trenta miglia solo per venirmi a cercare. Che compagno fedele, ero stupefatto da questa ammirevole azione.
- Signori, questo è Falstaff, il mio destriero. Non fategli del male. Merita di essere abbeverato e nutrito come un signore. Ha attraversato mezzo regno per venirmi a prendere. Questo sì che è un gesto lodevole! -
Rimasero molto stupiti per le mie parole, stavo parlando del mio cavallo come se fosse una persona. Ma non sapevano di avere a che fare con un cavallo davvero splendido; valeva quanto un audace guerriero. Anche lui aveva partecipato a molte battaglie ed è grazie a lui, alle sue prestazioni se io stesso ne uscivo spesso illeso. Dissi alle guardie di portarlo alla stalla a dargli da mangiare; io tornai fiero al banchetto ad annunciare a tutti quanto eroico fosse il mio destriero.
Ripresi a pranzare. Si instaurò un ottimo clima di fratellanza ed allegria tra i commensali ed anch'io partecipai animatamente ai discorsi ed alle battute fatte. Pian piano l'attenzione si spostò verso di me e mi chiesero di narrare le mie avventure, le mie coraggiose gesta contro il nemico barbaro. Ed io, imbarazzato, acconsentii. Mi ascoltavano tutti attentamente mentre parlavo, come si guarda un anziano raccontare storie fantastiche di un altro tempo. Fu bello sentirsi protagonista, narravo nel più completo silenzio, nessuno osava interrompere il mio racconto; intorno a me solo visi muti ed attoniti. Quando finii ci fu qualche istante di silenzio; si guardarono tutti in faccia compiaciuti e si sollevò timidamente un applauso che, in breve, divenne uno scroscio. Sentivo molti elogi e complimenti provenire dai castellani; in tanti mi esortavano a restare, a diventare un cavaliere di sua Maestà. Risposi che ci avrei pensato, dopotutto desideravo realmente esserlo, e questa era un'occasione unica. Il pranzo continuò così come era iniziato; man mano che i castellani finivano di mangiare, prima di tornare nelle proprie stanze, venivano da me a stringermi la mano, a salutarmi. Rimanemmo infine io, Karin e poche altre donne.
- Hansi, vieni con me. Ti farò visitare il castello, non l'hai mai visto tutto. -
Mi disse Karin; la seguii, felice di trascorrere un po' di tempo con lei. Passai un bellissimo pomeriggio; mentre mi mostrava i vari antri del castello, parlammo e scherzammo, come due ragazzini innamorati alle prime armi. Scoprii che era una ragazza semplice, buona, ma anche molto simpatica; era davvero piacevole stare in sua compagnia, mi faceva sentire speciale. Quando il cielo fu prossimo al tramonto mi disse che era il momento di tornare a casa; quella sera mi avrebbe portato lei stessa la cena, avremmo così potuto stare di nuovo insieme. Andai quindi verso le scale, sospirando, e affrontai la lunghissima rampa che portava al terzo piano, ove era locata la mia stanza. Qui attesi gli interminabili momenti che mi dividevano con il nuovo incontro con Karin. Quella ragazza mi aveva colpito nell'anima, fu come il primo raggio di sole dopo una grigia tempesta; stava donando al mio cuore dei momenti indimenticabili, inaspettati. Non potevo fare a meno di ringraziare Iddio per ciò che stavo passando, non importava quanto fossero durati questi momenti, ciò che contava era goderli finché ci fossero stati. Dovevo sfruttare quei giorni in compagnia di Karin, un domani non avrei più potuto stare con lei, era per questo che dovevo dare tutto me stesso, tutto il mio amore, il mio affetto. Stavo scoprendo nuovi universi del mio cuore che non avrei mai creduto avere, dopo tanti anni di sofferenze mi resi conto che l'amore nella vita di un uomo è uno dei valori che conta di più.
A Past and Future Secret
Rimasi così, sognante nel mio letto a fantasticare su ciò che ci sarebbe stato tra me e Karin, continuando a sospirare. Il tramonto stava ormai lasciando spazio alla notte, accesi la lanterna ed attesi l'arrivo dell'amata. Venne infine il momento in cui sentii bussare alla porta: come sperato, era proprio Karin.
- Ciao, Hansi… -
- Ciao! Grazie ancora per avermi portato la cena. Ma non ti annoi a fare questo per un povero cavaliere ferito…? -
- Certo che no… tu sei molto di più si un semplice cavaliere, per tutti noi sei il valoroso Hansi, un prode uomo che combatte per la giustizia del suo popolo e del suo Regno. -
- Grazie, io… io spero di meritarmi tutto questo… -
Mangiai le pietanze portatami da Karin, davvero ottime; mi disse che le aveva preparate lei stessa per me. Intanto parlammo del pomeriggio trascorso insieme, delle risate fatte, di quanto era stato bello.
- Karin, sei una persona davvero fantastica, non sai quanto sono felice di aver conosciuto una ragazza come te. È anche grazie a te che sto trascorrendo dei momenti indimenticabili qui al castello, mi mancherete tutti infinitamente… -
- Non sei obbligato ad andartene, lo sai che potresti diventare un cavaliere del Re se decidi di rimanere. E poi non voglio che tu parta, io voglio stare con te, credo che soffrirei molto in tua mancanza… perché tu… tu sei importante per me… -
Gli presi la mano. Dentro me ardeva il fuoco della passione. Ci avvicinammo lentamente: stavo per baciarla. All'improvviso qualcuno bussò frettolosamente alla porta e la spalancò. Ci staccammo immediatamente.
- Scusami, Hansi, ma il Re ha chiesto espressamente di volerti vedere subito. Vuole parlarti. -
Era Yorg. Lo fulminai con lo sguardo e capì di aver interrotto qualcosa di privato. Ma ormai il danno l'aveva fatto. Chiesi scusa a Karin, lei capì e mi disse di affrettarmi, il Re mi stava aspettando.
- Perdonami amico, ma sua Maestà ha insistito tanto per vederti subito e non potevo fare altrimenti… -
- Ehi, non preoccuparti, è tutto a posto. Semplicemente la prossima volta metterò una sbarra alla porta… -
- Ah ah! Per fortuna sdrammatizzi. Credevo che questa non me l'avresti perdonata… -
- Per così poco… -
Ci recammo verso la porta della sala reale dove ci attesero le due guardie. Ci lasciarono passare: Yorg mi disse che mi avrebbe atteso fuori. Mi inoltrai nella sfarzosa stanza, ove giorni prima ebbi il mio primo memorabile incontro con Re Konrad. Si ripeté la stessa scena vista in quell'occasione: uscirono dalla porta a fianco due guardie. Poco dopo entrò lui, Sua Maestà. Mi inchinai e nel contempo lo osservai in volto; anche se erano trascorsi solo pochi giorni, esso pareva più scavato. Il suo viso era sicuramente molto più pallido e cereo; lo sguardo era nonostante tutto ancora fiero, ma anche leggermente spaurito, di un uomo che sa di dover morire. Rimasi sconvolto dalle condizioni del mio Re; avevo trascorso tutta la mia vita sinora considerandolo come una sicurezza, come una persona quasi immortale, invece ora avevo dinanzi un uomo consumato in breve dalla vecchiaia. Fu un impatto tristissimo.
- Alzati, cavaliere Hansi! E guardami… -
Il Re, non appena mi alzai, mi guardò fisso negli occhi, rattristato, e fece un gesto che mi lasciò a bocca aperta, un gesto che nessuno si sarebbe mai aspettato da un Re. Si mise in ginocchio davanti a me afferrandomi le mani.
- Perdonami, cavaliere… per colpa mia ho messo a repentaglio la tua vita e la vita di molti tuoi compaesani. Ti chiedo di scusarmi, un vero Re non avrebbe mai esitato a mandare i suoi soldati a proteggere la sua gente… ho rischiato di farvi nuovamente soffrire. -
Ero esterrefatto; non sapevo come reagire. Il Re, il mio Re era in ginocchio davanti a me a chiedermi di perdonarlo. Era qualcosa al di fuori di ogni logica, di eccezionale. L'uomo simbolo della sovranità del castello su tutto il regno di Kontard supplicava un suo suddito. Capii che quell'uomo era il più vero di tutti i Re, perché aveva il dono dell'umiltà, pregio che raramente gli uomini di potere hanno.
- Vi prego, mio Re… alzatevi. Non avete niente da rimproverarvi. Questa vostra azione parla più di qualsiasi parola. Lasciate che vi aiuti a rialzarvi. -
Gli afferrai la mano e lo tirai su. Ci sedemmo al robusto tavolo in legno di quercia, uno di fronte all'altro. Cominciammo a discutere.
- Ebbene, perché desideravi vedermi, cavaliere? -
- Beh, io volevo semplicemente ringraziarvi perché è proprio grazie a voi se io sono ancora vivo. In un certo senso voi mi avete salvato la vita e sono qui per ringraziarvi anche a nome di tutta Kontigen per aver deciso di combattere i barbari. Senza i vostri soldati non ce l'avremmo mai fatta. Grazie infinite, vostra Altezza. Ammetto che rimasi spiazzato quando mi diceste del messaggio, ed in tutto questo tempo ho continuato a chiedermi come mai, qual era il motivo che vi frenava a scendere in battaglia. Voi che avete sempre combattuto contro i nemici per preservare il Regno dalle insidie e dalle crudeltà, avevate deciso per una linea diplomatica. Mi sembrava un po' strano, fuori dal normale, ecco. Ma sono felice che avete preferito infine per la lotta armata… -
Il Re mi guardava con aria turbata, afflitta; abbassò gli occhi rimanendo taciturno per diversi istanti. Fece un lungo sospiro e mi fissò negli occhi:
- Hansi, ora ti racconterò una storia. Capirai molte cose quando la sentirai; stai per assistere alla confessione di un Re. Ma ti prego, non biasimarmi, probabilmente qualsiasi uomo avrebbe agito come me…
Le parole che mi disse mi svelarono una sconvolgente verità. Ciò che mi narrò aprì le porte ad un cambiamento nella mia vita. Qualcosa di assolutamente inaspettato ed imprevedibile accadde poi. E niente fu più come prima.
- Dunque, questa storia ha inizio ben sei anni fa. Mi trovavo in una delle tante battaglie contro i barbari, stavamo avendo la meglio e, mentre barbari e soldati erano impegnati in battaglia decisi, insieme ad altri cavalieri, di fare un sopralluogo al vicino campo, ove risiedeva quella tribù, per scovare eventuali altri nemici. Passavamo di tenda in tenda a verificare la presenza di qualcuno; così arrivai davanti a una di quelle e vi entrai. Sentii un urlò terrorizzato. C'era una donna qui, si gettò in un angolo della tenda, piangendo spaventata. La guardavo stupito di quella reazione, era così inerme e timorosa. Mi supplicò, nella mia lingua, di non ucciderla; strisciò carponi fino ad abbracciare le mie gambe, continuando a pregarmi di smettere di uccidere. Non sopportava più di vedere la sua gente morire, così come non voleva che i nostri soldati morissero per causa dei barbari. Chiedeva perdono, lei chiedeva perdono per le malefatte del suo popolo a danno della gente del Regno. Mi scongiurava di terminare le crudeltà, disse che lei soffriva quando vedeva le ingiustizie compiute dalla sua gente, ma non poteva impedirlo. Mi chiese infine di portarla via lontano da lì, di fare di lei quello che avrei voluto, ma lontano dalla morte e dalla distruzione della battaglia. Continuava a piangere disperata, straziata; infine perse i sensi. Non so cosa mi prese in quell'istante, ma quella donna mi lasciò sconvolto, attonito. Mi sembrarono così strane quelle parole, non avrei mai creduto di incontrare una persona così pura, così umile. Rimasi incantato da questa donna. La misi sulla sella del mio cavallo e la portai al castello. Quando si riprese io ero lì, le dissi che non doveva più preoccuparsi, mi sarei occupato io di lei. Non sapeva ancora che stava parlando con il Re, ma quando più tardi si rese conto ogni qualvolta mi vedeva, mi cadeva innanzi in ginocchio ringraziandomi. Le dissi che non doveva più farlo, lei era nobile come una regina e non aveva bisogno di inchinarsi. Man mano che i giorni passavano si accorse di dove si trovava, di quel nuovo mondo, e capì che era grazie al mio volere se ora stava bene. Col passare delle settimane e dei mesi ci avvicinammo sempre più l'un l'altro e nacque l'amore. Decisi di sposarla. Hansi, la tua Regina, la mia terza moglie, è una discendente dei barbari. Lei, Birgit, mi chiese se ero disposto ad accettare le richieste fattami nel nostro primo incontro. Rimasi diversi giorni indeciso sulla risposta, io l'amavo, ma non potevo permettere di non combattere più, il Regno sarebbe andato in sfacelo, era difficile scegliere la cosa giusta. Ella mi diceva che i barbari l'avevano cresciuta, era una di loro, non sopportava l'idea che venissero massacrati, e nemmeno voleva mettere a repentaglio la vita dei nostri soldati per causa loro. Dopo vari ripensamenti, le promisi che avrei tenuto una linea diplomatica finche fosse servita a calmare gli animi dei barbari; ma se si fosse resa necessaria una battaglia, io dovevo farla. Tutte le volte che però sceglievo di combattere, la sentivo piangere di notte, singhiozzare sommessamente; capivo quanto stava soffrendo, ma era inevitabile. In questi anni quindi ho ridotto sempre più gli interventi armati, lasciando posto a elargizioni a favore dei barbari, ottenendo anche buoni riscontri, almeno fino a due settimane fa… il resto lo sai. Questo è tutto, Hansi. mi auguro che la considerazione che hai di me non sia cambiata dopo questa confessione. Non sono un debole, ma per amore ho dovuto agire così in questi anni. -
Compresi le scelte del Re, non potei disprezzarlo per ciò che fece, dopotutto era vero, anch'io avrei fatto come lui. Queste scelte allora erano condizionate da questa fantomatica donna, la Regina, una barbara. Fin dall'esordio di questa barbara nel racconto del Re si accese in me una scintilla di speranza, mi guizzò in mente un'idea, un pensiero; ma forse era troppo irrazionale, troppo assurdo. Ma ero comunque troppo curioso, dovevo assicurarmi se la mia era o non era un'intuizione smodata. Mi infusi sicurezza e chiesi al Re:
- Mio signore, perdonate la mia sfrontatezza, ma vi darò delle spiegazioni. Io… ecco, vorrei conoscere vostra moglie, la Regina… se possibile… -
- Ma certo, non c'è nessun problema; anzi, avevo già intenzione di presentartela.-
Il Re fece un cenno alle guardie, esse si ritirarono. Tornarono poco dopo, dietro di loro intravidi la Regina, una donna bellissima. Aveva i tratti del viso molto fini e la pelle chiara, strana cosa per una barbara; splendidi occhi verdi… capelli castani… Mio Dio…! Mi alzai dalla sedia e mi inchinai davanti a lei baciandole la mano.
- Buonasera, cavaliere. Sono molto lieta di conoscervi! -
- Salve, mia Regina. I miei omaggi. -
Per l'emozione cominciai a tremare, ero tesissimo; la mia intuizione stava trovando riscontro, ma mancava solo un particolare per esserne certi.
- Mi perdoni, Regina, vorrei chiedervi una cortesia. Vi sembrerà una cosa stupida, ma per me è una cosa estremamente importante. Vorrei chiedervi se voi avete una particolarità… insomma, se avete come una piccola macchia scura sulla nuca… Scusatemi ancora per la mia sfacciataggine, ma vi spiegherò… -
Questa bellissima donna mi guardò leggermente stupita, ma non con disdegno, anzi, accennò un lieve sorriso. Mi rispose così:
- Guarda tu stesso Hansi! -
Sollevò i lunghi capelli e scoprì la nuca. Sbarrai gli occhi incredulo. La guardai in viso e velocemente lo sguardo tornò sul collo. Sentii il cuore scalpitare e mi si illuminarono gli occhi di gioia. L'avevo trovata! "Padre, ho ritrovato mia sorella!"
Gli occhi mi si gonfiarono di lacrime di felicità e non potei trattenermi dall'abbracciarla.
- Angelika… Angelika ti ho trovato finalmente…! -
La baciai sulla guancia, preso dall'euforia e la strinsi forte a me. Non stavo più nella pelle per la contentezza.
- Ehi… Hansi… ma che succede…-
Mi disse Angelika. Lei ancora non sapeva le tribolazione fatte per trovarla, non sapeva che avevo esaudito l'ultimo desiderio di mio padre. La presi per mano:
- Siediti, ora spiegherò tutto. Ti dirò qualcosa a cui tu farai fatica a credere, ma è così. Ora ascoltami. Tu non sei ciò che hai sempre creduto di essere. Birgit, tu non sei una barbara, tu sei mia sorella, sei nata a Kontigen. I nostri genitori, ti chiamarono Angelika. -
La guardavo fisso negli occhi mentre parlavo, ma lei non capiva ancora, era disorientata dai miei discorsi.
- Birgit, tu sei vissuta a Kontigen fino all'età di quasi due anni insieme a nostro padre Marcus, il maniscalco, e a Caroline, nostra madre. Tu fosti rapita dai barbari e nessuno ti trovò più. Nostra madre soffrì molto e si indebolì; dopo pochi anni mi mise al mondo, ma morì per i dolori del parto. Mio padre mi disse sempre che tu moristi cadendo in un burrone per evitare che io mi fossi precipitato tra i barbari a cercarti, rischiando di essere ucciso; solo in punto di morte mi disse la verità. Mi disse che avevi occhi verdi, capelli castani ed una macchia sul collo. Quella bambina non puoi essere che tu, Birgit. Guardati, non hai nemmeno una caratteristica che ti avvicini ai barbari, hai la carnagione chiara, gli occhi chiari… tu sei Angelika, mia sorella… -
Mi guardava dapprima incredula, ma poi nei suoi occhi lessi la meraviglia perché capì che avevo ragione; lasciò cadere una lacrima e mi abbracciò, cominciando a singhiozzare.
- Hansi… oh mio Dio… Io ora capisco… capisco perché spesso di notte mi inquieta un incubo. Rivedo sempre la scena di una povera bambina che viene strappata dalle mani della madre, allontanata da loschi uomini barbuti. Vedo gli occhi di un uomo disperato a fianco alla madre della bambina… quella bambina sono io… e quelli i miei genitori… Hansi, grazie di avermi fatto ricordare… -
Furono momenti molto toccanti, attimi nella vita di un uomo che lo rendono consapevole di essere vivo. Ora lei era cosciente delle proprie origini. Sapeva chi era, da quale grembo fu partorita. Pensai dunque di chiederle se desiderava riscoprire il suo passato. Mi rivolsi a lei e le dissi:
- Angelika, appena mi rimetterò, vorrai venire con me a visitare i posti dove sei nata, il tuo paese natale? -
- Io… io non so… lo desidererei davvero tanto, ma voglio stare vicino a mio marito; lui ora sta male… -
- No Birgit… anzi, credo sia ormai giusto chiamarti Angelika. Sono molto felice per te, hai scoperto la verità sul tuo passato e devi andare con Hansi, hai bisogno di questo viaggio. Sarai accompagnata dalle nostre guardie e da tuo fratello, il nuovo cavaliere del Re! -
Mi volsi a guardarlo, non ero sicuro di aver capito bene.
- Sì, Hansi. avrei voluto aspettare a farti questa sorpresa, ma credo questo sia il momento giusto. Posdomani io sarò in piazza davanti alla collettività dei castellani e dei soldati. Davanti a loro io ti nominerò cavaliere del Regno di Kontard. Sarai tu a decidere cosa fare, se rimanere al castello oppure tornare dalla tua gente a Kontigen. Questo ho deciso. Sta a te. -
- Grazie, mio signore. Voi non sapete quanto ne sono onorato, è davvero una bellissima sorpresa. Grazie infinite… -
Rimasi lì, nella grande sala reale a parlare col Re e con Angelika del mio passato, della mia vita a Kontigen, e di mio padre, nostro padre, mio e di Angelika. Fu una sera davvero eccezionale, ero felice perché ebbi delle importanti sorprese, determinanti per il mio futuro. Si fece tardi; li salutai e ci demmo appuntamento in piazza due giorni dopo, al momento della mia nomina. Tornai alla mia stanza, mi coricai nel letto e volli ringraziare nuovamente il buon Dio per quello che mi stava regalando in quei giorni, era un periodo di gloria per me e sapevo che lassù qualcuno stava intercedendo per me.
And the Story ends
I giorni che seguirono mi cambiarono definitivamente la vita. Il giorno dopo lo trascorsi quasi interamente con Karin. Fu lei a svegliarmi alla mattina, e con lei passai una giornata incantevole. Finalmente potemmo baciarci, senza che nessuno ci avesse interrotto, e capimmo di essere fatti l'uno per l'altro. Furono giorni molto intensi, in cui potei apprezzare sempre di più le indescrivibili sensazioni che l'amore e la passione imprimono nell'animo e nel cuore. Cominciai a riflettere se volevo realmente tornare al mio villaggio. Oltre ad avervi trovato l'amore qui al castello, trovai il consenso e l'affetto dei castellani, e lo capii inconfutabilmente al momento della mia nomina come cavaliere di sua Maestà.
Quel pomeriggio la piazza era gremita di gente, e attendevano tutti il mio arrivo; non appena mi videro scendere dalle scale ci fu un'ovazione. Mi recai innanzi al mio Re; sorridemmo. Sua Maestà condusse la solenne celebrazione proclamandomi ufficialmente suo cavaliere. Non avrei mai dimenticato la fiducia ed il calore che la gente mi manifestò in quell'occasione. Era la coronazione di un mio grande sogno, ma anche di un desiderio che tutte queste incantevoli persone avevano; grazie soprattutto a loro ero diventato un cavaliere del Re. Dopo la vestizione con la divisa reale e la consegna della spada con l'effigie del drago, andai da Re Konrad, mi fermai davanti a lui guardandolo commosso negli occhi. Ci abbracciammo fraternamente. Andai anche da Angelika, baciandola e abbracciandola, manifestandole quanto ero felice, euforico di tutta quella gloria.
Con lei, quando fui guarito, tornai a Kontigen. I miei meravigliosi compaesani mi fecero un'accoglienza davvero eccezionale appena mi rividero sano e salvo. E rimasero enormemente impressionati quando si accorsero che indossavo la divisa dei cavalieri del Re. Raccontai loro quello che era successo in quei giorni di permanenza al castello. Raccontai della nomina e annunciai a tutti che la donna al mio fianco era Angelika. I più anziani erano al corrente della triste storia del rapimento, molti assistettero a quella scena. Rimasero dapprima increduli, ma rividero in lei la piccola e vivace Angelika, la dolce bambina mora con la macchia sulla nuca. Si commossero e corsero tutti ad abbracciarla, a chiedere come stava, informarsi sulla sua vita fino a quel momento. Fu buffo vedere le loro facce quando lei disse di essere la Regina; ma si riempirono d'orgoglio poiché lei era comunque una del loro stesso villaggio. Mi portarono nella mia casa, qui ebbi una grandissima sorpresa: ritrovai la mia gloriosa spada, la spada forgiata da Timo. Mi dissero che la riportarono i cavalieri del Re e che era stata ritrovata in una tenda del campo dei barbari. Videro il simbolo del villaggio di Kontigen impresso sul manico e fu per questo che la portarono qui. Feci visitare ad Angelika il villaggio, la nostra casa, i luoghi dove trascorse la sua primissima infanzia. Andammo a fare visita alla tomba del nostro povero padre, nel cimitero del villaggio; non potei trattenere lacrime di dolore, i ricordi facevano molto male, ma era inevitabile. Trovai anche la tomba del mio amico Klaus; il mio carissimo compagno d'infanzia e di adolescenza. "Ti ho vendicato, amico mio. Spero tu sia fiero di me". Ripensai a quei giorni in cui preso dall'odio seminai morte tra i barbari, le mia gesta, il mio nascondiglio… Ebbi l'impulso di tornarvici, avevo l'impressione di aver dimenticato lì qualcosa d'importante.
Chiesi ad Angelika di seguirmi; andammo così al covo che mi ospitò per un'intera settimana, nel buio periodo della disperazione e della vendetta. Qui trovai tutto come lo avevo lasciato; cercai tastoni la buca dove tenevo nascoste le armi, e dopo molto la ritrovai. La aprii, come certo di trovare qualcosa di dimenticato; e non mi sbagliavo. Nella buca, completamente sporchi di terra e di erba, giacevano le gioie di mia madre. Le riportai qui, appena le ripresi dal campo dei barbari. Il mio animo sì colmò di contentezza; avevo recuperato qualcosa di veramente significativo per me. Le porsi a mia sorella, dicendole che erano di nostra madre. Ora sarebbero state sue. Quella notte rimanemmo nella nostra casa; mi chiese di parlarle, di raccontarle ancora di nostro padre, che uomo era, della gente di Kontigen. La accontentai e durante tutta la notte le parlai del passato, riscoprendo molte pagine della mia memoria.
L'indomani mattina fummo pronti per tornare al castello. Mi rivolsi a tutta la mia gente dicendo loro queste parole:
- Amati compaesani, voi siete sempre nel mio cuore, io vi amo; da voi ho imparato molte cose nella mia vita, mi avete cresciuto, con voi ho sofferto ed ho gioito. Ancora una volta io sarò pronto a proteggervi non appena ce ne sia il bisogno; ma questa volta non come uno dei guerrieri del villaggio, ma come cavaliere del Re. Amici, al castello ho trovato amore ed accoglienza, confidano nelle mie capacità per combattere il nemico, per proteggere i villaggi del Regno e quindi anche Kontigen. Vi prego di non avere risentimenti per la mia scelta, ma ho deciso di vivere al castello e di essere un soldato del Re a tutti gli effetti. Non potrò mai dimenticarvi e giuro solennemente che verrò spesso a farvi visita; vi amo troppo per non vedervi più. Mi mancherete tutti, amici. Addio. -
Capii che nessuno mi biasimò, anzi, si congratularono con me per le riconoscenze ottenute. Vennero tutti a salutarmi. Anche quello fu un momento estremamente commovente; la stupenda gente di Kontigen mi era vicina anche in questa mia drastica scelta, si sentiva quasi nell'aria il profondo affetto che avevano nei miei confronti. I momenti dei saluti furono interminabili e intensi. Infine partimmo, pieni di nostalgia e malinconia, e tornammo al castello.
Non eravamo ancora entrati nel portone che ci corse incontro agitato Yorg. Ci annunciò che il Re stava molto male, le sue condizioni si aggravavano ogni minuto di più; dovevamo correre da lui. Io e mia sorella ci precipitammo nella stanza da letto e qui trovammo il Re. Giaceva nel letto ansimante, con gli occhi socchiusi, la pelle livida. Angelika cadde in ginocchio piangendo ai piedi del letto, accarezzando il viso del suo amato marito; io ero lì, e assistevo inebetito a quella triste scena. Il mio Re stava morendo ed io ero impotente dinanzi all'avanzare della crudele morte; m'inginocchiai anch'io a fianco e cominciai a pregare per lui. Ad un tratto sentii toccare le mie mani giunte in atto di preghiera da una debole e fredda mano: era il Re che voleva parlarmi. Mi disse qualcosa di trascendentale, di straordinario, ed io non riuscii a proferire una parola innanzi ad una dichiarazione tale; la magnanimità di questa nobile persona mi aveva ancora una volta ammaliato. Parlò così:
- Hansi, mio cavaliere… in questi anni ho incontrato molti uomini degni di questo nome, ma nessuno fu cavaliere anche nell'animo come tu lo sei. Sei un grande uomo, hai doti umane che non ho mai incontrato in nessun altro. Meriti più di un semplice titolo di cavaliere… -
Si fermò un attimo, riprese fiato; quell'uomo stava soffrendo immensamente e stava facendo un enorme sforzo a parlare. Continuò:
- Ragazzo, io non ho eredi al trono e non c'è nessuno finora candidato ad essere il mio successore. Dopo la mia morte ci sarebbero sicuramente delle lotte interne al Regno per prendere il mio posto, ed io non voglio questo. Io credo tu sia l'uomo destinato a succedermi al trono, Hansi. Hai la stima e la riconoscenza di tutti gli uomini del castello, ed anche dei soldati; voglio che tu sia il nuovo Re… -
Lo guardai attonito, guardai Angelika… non sapevo come reagire. Sua Maestà, Konrad IV mi stava chiedendo di essere il nuovo Re.
- Mio signore, vi rendete conto di ciò che mi state chiedendo…? È qualcosa di assolutamente insolito… Io non so se ne sono all'altezza… -
- Silenzio, cavaliere! - cercò di urlare il mio Re, - questo è un ordine e tu lo eseguirai! Se non fossi sicuro delle tue capacità non ti avrei mai proposto una tale responsabilità! È chiaro? -
- Sì, sua Maestà! - risposi istintivamente ad alta voce. Cominciai a sgorgare lacrime di gratitudine e dolore. Mi alzai in piedi, sull'attenti, e continuai: - Vi giuro che porterò avanti le politiche di protezione e di pace nel Regno di Kontard, e che proteggerò la nostra gente dalle insidie barbariche. Farò in modo di essere all'altezza della magnificenza e della giustizia che Voi, Re Konrad, avete sempre dimostrato avere. In nome di Dio renderò grande il regno che voi avete amato e protetto per questi ultimi trent'anni. Ogni successo ottenuto lo dedicherò a voi, mio glorioso Re. -
Scoppiai, distrutto, a piangere sul letto di morte del grande Konrad. Fu una situazione drammatica e struggente, dentro di me c'era ancora il rifiuto di vedere questo valente uomo morire, ma mi resi conto che ormai c'era ben poco da fare. Egli infine disse:
- Angelika, amore mio… e tu, Hansi, ho fatto molto per la mia gente in questi anni; fate in modo che la pace rimanga sempre, finché viviate. La gente del Regno ha bisogno di persone come voi, e sono sicuro che ne sarete all'altezza… ahhh…! -
Serrò le mani sulle nostre, come estremo segno di fiducia, e chiuse gli occhi, un'ultima volta, per sempre.
Nei mesi a venire, con la piena approvazione di tutti i castellani e dei soldati, fui incoronato Re e sposai Karin. Governai il regno con al mio fianco Angelika, la mia sorella ritrovata. Mantenni la promessa fatta a Re Konrad, conservai sempre la pace nel mio Regno imponendo la magnificenza dell'effigie reale sul pericolo dei nemici barbari. Mantenni fede anche al giuramento fatto alla mia gente di Kontigen e tornai più volte là in visita con la veste reale, accompagnato da Angelika e da Karin, la nuova Regina. Divenni così RE HANSI, SUA MAESTA', IL RE DI KONTARD!!!
E così fu nei decenni.
- Va bene, piccolo, ma adesso vai a nanna! -
- S', nonno, ma perché adesso non sei più al castello con nonna Karin? -
- Beh… ho dovuto vendere tutto per poter comprare questa casa alla mamma ed al papà… -
- Nonno Hansi? Ma sai che non ci credo mica tanto che tu sei il Re di Kontard? -
- Oh…? Perché no, caro? -
- Perché non ho mai visto un Re con la dentiera… ih ih ih…! -
- Ah ah ah! Che birbante che sei. Ma ora dormi, domani hai la scuola.. ma che ore sono? Perbacco sono le due di notte! Se i tuoi genitori scoprono che ti ho tenuto alzato finora come minimo mi mandano all'ospizio! Ah ah…! Buonanotte piccolo Konrad. Sogni d'oro… -
- Buonanotte nonno… ah! Nonno? -
- Sì, dimmi, caro…-
- Ti voglio tanto bene… -
- Anch'io te ne voglio, piccolo… A domani! -
- 'notte… -
The End
King Hansi